La prossima crisi: ecco come il business sfrenato ci uccidera’

Il 2008 e’ stato l’anno della convergenza delle crisi. Gli aumenti del prezzo del petrolio cosi come degli alimenti principali, entrambi prodotti dalla combinazione di problemi nella produzione e nel rifornimento, dalla domanda salita alle stelle con il conseguente incremento del commercio di merci nel mercato dei futures. Allora le banche hanno collassato, i governi le hanno salvate con interventi mirati a puntellare un sistema finanziario che crollava.

Come ho gia’ sostenuto in un precedente articolo (trad italiana) su Ceasefire, questa convergenza di crisi energetica, alimentare ed economica non e’ stata un incidente, ma il risultato inevitabile del modello di business sfrenato adottato da un sistema politico-economico mondiale che ora ha raggiunto i propri limiti interni, oltre ad aver superato quelli dell’ambiente.

Nonostante le rassicurazioni ufficiali secondo le quali il peggio e’ passato e le economie si stanno riprendendo e sono tornate a crescere, la tendenza attuale ci indica che il peggio deve ancora venire, e che i politici non hanno idea di quali siano le cause strutturali della convergenza di queste crisi.

Il primo problema fondamentale e’ che gli ortodossi economisti neoliberisti non riescono a capire una ovvia verita’ cioe’ la compenetrazione dell’economia con l’ambiente naturale. La crescita dell’economia richiede un crescente apporto di energia, ottenuta dallo sfruttamento delle risorse naturali, in questo momento essenzialmente i combustibili fossili come petrolio, gas e carbone.

In teoria, gli economisti ortodossi sostengono che il capitalismo puo’ risolvere il problema della dipendenza dall’energia massimizzando l’efficienza, piu’ grande lo sviluppo economico, maggiore sara’ l’uso ottimale delle risorse e quindi minore la quantita’ di energia necessaria. Questo tipo di ragionamento sottintende il sostegno del governo all’ossimoro delle societa’ high growth, low carbon (crescita elevata, basso uso di carbone). Come capita spesso con la teoria economica neoliberista, i dati empirici generano alcuni seri interrogativi su questo argomento. Come mostrato in modo inequivocabile da Tim Jackson in Prosperity Without Growth (pp. 74-76), il trend globale delle emissioni di carbone e combustibili fossili cosi come l’estrazione di metalli grezzi e di minerali non metallici e’ aumentato vertiginosamente negli ultimi due decenni. In molti casi, sostiene Jackson: ‘L’intensita’ energetica globale (rapporto tra uso di risorse e PIL) e’ cresciuta significativamente per i minerali non combustibili. L’efficienza delle risorse ha preso una direzione sbagliata.’ (p. 75)

Tra il 2005 e il 2008, la convenzionale produzione di petrolio ha combattuto con una stabilita’ ondulante senza precedenti nella storia della produzione mondiale di petrolio, ed e’ improbabile che aumenti considerevolmente oltre i livelli raggiunti nel 2008. Come ha notato il dottor James Schlesinger , passato Segretario dell’energia americano (1977-79) e direttore della CIA, date le progettate curve in flessione tra il 4 e il 6 percento, e l’aumento progettato della domanda durante il prossimo quarto di secolo, avremo bisogno dell’equivalente della capacita’ di cinque volte l’Arabia Saudita’. Aldila’ delle incertezze sui fondali degli oceani e sulle riserve non convenzionali e altre, lui fa notare che ‘in generale dobbiamo aspettarci di andare avanti senza la nostra fonte di energia fondamentale nell’espansione dell’economia mondiale per piu’ di mezzo secolo’.

Mentre i livelli di fornitura sembrano essere fluttuanti, l’aumento di domanda dovuto a una fragile ripresa indica la possibilita’ a breve di un altro picco del prezzo del petrolio dal momento che la crescente domanda incontra una capacita’ di produzione piuttosto bassa. Gran parte dell’aumento vertiginoso di domanda di petrolio non proviene dall’occidente ma dalle economie emergenti, come la Cina, e ha portato alcuni istituti finanziari come JP Morgan a prevedere un imminente aumento del prezzo del petrolio fino a 100 dollari al barile.

Allo stesso tempo, con il nuovo aumento dei prezzi del petrolio, stiamo assistendo all’aumento vertiginoso dei prezzi della carne, zucchero, riso, grano e mais. Come esperto finanziario, Addison Wiggin ha avvisato su Forbes, verso la fine di ottobre, che ‘potremmo essere a un passo dall’esplosione di una crisi alimentare che farebbe sembrare i picchi dei prezzi raggiunti nel 2008 come un felice ricordo’. Wiggin sostiene che la crisi alimentare del 2008 ‘non e’ mai finita’, visto che i prezzi delle merci chiave delle aziende agricole, sebbene non raggiungano i livelli del 2008, tuttavia hanno raggiunto livelli piu’ elevati di quelli antecedenti al 2008:

– Frumento: su del 63%
– Grano: su dell’84%
– Soia: su del 24%
– Zucchero: su del 55%

Intanto, il dipartimento americano dell’agricoltura ha avvisato che ci sara’ una caduta nella produzione di grano l’anno prossimo, dovuta essenzialmente alla siccita’ in Russia, e ha evidenziato il significativo crollo della produzione di frumento di quest’anno – apparentemente il piu’ considerevole mai verificatosi finora.

Il nesso tra le attuali insufficienze nei rifornimenti di cibo e il cambio climatico non puo’ essere piu’ ignorato a seguito del devastante impatto sull’agricoltura causato dell’ondata di caldo in Russia e delle inondazioni in Pakistan, in seguito anche al previsto problema di instabilita’ climatica e di disastri naturali sul lungo termine dovuto al riscaldamento globale. Le ultime proiezioni provenienti dal National Center for Atmospheric Research (NCAR) , basate sul modello di business sfrenato, suggeriscono che entro 30 anni il mondo potrebbe dover affrontare un’estrema siccita’ permanente in parti dell’Asia, degli USA, dell’Europa meridionale cosi come in ampie zone dell’Africa, America Latina e Medioriente, con un impatto devastante sull’agricoltura e sulle risorse acquifere.

La stabilita’ della produzione di petrolio non aiuta a risolvere i problemi. Piu’ elevati prezzi del petrolio avranno un effetto inflazionario sull’economia, esacerbando l’impennata dei prezzi alimentari. Inoltre, poiche’ l’attuale sistema dell’industria alimentare e’ pesantemente dipendente dai combustibili fossili a vari livelli – macchinari in loco; sintesi e produzione di fertilizzanti; processione, imballaggio, conservazione e trasporto di alimenti – la stabilita’ della fornitura energetica rafforzera’ i limiti fondamentali della produzione alimentare mondiale, con ripercussioni sull’aumento dei prezzi.

Sfortunatamente, l’azione economica ortodossa sembra accelerare la convergenza di queste crisi nei prossimi anni, invece di migliorare la situazione. Nonostante gli indicatori promettano una continua crescita del PIL, considerata da molti come la prova della continua benche’ fragile ripresa dell’economia, i fatti fondamentali ci raccontano una storia molto diversa. Il commercio totale dei derivati nel mondo attualmente rimane agli stessi livelli della fine 2008 – circa un quadrilione di dollari (mille trilioni) – cioe’ la cifra colossale pari a 23 volte il PIL mondiale. Come ha notato DK Matai, un analista di rischio strategico globale e consigliere governativo su minacce alla sicurezza, ‘ L’intera piramide finanziaria su cui sono strutturati i derivati puo’ crollare se i prezzi dei beni cominceranno a scendere poiche’ alcune delle controparti non sono in grado di pagare le loro obbligazioni’, cioe’ quello che e’ successo nel crash del 2008.

Il problema e’ che il pericolo non e’ stato affatto rimosso, anzi, forse addirittura e’ aumentato. Anche se l’1% della piramide dei derivati perde le proprie controparti perche’ diventano insolventi, stiamo parlando di un buco di 10 trilioni di dollari. Se quel 1% diventa 5% allora sono piu’ di 50 trilioni di dollari, cioe’ piu’ del PIL del mondo intero’.

In questo momento, la strategia economica ortodossa del governo, ispirata a modelli neoliberisti, sta cercando di rilanciare la crescita economica attraverso l’inflazione dei prezzi dei beni e il commercio dei derivati, includendo le merci come petrolio e alimenti: cioe’ re-inflazionando l’insostenibile bolla di debito che e’ scoppiata due anni fa. I diffusi salvataggi delle banche – quantitative easing – sono serviti solo a dare supporto alle banche insolventi e agli istituti finanziari con soldi dei contribuenti. Questo ha ridotto la quantita’ di soldi in circolazione – col risultato di contrarre l’economia reale basata sulla produzione reale, nell’acquisto e vendita – e allo stesso tempo ha permesso ai finanzieri di ritornare alle loro solite attivita’. Ma sia le autorita’ americane che quelle britanniche hanno riconosciuto che c’e’ la possibilita’ di ulteriore quantitative easing per sostenere la ripresa dell’economia. Contemporaneamente, si preparano profonde misure di austerita’ in stile FMI per ridurre i consumi e le manifatture, tagliare i servizi pubblici, mentre aumenta la disoccupazione.

La pressione verso il rialzo dei picchi di prezzo di petrolio e alimenti, determinata per entrambi dalle fondamentali restrizioni alla produzione con conseguenti limiti alla fornitura, in combinazione con il mercato decrescente dei futures dei derivati, generera’ negli anni a venire un effetto inflazionario che avra’ un potente impatto sui consumatori, cosi come capito’ prima del 2008. Si crea piu’ quantitative easing, spostando i soldi dei contribuenti dall’economia reale e immettendoli nel virtuale mondo finanziario, e di fatto si re-inflaziona la bolla fittizia della ‘crescita’ mentre allo stesso tempo si riduce la dimensione del mondo reale nel quale si suppone che la bolla stia crescendo.

I consumatori e il mondo degli affari lotteranno per continuare a ripagare i debiti, anche se la bolla del debito dei derivati si re-inflaziona nel contesto di un crescente quantitative easing.
Contemporaneamente, mentre la ‘crescita’ determinata dal debito continua ad alimentare una sembianza di ripresa economica, la crescente attivita’ economica raggiungera’ inevitabilmente i limiti della stabilita’ e del declino graduale delle energie derivanti da idrocarburi.

Inevitabilmente, la bolla raggiungera’ i limiti della sostenibilita’, sia in termini di capacita’ di solvenza del debito che di produzione energetica derivante da idrocarburi. Il risultato sara’ un’altra convergenza di crisi, un altro crash complessivo che include i settori alimentare, energetico ed economico e simultaneamente i picchi dei prezzi causeranno insolvenze nel pagamento dei debiti e quindi provocheranno la deflazione della bolla dei derivati – in definitiva, tutti prodotti di una crisi economica e politica globale la cui organizzazione strutturale richiede qualcosa di fisicamente impossibile: crescita infinita in un pianeta finito.

La prossima crisi, inoltre, difficilmente sara’ l’ultima, poiche’ noi continuiamo a sollecitare le risorse di idrocarburi mentre continuiamo a devastare gli ecosistemi del pianeta e ad alterare il suo clima. Sara’ piuttosto la seconda di varie tappe di convergenze di crisi, sintomatica di un protratto processo di crollo del sistema globale.

La domanda che tutti ci dobbiamo porre e’: quante crisi dobbiamo ancora vedere prima di svegliarci e capire che il business sfrenato ci uccidera’ tutti?

Fonte: http://ceasefiremagazine.co.uk
Link: http://ceasefiremagazine.co.uk/new-in-ceasefire/cutting-edge-2/

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cuar di RENATO MONTINI

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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