Avanzi, c’e’ posto


Una decina di giorni fa, guardavo in tivu’ Debora Serracchiani, la gggiovane speranza del fu Picci, poi Pds, quindi Ds, ora Piddi (e domani, chissa’).

Stava spaparanzata su una delle poltroncine di Ballaro’; la faccia che ricordava una Rosy Bindi d’antan; le parole, purtroppo, anche. Debora spiegava – con serieta’, sdegno e aria vagamente da funerale (tutto molto bindiano, appunto) – che l’Italia, ahinoi, era l’unico Paese europeo che stava tagliando i fondi per universita’ e ricerca. Lamentava che cosi non si investiva sul futuro e si lasciavano scappare i cervelli piu’ brillanti. Sottintendeva che l’Italia era sempre piu’ terzomondo (o Africa, o Sudamerica, o sostituire con stereotipo geografico a piacere) e sempre meno Europa.

Roba preoccupante, insomma.

E dovrebbe preoccupare – soprattutto – il fatto che Debora Serracchiani sia parlamentare europea. E l’Europa, quindi, dovrebbe conoscerla bene.

Gia’, perche’ il suo pianto greco mi e’ tornato alla mente giusto questa settimana sfogliando ‘The Guardian’ (che per chi non lo sapesse e’ un giornale inglese). Notizia del giorno in Gran Bretagna, infatti, e’ che il governo – ora guidato dal conservatore James Cameron – ha intenzione di mettere le mani alle forbici. Obiettivo? Si, avete indovinato. Un po’ tutto, ma l’universita’ in particolare.

Per sommi capi. Nel Belpaese, secondo i calcoli del Piddi, le universita’ quest’anno avranno a disposizione un miliardo di euro in meno. Secondo i numeri a disposizione del ‘The Guardian’ (ma pure di ‘The Independent’ o del ‘Telegraph’), la Gran Bretagna, invece, dovrebbe sforbiciare qualcosa come 4,2 miliardi di sterline (pari all’incirca a 4,8 miliardi di euro). Quattro volte tanto.

Ma c’e’ di piu’. In base ai conti fatti dai giornalisti del ‘Telegraph’, quei quattro miliardi e mezzo di sterline costituiscono ben – ben – il 57% dei fondi che il governo inglese versa ogni anno nelle casse delle universita’. Il taglio sarebbe strutturale (vale a dire: se passa questa riforma del finanziamento, le cose – d’ora innanzi – staranno sempre cosi). Molti corsi dovrebbero, quindi, probabilmente chiudere i battenti. E la Gran Bretagna compirebbe un enorme passo verso la fine dell’universita’ pubblica. Per compensare il mancato introito dallo Stato, infatti, le universita’ dovrebbero rifarsi sugli studenti. Che potrebbero, stando a una proposta di cui si sta discutendo in Parlamento, pagare tasse tra le 6.000 e le 10.000 sterline. Chiaramente, all’anno.

Inutile dire che rappresentanti e sindacati degli studenti inglesi non hanno apprezzato questa ipotesi di svolta e hanno sollevato il dubbio, invero piu’ che legittimo, che molti poverazzi ad andare all’universita’ non ci penseranno proprio. Ed inutile dire che questa riforma epocale non e’ arrivata come un fulmine a ciel sereno. Non per la Gran Bretagna. E nemmeno per l’Europa.

Per dire. L’Irlanda aveva cominciato a tagliare tutto il tagliabile (ricerca compresa) gia’ un anno fa. Altre cure da cavallo si stanno abbattendo da mesi sui conti pubblici di Grecia, Spagna e Portogallo (che sempre questa settimana ha presentato un piano di tagli draconiano). E l’elenco dei Paesi e delle sforbiciate ai costi di istruzione e ricerca potrebbe continuare. Ma tornando alla Gran Bretagna, beh, il tema dei tagli aveva tenuto banco per l’intera campagna elettorale che ha portato James Cameron, lo scorso maggio, sullo scranno di primo ministro.

Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Eccetto per l’onorevole Serracchiani. Che non sa o che finge di non sapere. Come in tanti a sinistra che in questi giorni stanno blaterando sull’argomento, sostanzialmente limitandosi a sparare a zero sul loro bersaglio preferito: il solito principe-del-male Berlusconi.

Peccato che all’origine del problema non ci sia, in questo caso, la cattiva volonta’ del governo di turno. E’ la crisi economica. Quella crisi economica che ha trasferito una montagna di debito privato – di banche, persone e aziende – sui bilanci degli Stati; Stati che ora si ritrovano tutti insieme e assai poco appassionatamente in brache di tela. Quella crisi economica che e’ l’evento del decennio e che pero’ – in Italia e non si sa come mai – non si e’ mai trasferita nel dibattito politico (concentrato da ormai due anni su case e escort; trans e marrazzi; processi infiniti e altri che verranno). Quella crisi economica che non ha mai avuto molto successo neppure sulle pagine dei giornali (salvo in qualche soporifero editoriale o in qualche grigio articolo nelle pagine dell’economia).

Tutto questo per dire che tutta ‘sta questione dei tagli all’universita’ sarebbe – per carita’ – pure seria. Ma che continua a non essere discussa in modo serio. Per esempio. Invece che continuare a levare alti lai in lode dell’Europa, non varrebbe forse la la pena chiedersi come e perche’ il progetto Europa 2020 – diventare, grazie alla ricerca, l’economia piu’ dinamica del mondo – sia finito a ramengo? Invece di pompare storie strappalacrime di ricercatori delusi perche’-a-loro-la-cattedra-spetta-di-diritto, magari non si potrebbe – perche’ no? – pure parlare di quello orrendo mercimonio che e’ oggi il meccanismo delle carriere dei professori universitari? E comunque, invece che cucinare la solita zuppa con contorno polemiche, non converrebbe seriamente chiedersi come il nostro ex Belpaese possa fare, in futuro, di piu’ con meno? Perche’ questa e’ la sfida che aspetta noi e pure gli altri Paesi del Vecchio Continente. E da questa sfida – realisticamente – non si scappa.

Questo, in fin dei conti, e’ e rimane il nodo: non si risolve un problema, se prima non si individua il problema. Ma qui, dei problemi – cioe’ della realta’ – sembra non voler parlare nessuno.

Per i berluscones, u§a va sans dire, tutto va bene, madama la marchesa. Mentre gli antiberluscones continuano ad ammanire lettori ed elettori con la solita storiella cara al fu Picci: l’Italia sta messa peggio pure della Tanzania, per colpa, ovvio della destra corrotta. Allora, ai tempi dei Togliatti, il paradiso era l’Urss (aperta parentesi: e si e’ pure visto come e’ andata a finire: chiusa parentesi). Ora si chiama Europa o Stati Uniti. Ma storiella era, e storiella e’ rimasta.

Insomma, il solito ping-pong. E non se ne vede la fine. Perche’ – appunto – anche i gggiovani assomigliano ai vecchi. E continuano ad invornire gli italiani con le stesse storielle di sempre. Come la Serracchiani. Che piu’ che il nuovo che avanza, sembra un avanzo di magazzino. Magazzino – quello del Piddi, fu Ds, fu Pds, fu Picci – che purtroppo pare assai capiente.

(Tratto da: http://informazionesenzafiltro.blogspot.com)

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