Quanto rende investire in borsa, ovvero l’illusione di Wall Street

Qualche tempo fa ho pubblicato su questo stesso sito un articolo in cui sostenevo, peraltro con dati alla mano, che le borse valori non rispondono piu’, se mai lo abbiano fatto, allo scopo principale per cui esse stanno ufficialmente al mondo, quello cioe’ di contribuire a finanziare lo sviluppo delle imprese.

Il loro contributo a tale nobile obiettivo e’ oggi complessivamente minimo e semmai le cifre mostrano che, almeno negli ultimi decenni, in particolare nel nostro paese, i soldi distribuiti agli azionisti dalle societa’ quotate in borsa superano ogni anno e largamente quelli raccolti invece sul mercato come capitale sociale. L’istituzione borsa e’ oggi sostanzialmente un meccanismo quasi solo di tipo speculativo. Alla fine dell’articolo concludevo quindi affermando che, trattandosi di un meccanismo inutile, tanto valeva chiuderlo; i danni non sarebbero stati molto gravi se non per i truffatori ed i venditori di fumo, cosi numerosi peraltro a questo mondo e spesso cosi bravi a carpire i soldi della gente.

Queste affermazioni sulla sostanziale inutilita’ della borsa non sono peraltro piaciute a molti. Ecco che allora voglio insistere sul tema, convinto come sono della mia tesi e anzi questa volta voglio provare a raddoppiare la posta, partendo da un altro angolo visuale, quello dei rendimenti dei titoli quotati. E’ diventato quasi senso comune l’affermare che nel lungo termine quello azionario, tra gli investimenti disponibili, e’ sempre quello che frutta i maggiori rendimenti. Le mie conclusioni in proposito sono quelle che si tratta di un’affermazione largamente falsa.

Bastano a provarlo, ad esempio, l’analisi dei rendimenti riscontrabili a Wall Street tra i 1929 e il 1958, quelli della borsa di Milano per tutto il Novecento ( con un’ analisi molto eloquente in proposito svolta a suo tempo dal centro studi della banca d’Italia), che registra complessivamente un rendimento negativo per chi avesse investito i suoi soldi all’inizio del secolo, quelli infine di Tokio tra il 1989 ed oggi, periodo nel quale l’indice Nikkei e’ passato da circa 40.000 punti a 8-9 mila, livello a cui si trova desolantemente oggi. Si tratta di considerazioni che penso di avere peraltro gia’ inserite in un mio articolo pubblicato su questo sito parecchio tempo fa. Ma oggi sono disponibili nuovi e ricchi dati, che possono essere ritrovati in un articolo di J. C. Bogle sul Financial Times, il giornalista riporta, tra l’altro, nel testo i risultati principali di una sua ricerca sull’argomento, con le conclusioni complete pubblicate invece in un volume appena uscito.

L’autore ha preso in esame i rendimenti dei titoli azionari sul mercato di borsa statunitense per tutto il Novecento. Ebbene, e’ risultato che in media nel secolo passato il rendimento della borsa Usa e’ stato del 9% all’anno; cosi, se un investitore avesse impiegato 10.000 dollari in borsa all’inizio del secolo, i suoi figli o i suoi nipoti si sarebbero ritrovati alla fine dello stesso secolo con un importo di 743.000 dollari, compreso peraltro il reinvestimento dei dividendi nel frattempo ricevuti.
Un bel risultato, si affretteranno a concludere i nostri lettori. Ma un momento, freniamo subito gli entusiasmi. Certo e’ a cifre di questo genere che si rifanno di solito la gran parte dei venditori di titoli e le loro eleganti brochure, ma la realta’ dei fatti e’ purtroppo ben diversa. In effetti, intanto bisogna considerare nel calcolo il tasso di inflazione, che nel periodo considerato e’ stato in media del 4% ed allora il rendimento reale scenderebbe dal 9% al 5 % e il nostro gruzzoletto crollerebbe ormai a 115.000 dollari.

Ma non abbiamo finito. Appare opportuno a questo punto fare entrare nei calcoli anche i costi dell’investimento. Cosi, negli Stati Uniti, chi fosse ad esempio passato attraverso i fondi comuni, avrebbe dovuto sostenere in media costi intorno al 2% annuo (stima molto prudenziale) ed ecco che allora il rendimento sarebbe ancora sceso al 3% annuo e la somma finale si sarebbe ridotta a 44.000 dollari. Ma se consideriamo poi le tasse e, in qualche caso, qualche possibile costo degli interessi passivi e di altre spese eventualmente sostenute per procurarsi il denaro da investire, l’importo finale si ridurrebbe a ben misera cosa. Senza considerare ancora il rischio affrontato nell’affidarsi ad un investimento pieno di incertezze.

Attenti a quelli che ci forniscono delle cifre, conclude Bogle, in genere essi hanno qualche pensiero nascosto. Cari amici, continuate pure ad investire in borsa e a magnificarne le sorti, aggiungo io, i soldi dopo tutto sono i vostri.

Allegato: per chi non ne avesse ancora abbastanza, l’autore sottolinea come il rendimento della borsa di New York sia presumibilmente destinato ancora a scendere nei prossimi anni. In effetti, dice Bogle, il 9% sopra citato per il Novecento e’ fatto di un 4 e mezzo % di dividendi e di un 4 e mezzo % di guadagni in conto capitale. Ebbene, oggi i rendimenti in termini di dividendi si sono ridotti al 2% e anche considerando un guadagno in conto capitale del 5%, la somma totale farebbe soltanto 7% e non piu’ 9%. Naturalmente si tratta almeno in parte di supposizioni.
Comunque, buona fortuna.

(Tratto da: http://www.finansol.it)

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