Dittatura europea, e opposizione a buon mercato

Per chi come me non ha mai risparmiato critiche all’attuale processo di federazione europea nei termini in cui è strutturato, è stata un’illusione e poi una delusione quella di vedere e poi leggere il libro “La dittatura europea” di Ida Magli (BUR, € 10,50 pp.207). Un’illusione perché sognavo che, finalmente, ci fosse un libro solido, impegnato, appassionato e credibile che contestasse ab imis l’impianto della UE, tanto più che pubblicato da uno dei maggiori editori italiani e quindi astrattamente fruibile ad una vasta platea di lettori. Ma, si sa, i sogni muoiono all’alba e credo che il giorno in cui la contestazione all’eurocrazia assuma connotati credibili sia -ahinoi- ancora parecchio lontano almeno presso il grande pubblico. Il testo, attraversato da un’acrimonia che oscura la, credo sincera, passione civile è una contestazione più basata sul recupero di tutte le discutibili tematiche della demagogia (si pensi solo che la bibliografia si riduce ad un paio di paginette con testi divulgativi e lo stesso si può dire per le sparute note a piè di pagina…) che sulla concreta analisi di trattati, bilanci, documenti politici. Cito il solo caso dell’immigrazione, laddove questa viene letta in un’ottica di “invasione” mirando a destituire di fondamento le percentuali in rapporto alla popolazione (p.60 e passim): decisamente sotto la media degli altri paesi industrializzati. Ora, se questo discorso viene fatto sull’autobus, mi può anche star bene ma farlo in un saggio francamente no.
Ma veniamo alle analisi più prettamente “tecniche”: i risultati non sono così convincenti. Si pensi che viene contestato in modo oserei dire brutale l’art. 11 della Costituzione, e tutto l’impianto della Carta (contravvenendo ad un’unanime opinione che vede nella Carta stessa uno dei più avanzati congegni giuridici che l’Italia abbia prodotto…) con argomenti privi di fondamento: quell’articolo è nato, e ciò si può vedere ictu oculi dai dibattiti della Costituente, in riferimento all’adesione all’ONU da parte dell’Italia e usarlo per giustificare l’adesione alla CECA prima all’UE oggi (con i vari passaggi intermedi, s’intende) è un’operazione tutta politica che nulla ha a che vedere con il dettato costituzionale. Tanto più che l’art 117 della Costituzione è stato modificato inserendo i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” rispetto all’attività legislativa di Stato e regioni solo nel 2001 (l.cost. 3/2001) e nella sua formulazione originaria non era minimamente previsto né prevedibile. Chi sostiene, come indirettamente fa l’autrice, che il processo federativo europeo sia “costituzionale” sostiene il falso poiché si tratta di un puro e semplice strappo politico a cui si appiccica una giustificazione formale “stiracchiando” l’art.11. E non potrebbe essere altrimenti poiché ogni costituzione sovrana (è la Costituzione che è sovrana non il popolo!) non può tollerare giuridicamente l’intromissione di un ordinamento “altro”, tanto più se questo mira a stravolgere i contenuti sostanziali della costituzione stessa. A tali conclusioni è peraltro giunta anche la Corte Costituzionale tedesca (scusate se è poco!) senza che nel libro se ne veda traccia.
E in tutta onestà, pur riconoscendone la sostanziale inutilità, non vedo come si possa sostenere che il mondo possa andare avanti senza una “piattaforma” multilaterale come l’ONU… Discutibili i rapporti di forza e il funzionamento, ma quali le alternative? Credo che nemmeno la Corea del Nord possa far a meno del diritto internazionale…
Segnalo anche la Corte dei Conti a Bruxelles mentre la sede è in Lussemburgo (p.20).
Ma non voglio sembrare quello che critica senza voler capire le ragioni: è ovvio che un testo divulgativo o comunque accessibile ad un lettore medio deve essere depurato da ogni tecnicismo, ma da questo a banalizzare problematiche vaste e contraddittorie come quelle in esame non è meno grave, a mio parere, degli uniformi e sciatti “osanna” che i media quotidianamente levano alle istituzioni comunitarie, ultimo in ordine di tempo il tripudio verso l’Estonia che adotta l’Euro.
Il fatto che siamo subissati da un consenso forzoso e uniformante non ci autorizza a cedere sul terreno del rigore. Nessuno dubita della centralità assunta, ad esempio, dalle lobby e dai gruppi di pressione ma ricostruire questo tipo di fenomeni come una sorta di rediviva “mano invisibile” è a mio avviso una distorsione tanto grossa quanto schiacciare tale espressione su Adam Smith, in cui ricorre un numero di volte che… sta sulle dita di una mano!
Parlare poi nei termini in cui si fa nel testo degli interessi delle banche è come ululare alla luna: ridurre la politica e l’economia mondiali ad una sorta di Risiko su vasta scala e tragicamente realistico è francamente un po’ grottesco… Sull’opposizione a questo sistema di produzione e sfruttamento e agli enormi profitti delle banche e la loro influenza sulla politica siamo tutti d’accordo. Mai mi sognerei di contestare chi si adopera in questo senso, ma con tutta la buona volontà mi riesce difficile pensare che i destini del mondo si decidano sorseggiando un Martini non fosse altro che per le necessarie “tecnostrutture” volte a replicare e consolidare il Sistema in ogni dove, un po’ come chi si ostina a dire che il nazismo fu “opera” di Hitler. Onestamente mi sembra difficile pensare che esistano spiegazioni non semplici, ma banali (aspetti ben diversi!) ai problemi che ci affliggono.
Un libro questo che piacerebbe di più a Prodi che all’ipotetico sostenitore dell’euroscetticismo perché implicitamente avvalora il pessimo processo federativo in corso confermandone l’ineluttabilità, se le posizioni di critica sono quelle esposte… E a maggior ragione non posso che dissentire dall’autrice quando questa si “appella” a un personaggio come Klaus, presidente ceco ultimo a “resistere” per apporre la firma al trattato di Lisbona, visto che questi, pur contestando il progetto federativo europeo non mira nei suoi progetti a ripensare la società su rinnovate basi sociali e solidaristiche bensì ad appiattire ancor di più la politica sul mercatismo e il liberoscambismo più spinti. Casomai sarebbe da rigettare l’idea di Europa perché mina fin nelle sue più profonde radici ogni afflato non riconducibile a logiche mercantili nel senso deteriore del termine e perché è diventato semplicemente il mezzo per far passare ogni sorta di controriforma il cui conto verrà pagato dai ceti sociali medio bassi e dalla società civile in genere assommando a questo anche il depauperamento identitario e culturale, giustamente stigmatizzato dall’autrice.
Certo, i temi che l’autrice pone all’attenzione sono centrali, questo è l’unico motivo per cui il testo davvero può essere considerato degno di nota e tutto quel che va nella direzione voluta contribuisce, più o meno, a scavare la roccia e creare fessure nella fortezza, tuttavia ciò non mi persuade a promuoverlo come una lettura imprescindibile per chi voglia unirsi alla schiera, fortunatamente sempre più ampia e trasversale, ma ancora minoritaria e purtroppo non coalizzata, di coloro ai quali questo processo federativo resta indigesto.


Alberto Leoncini

albertoleoncini@libero.it

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