Piovono bufale su Pomigliano

report_finanzaChe la Campania sia la patria della famosa mozzarella di bufala, tutti lo sapevano, ma che addirittura potessero piovere bufale su larga scala, questa è una novità: in questi giorni si sta giocando il futuro dello stabilimento FIAT di Pomigliano D’Arco nel napoletano. Solo FIOM e la cosiddetta “sinistra radicale” si sono opposti ad un piano da ferriera dell’ottocento, e il PD ha perso l’ennesima occasione per guadagnare una qualche forma di credibilità pigolando, con il consueto cerchiobottismo, una soluzione “concertata”. Sarebbe sufficiente vedere sotto al naso l’assegno da 700 milioni di euro che Marchionne sarebbe pronto a staccare per mandare in visibilio un’intera classe politica. Al di là del fatto che l’impressione pare proprio quella che il taumaturgo di casa FIAT voglia alzare le ancore e far rotta verso la Polonia, ci sono alcuni aspetti sotto il profilo prettamente industriale che non mi convincono neanche un po’: lo stabilimento in questione è da sempre dedito alla produzione di vetture Alfa, notoriamente ad alto valore aggiunto e tecnologia: perché riconvertirlo per produrre un unico modello e per giunta del segmento “A” (city car) notoriamente quello con minore mark up e valore aggiunto per unità prodotta? E perché, anche ammesso che ciò possa essere una scelta ragionevole sotto il profilo dell’analisi dei costi, vincolare uno stabilimento ad un solo modello peraltro industrialmente vecchio e prossimo a essere mandato fuori produzione (certo, il restyling… Ma quanto può durare??) o, al più, rivenduto a paesi emergenti con standard di sicurezza ed emissioni meno restrittivi di quelli europei?
Il sospetto che mi sorge è che, in realtà, la fine di Pomigliano, anche qualora l’accordo fosse concluso, sarebbe quella di Termini Imerese: la chiusura in un orizzonte di tempo medio. Vi sembra un caso che si voglia produrre un solo modello (a Termini è la “Lancia Y”), a basso valore aggiunto, in un’area industrialmente fragile del mezzogiorno, con un modesto distretto industriale a supporto? A mio parere non è affatto un caso, anche perché i “numeri” che Marchionne ha dato sono quantomeno fantasiosi. Non si è ben capito chi assorbirà la produzione di auto che, dagli stabilimenti italiani, dovrebbe (udite, udite) triplicare rispetto ai livelli attuali. Siamo sicuri di riuscire a impestare il mondo di auto a ritmi tre volte maggiori degli attuali? E gli altri produttori europei e asiatici, staranno a guardare?
Tra l’altro i vertici FIAT, fino all’accordo con Chrysler, avevano sempre spergiurato che mai nessuno stabilimento italiano sarebbe stato chiuso… Anzi Termini avrebbe dovuto raddoppiare i volumi produttivi.
Senza contare che, qualora dovesse arrivare la famosa “ripresa” (probabilmente arriverà assieme a Godot…), la prima quotazione che salirebbe sarebbe quella del petrolio. Come si sa macchine e benzina sono un esempio di scuola di “beni complementari” (non c’è uno senza l’altro) e un aumento del prezzo dei carburanti farebbe certamente inibire la domanda di nuove autovetture, senza peraltro poter sparare la cartuccia degli “incentivi statali” almeno per due/tre anni perché sono appena terminati in tutta Europa.
Evidentemente qui non si tratta di fare gli uccelli del malaugurio, perché una chiusura a Pomigliano sarebbe una iattura per tutto il meridione e l’Italia, tuttavia cedere al ricatto vorrebbe dire spalancare la strada a questo tipo di pratiche su vasta scala estirpando in modo definitivo qualsiasi forma di democrazia economica, con il rischio, tutt’altro che ipotetico, di trovarsi entro pochi anni con una chiusura e i medesimi problemi irrisolti, anzi aggravati dalla breccia aperta. In realtà il grande antecedente delle “firme in bianco” degli accordi sindacali sotto dettatura va ricondotto al passaggio Alitalia-CAI, usato, ormai è evidente, come grande banco di prova per la deroga sistematizzata dei diritti del lavoro subordinato. Il governo non è “assente” come si è detto (certo, se Berlusconi, uno e bino oltre a fare il premier nominasse un ministro dello sviluppo economico sarebbe buona cosa) ma è più che connivente rispetto allo smantellamento dei diritti sindacali.

Alberto Leoncini
albertoleoncini@libero.it

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