Busi e la fine degli intellettuali

Premetto che non sono un amante dei reality show; anzi, li ritengo le avanguardie della tv spazzatura che ammorba i giovani italiani. Ultimamente, pero’, un po’ per amicizia, un po’ per l’avvenenza delle partecipanti, sto seguendo l’ ‘Isola dei famosi’. Non intendo dilungarmi sul programma, e sulla presunta ‘fama’ dei suoi protagonisti; ma, la partecipazione di Aldo Busi, penso possa essere l’occasione per alcuni brevi riflessioni sulla classe degli intellettuali italiani odierni.
Per prima cosa, andrebbe stabilito cosa si intende per ‘cultura’ e che ruolo dovrebbero svolgere gli intellettuali nella societa’. Mi affiderei a un meraviglioso articolo di Eduardo Zarelli, pubblicato sulla rivista ‘Italicum’:

‘Eticologicamente, alla base della parola, c’e’ la radice indoeuropea kwel, il cui significato e’ quello di produrre un movimenti circolare. Nel passaggio al latino e’ diventato colere, coltivare. La ‘cultura’ dell’anima ‘ non richiede attitudini diverse dall’umile ‘coltura’ dei campi: retaggio del passato, consapevolezza del presente e proiezione nel futuro ‘ La parola italiana educazione e’ un termine colto, che riprende l’accusativo educationem, del sostantivo latino educatio. Quest’ultimo deriva dal verbo educare, che a sua volte proviene da educere, dal valore originario di trarre fuori, saper essere, prima che sapere e quindi saper fare’.

Quindi, possedere cultura non significa sapere a memoria le date del Codice Napoleonico o della pubblicazione di Dei delitti e delle pene; bensi, ‘saper essere’, saper trasmettere valori agli altri, facendo loro raggiungere il ‘divenire attraverso l’essere’; diversamente, si sono solo imparate molto nozioni. Come fa giustamente rilevare il Prof. Preve, nell’attuale societa’ post-moderna, non puo’ essere tollerata cultura al di fuori dall’ambito accademico. E’ importante notare che questa e’ una caratteristica tipica della societa’ post-contemporanea. E’ noto a tutti che Marx, Gramsci, ecc. non erano ne’ insegnati ne’ docenti; bensi, pensatori calati nella realta’ sociale e popolare. Ecco, quale dovrebbe essere il ruolo dell’intellettuale: rappresentare l’avanguardia culturale (nel senso precedentemente analizzato) del popolo. Qua appare un altro tratto tipico del cosiddetto ‘intellettuale di sinistra’, unico ‘sacerdote del politicamente corretto’ (sempre citando Preve), a cui solo vengono riconosciuti i galloni di ‘portatore di cultura e di verita” nell’Italia post-secondo dopoguerra. La Sinistra in Italia non e’ affatto portatrice delle istanze del popolo; anzi, lo schifa. Come fece notare D’Alema qualche tempo fa, il problema del comunismo italiano e’ che non e’ radicato nelle fasce piu’ popolari del Paese. Ecco che diventa paradigmatica la figura di Busi. Costui prova evidente ribrezzo per il popolo, non si cura di ‘trarre fuori’ da esso il meglio di se’; bensi, esalta il suo ego chiaramente frustrato, nel mettere distanza tra egli e gli altri, autodichiarandosi superiore, non in funzione di chissa’ quali doti spirituali, o di una vera cultura, ma, unicamente in funzione di un mero nozionismo da cruciverba. Come mi ha confermato un mio caro amico, che studia il fenomeno dei reality, anche nei mass media vige una vecchia regola della sociologia: il potere lo gestisce chi controlla i ‘vocabolari di comunicazione sociale’, dato che la societa’ si basa su simboli sociali (Baudrillard) e sull’ ‘interazione strategica’ (Goffman). Con questo intendo dire, che e’ assolutamente inutile (anzi, ben utile a legittimare il potere attuale) far sfoggio di citazioni e date storiche, se il popolo non capisce cio’ che dici. Come detto, i veri intellettuali che, nel passato, segnarono le rivoluzioni sociali, non stavano chiusi nei loro salottini e studioli, ripetendosi quando erano bravi; al contrario, si calavano nel popolo, facendosi avanguardia dei suoi bisogni e sentimenti, parlandone la stessa lingua. L’ultimo movimento italiano in grado di agire su questo terreno fu il Futurismo. Movimento anti-accademico per antonomasia, riusci a rendere artistiche le fascinazioni che il popolo provava per il ‘moderno’, vivendo in prima persona le aspirazioni dell’epoca, tanto che i suoi protagonisti andarono nelle trincee della I Guerra Mondiale, insieme agli ultimi della societa’. Qualcuno puo’ seriamente immaginare un Busi o un Eco andare a raccogliere le arance insieme agli immigrati, clandestini o no, di Rosarno?
Questa e’ la tragedia della cultura e degli intellettuali in Italia: il loro totale scollamento, disinteresse e, in definitiva, schifo nei confronti del popolo. Fa bene Busi a segnalare come la tragedia sia che i ragazzi vogliano essere come il ‘tronista’ e la ‘velina’ di turno, invece che cercare di elevarsi verso l’esempio fornito dagli intellettuali. Ma la colpa non e’ dei ragazzi; bensi, degli intellettuali che dovrebbero abbandonare i loro salottini e le vacanze sugli yacht, e cominciare a parlare la lingua e usare il ‘vocabolario simbolico’ del popolo, ovviamente fornendo esempi e valori alti. Al contrario, Busi rappresenta la classica figura di pseudo-intellettuale frustrato, egocentrico e radical-chic, imbottito di nozionismo e totalmente mancante di ‘retaggio del passato, consapevolezza del presente e proiezione nel futuro’, in conclusione, totalmente privo di cultura. Per il resto, lascio altri accapigliarsi sull’omofobia in Italia (anche se Busi, Vendola, Eva Robin’s, Luxuria, Platinette, ecc. mi fanno dubitare che esista realmente) e sulla legittimita’ di andare nella televisione di Stato, quindi pagata dagli italiani (fino a prova contraria nella stragrande maggioranza cattolici) a offendere il Papa. Onestamente, sono piu’ preoccupato della situazione della cultura e della fine del ruolo di avanguardia popolare degli intellettuali in Italia.

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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