12 giugno: una festa nazionale

Diciamo la verità: si sapeva che l’accorpamento referendum/amministrative sarebbe stato una chimera. Per varie ragioni, anzitutto perché la politica (tutta) ritiene di poter utilizzare le pubbliche risorse come un’appendice del proprio portafoglio. Senza dover rispondere o rendere conto in alcun modo, questo è chiaro. Molti altri, e ben più scottanti, sono i motivi della scelta, questo si sa, ma la pigolante opposizione parlamentare si è abbarbicata su quest’ultimo, legittimo, aspetto lasciandosi sfuggire l’ennesima occasione per contrastare nel merito una decisione del governo Berlusconi dettata dalla smaccata connivenza con le lobby dell’atomo, delle multinazionali e, last but not least, dai problemi giudiziari dello stesso Berlusconi, visto che si voterà anche sul “legittimo impedimento”. D’altra parte cosa si può pretendere da una compagine politica che al suo interno vede esponenti come Chicco Testa, e per essere aulici si parla della “pars pro toto”, che sono notoriamente schierati per il ritorno al nucleare? Sarebbe questa l’opposizione? E, giusto per sapere, in che cosa si differenzia da Berlusconi?

Probabilmente perché non fa il bunga bunga. Credo, spero. Anche se dopo i casi Sircana, Marrazzo e Delbono non ne ho l’assiomatica certezza.

A questo punto è doveroso programmare il piano d’azione per vincerla, questa battaglia referendaria. Ebbene, questo “handicap”, ovvero il quasi certo voto a ridosso dell’estate a scuole chiuse, deve essere sfruttato sotto due profili: il primo è l’allungamento del tempo per la campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, il secondo è lo sfruttamento a nostro vantaggio dell’effetto esasperazione e logoramento insito in settori sempre più ampi e trasversali della società italiana. Sotto questo profilo è un bene, anzi è l’ideale che Berlusconi, lui e tutto il sistema di potere che rappresenta, resti fossilizzato alla poltrona: è l’unico modo per scatenare una reazione sociale da troppo tempo latitante. Abbiamo iniziato a ottobre con la FIOM a Roma, poi gli studenti e i ricercatori, gli immigrati sulla gru, le donne di “Se non ora, quando?”, ora “Articolo21” sta spingendo su una nuova grande mobilitazione a difesa della Costituzione per il 12 marzo… E così via, fino alle soglie dell’estate. Tanto più perché un governo “tecnico” o “di larghe intese” (Monti, Tremonti o Draghi, tanto per dire il totonomime) sarebbe il mezzo per cooptare ampi settori dell’attuale opposizione con il solo fine di far passare riforme antisociali e ulteriori liberalizzazioni, in cambio dello zuccherino (tutto da vedere, peraltro!) della riforma della legge elettorale.

Poche sere fa, il 4 marzo, ho assistito ad una assemblea pubblica del comitato contro l’ampliamento dell’aeroporto di Treviso, tenutasi presso la sala parrocchiale di Quinto di Treviso. La sala era stracolma: gente in piedi e fuori dalla sala. Persone normali, quelle che vedi in coda alla cassa del supermercato, a messa la domenica o all’uscita di scuola ad aspettare i figli. Gente che si è semplicemente rotta di dover sottostare a decisioni che li riguardano da vicino e sulle quali non è dato di metter lingua.

Ma cosa c’entrano l’aeroporto di Treviso, l’acqua pubblica, il nucleare, la TAV, i No-Coke e l’università? Tanto per dire, ma l’elenco potrebbe, evidentemente, continuare a lungo. Nulla, e tutto. Nulla perché sono percorsi di protesta che incanalano delle energie su specifici ambiti prossimi al cittadino, tutto perché cercano di contrastare l’oligopolio speculativo e uniformante che è egemone sulla stragrande parte, oserei dire la quasi totalità, delle vite in questo paese ma non solo, alla cui base sta l’idea che questo modo di vivere, produrre, stare al mondo sia l’unico possibile. Un vero e proprio totalitarismo del mercato e della globalizzazione.

Le leve di intervento economico sono ormai ampiamente fuori dalle possibilità non dico di gestione, ma semplicemente di controllo, della collettività traslando la nozione stessa di “democrazia” a mero feticcio. Ecco perché sono convinto che la campagna referendaria sarà fondamentale: dovesse succedere il miracolo che venti milioni di cittadini si esprimano nel senso sperato, ci troveremo di fronte ad un segnale il cui potenziale di fuoco è scarsamente immaginabile, difatti al di là di possibili scappatoie e codicilli che verrebbero presto escogitati (ma almeno facciamogli fare questa fatica!!), paleserebbe una consapevolezza sociale da cui partire- o ripartire- per fondare su nuove basi la convivenza civile in questo Paese.

Ma sul piano delle idee, come vincere questa battaglia? Due a mio avviso sono le esigenze da far combaciare: la prima è quella della sistematizzazione del disagio, la seconda è quella di non farsi dipingere come i passatisti retrogradi che non credono nelle magnifiche sorti progressive dello Sviluppo.

Sistematizzare il disagio vuol dire lavorare per far capire che nessuna battaglia è scissa dall’altra, che l’orizzonte di riferimento non può essere solo il piccolo universo della nostra vita e che il prendere a cuore altri ambiti ed esperienze è imprescindibile per rinforzare anche la propria idea di cambiamento.

Il secondo nodo su cui non si può transigere è quello di dire chiaro e tondo che noi crediamo fermamente nello sviluppo, quello vero, nel progresso e nel miglioramento ma che pensiamo anche che lo “stare insieme” necessiti di eliminare la prevaricazione, l’atteggiamento predatorio di banche e multinazionali, il rispetto dei beni comuni e del patrimonio collettivo, sia esso costitutito da diritti o da beni, i giuristi direbbero “diritti su beni”… Dobbiamo essere quelli che sorridono ad un’idea diversa di Italia. Per questo il 12 giugno deve essere il giorno in cui, tutti insieme, dobbiamo dar prova di voler fare una festa, una festa del “Sì”. Ma una festa vera, non un’ammuffita e codina parata di facce e discorsi già visti e sentiti fino alla nausea.

Ebbene, resta un altro aspetto fondamentale da tener presente: la sproporzione mostruosa di mezzi in campo per la sensibilizzazione di cui sopra. L’avversario dispone di mezzi mediatici, gangli di potere (può decidere il non accorpamento, appunto), mezzi di ricatto economico e tanto altro ancora. Noi invece abbiamo mille buone ragioni e la consapevolezza di essere davanti a un bivio storico, pochi soldi e un sistema dell’informazione piegato al Potere. Un grosso potenziale lo ha la rete internet, che già in svariate occasioni ha dimostrato di essere imprescindibile nella politica contemporanea (Grillo docet), ma non solo: la vera arma che è nella nostra disponibilità è l’essere creativi. Creatività vuol dire metterci la faccia, testimoniare, raccontare. Non necessariamente in modo diretto e convenzionale, ma sentito. Sarà imprescindibile guardare negli occhi gli altri e toccare quelle corde che i nostri avversari, con tutti i loro mezzi, non sono in grado di toccare. Questa sarà la vera sfida, e sarà una sfida umana prima che politica.

 

A margine di queste piccole riflessioni segnalo un libro e un sito che possono tornare utili per rinforzare le tesi che ho espresso in questo breve scritto: il libro è “Salvare l’acqua” di Jampaglia e Molinari per i tipi di Feltrinelli (€ 15,00) e il sito http://www.democraziakmzero.org/ da poco inaugurato proprio per cercare di connettere con strumenti di analisi teorica e testimonianze tutte le individualità che si stanno battendo per un “altro mondo possibile”…Espressione forse retorica, ma che a dieci anni dallo storico G8 di Genova dovrebbe darci nuovo propellente per coltivare questo sogno di cui c’è ancora tanto, tanto bisogno.

Alberto Leoncini

albertoleoncini@libero.it

 

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