Banche riciclaggio e umoni di buona volonta’

Lo scoppio della crisi sembrava avere, tra l’altro, avuto l’effetto di convincere i principali paesi del mondo a cercare di intervenire in maniera decisa su vari fronti e, tra questi, uno di quelli dati come piu’ probabili era quello relativo alla messa sotto stretto controllo dei paradisi fiscali e per qualche tempo si era in effetti sperato che il miracolo accadesse; parallelamente, infatti, in alcuni consessi internazionali ufficiali si minacciavano, anche da parte di personaggi autorevoli e investiti di importanti funzioni pubbliche, fuoco e fiamme sull’argomento. Ma, naturalmente, la speranza e’ stata veramente di troppo corta durata e le misure promesse non sono mai seriamente arrivate.

Speriamo ormai soltanto nella crisi prossima ventura¦ solo un nuovo colpo negativo all’economia mondiale potrebbe forse contribuire a far riaprire i dossier sul tema, dossier che ormai cominciano di nuovo a prendere la polvere.

Si era, tra l’altro, sperato da molte parti che un attacco deciso ai paradisi fiscali avrebbe contribuito in rilevante misura a combattere i circuiti internazionali illegali del denaro, circuiti attivati non solo dalle varie mafie, ma anche da figure apparentemente piu’ rispettabili, quali imprenditori e dirigenti d’impresa, nonche’ da uomini di stato e piu’ in generale da politici disonesti. In effetti, come si e’ registrato con le recenti crisi nel Nord Africa, si scopre ora che personaggi come Gheddafi, Mubarak, Ben Ali e soci erano padroni di montagne di denaro su cui avevano messo le mani chissa’ come ” ma possiamo immaginarlo-; tali somme giravano per il mondo in maniera indisturbata non solamente passando per paesi come le isole Cayman o il Lussemburgo, aree notoriamente infette, ma anche e soprattutto sbarcando a Londra e negli Stati Uniti, muovendosi con sicurezza attraverso il sistema bancario perfettamente legale e pulito.

Il punto che vogliamo sottolineare in queste note e’ proprio quello che il circuito illegale del denaro non e’ qualcosa che si movimenta di questi tempi necessariamente al di fuori dei canali rispettabili della grande finanza e che tale circuito non passa necessariamente soltanto per delle remote, esotiche o almeno minuscole isolette, ma che esso e’ strettamente incardinato nel sistema delle banche internazionali e che i principali paradisi fiscali non sono costituiti da luoghi come le Barbados o Santa Lucia, tutto sommato aree periferiche, anche se rilevanti, del gioco complessivo del denaro, ma dalla City di Londra ” oggi certamente la piazza mondiale piu’ importante per la pulizia del denaro sporco- e dagli Stati Uniti, paese quest’ultimo dove le imprese hanno, ad esempio, la possibilita’ di domiciliarsi nello stato del Delaware e sfuggire cosi a tutti i possibili occhi indiscreti di questo mondo.

Nella sostanza, quindi, combattere i cosiddetti paradisi fiscali tradizionali, azione comunque indispensabile e meritoria, ammesso che la si volesse portare avanti, cosa piuttosto improbabile, non basterebbe certamente a bloccare l’impunita’ con cui si muovono oggi i capitali illegali. L’esempio che vogliamo a questo punto fare sul tema fa riferimento alle gang messicane della droga, avendo in mente in particolare un lungo articolo sull’argomento a firma di Ed Vulliamy apparso sul numero del 3 aprile 2011 del settimanale britannico Observer.

Riferisce l’autore di tale scritto, che sembra avere svolto un’ampia inchiesta sull’argomento, che nell’ormai lontano aprile del 2006 i soldati messicani intercettarono a Citta’ del Messico un aereo che conteneva cocaina per un valore stimato di circa 100 milioni di dollari. Il sequestro citato era il frutto di circa due anni di investigazioni delle autorita’ statunitensi, che, con una certa sorpresa, scoprirono anche che l’aereo era stato acquistato con denaro che proveniva da una delle piu’ grandi banche Usa, la Wachowia, ora parte della ancor piu’ grande Wells Fargo. Approfondendo le indagini, le autorita’ scoprirono poi anche l’esistenza di operazioni di deposito e di vari altri tipi di movimentazioni finanziarie effettuati da parte del cartello messicano della droga presso la stessa banca per miliardi di dollari, passando per varie casas de cambio del paese latino-americano.

La Wachovia non ha mai espresso il minimo dubbio sulla liceita’ di tali operazioni alle autorita’ americane; eppure era molto facile accorgersi che qualcosa non funzionava.

Ma la cosa non e’ mai andata a finire in tribunale visto anche l’approccio tutto sommato benigno delle autorita’ federali sul tema e la banca se la e’ cavata pagando nel 2010 una semplice multa di 160 milioni di dollari, una somma pari a meno del 2% dei profitti della stessa banca per il 2009; qualche giorno dopo l’accordo con le autorita’ statunitensi il prezzo delle azioni Wachovia in borsa era persino aumentato, un segno tra i tanti che i mercati finanziari non hanno certamente nulla a che fare con l’etica.

Il caso, afferma il giornalista, appare solo la punta di un iceberg, che comunque dimostra il ruolo del sistema bancario legale nel riciclaggio del denaro sporco a livello mondiale.

Lo stesso giornalista sottolinea tra l’altro che sono stati proprio dei soldi frutto di operazioni illegali che hanno contribuito fortemente a mantenere a galla diverse banche sull’orlo del collasso nel momento culminante della crisi del 2008.

Interessante appare ricordare un risvolto molto significativo del caso che riguarda la filiale londinese della stessa banca e che sottolinea come qualcuno si fosse accorto per tempo che qualcosa non girava correttamente nelle ruote dell’organizzazione e come nello stesso tempo i suoi appelli per intervenire fossero stati fatti cadere nel vuoto.

L’allarme sulle operazioni con il Messico svolte dalla banca era stato lanciato per tempo, in effetti, da un funzionario delle filiale londinese della Wachovia, una persona da tempo specializzata proprio nell’investigazione di casi sospetti, il cui nome e’ Martin Woods.

Il funzionario, assunto dalla banca nel 2005, non aveva tardato ad occuparsi degli strani movimenti in atto e aveva presto cominciato ad inviare segnalazioni documentate in proposito al quartier generale statunitense della banca. Ma i suoi rapporti allarmati non ebbero mai alcun riscontro positivo dagli Stati Uniti ed anzi ad un certo punto Woods viene nella sostanza informato che era meglio che la smettesse di investigare sulla questione. Vi risparmiamo i dettagli ulteriori della storia. Comunque, ad un certo punto, Woods porta la faccenda in tribunale, che, nel 2009, condanna la Wachovia a pagare una rilevante somma di denaro allo stesso Woods, che lascia finalmente la banca, dove era diventato nella sostanza una persona non grata.

Lo stesso Woods si era messo nel frattempo in contatto con la Drug Enforcement Administration statunitense che stava comunque svolgendo delle indagini sull’argomento ed aveva informato l’agenzia di tutti i suoi sospetti, fornendo un’ampia documentazione al riguardo. Si arrivera’ cosi all’accordo finanziario del 2010 delle autorita’ Usa con la banca che paghera’ la multa sopra indicata, liberandosi di ogni ulteriore responsabilita’ nell’affare.

Cosi vanno le cose del mondo.

(Tratto da: http://www.finansol.it)

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