Gaza: "una guerra non necessaria" (Jimmy Carter)

8 gennaio 2009, “Washington Post” — Io so per il mio personale coinvolgimento negli eventi che la devastante invasione di Gaza da parte di Israele avrebbe potuto facilmente essere evitata. Dopo aver visitato Sderot lo scorso aprile e aver visto i seri danni psicologici causati dai razzi che erano caduti su quell’area, mia moglia, Rosalynn, e io dichiarammo che non c’era scusa per il loro lancio da Gaza, e che si trattava di un atto di terrorismo. Sebbene le vittime fossero rare (tre morti in sette anni), la città era traumatizzata da esplosioni imprevedibili. 

Circa 3.000 residenti si erano trasferiti in altre comunità, e le strade, i campi da gioco, e i quartieri commerciali erano quasi vuoti. Il Maggiore Eli Moyal riunì un gruppo di cittadini nel suo ufficio per incontrarci e si lamentò che il governo di Israele non fermasse i razzi, o con la diplomazia o con l’azione militare.

Sapendo che avremmo presto incontrato i leader di Hamas a Gaza e a Damasco, promettemmo di valutare possibilità per un cessate il fuoco. Dal capo dell’intelligence egiaziana Omar Suleiman, che stava negoziando tra Israele e Hamas, apprendemmo che c’era una differenza fondamentale tra i due lati. Hamas voleva una cessate il fuoco che coprisse sia Gaza che la West Bank, mentre gli Israeliani rifiutavano di discutere qualunque cosa che non fosse Gaza.

Sapevamo che il milione e mezzo di abitanti di Gaza erano alla fame, dato che il relatore speciale per le Nazioni Unite sul diritto al cibo aveva scoperto che la denutrizione a Gaza era altrettanto seria di quella delle nazioni più povere nel sud del Sahara, con più della metà delle famiglie palestinesi che mangiavano solo un pasto al giorno.

I leader palestinesi si dimostrarono refrattari su tutte le questioni, affermando che i razzi erano il solo mezzo per rispondere al loro imprigionamento e per rendere testimonianza alla loro grave situazione umanitaria. I più alti leader di Hamas a Damasco, comunque, erano d’accordo a considerare un cessate il fuoco solo per Gaza, a condizione che Israele non attaccasse Gaza e permettesse l’accesso ai rifornimenti umanitari per i cittadini palestinesi.

Dopo lunghe discussioni con quelli di Gaza, questi leader di Hamas furono d’accordo anche ad accettare un accordo di pace negoziato tra gli israeliani e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, che guida anche l’OLP, a condizione che fosse approvato a maggioranza dai palestinesi in un referendum o da un governo di unità nazionale regolarmente eletto.

Dato che eravamo solo osservatori e non negoziatori, passammo queste informazioni agli egiziani, e loro andarono a fondo di questa proposta di pace. Dopo circa un mese, gli egiziani e Hamas ci informarono che tutta l’azione militare da entrambe le parti e il lancio dei razzi si sarebbero fermati il 19 giugno, per un periodo di sei mesi, e che gli aiuti umanitari sarebbero stati ripristinati al normale livello precedente al ritiro israeliano del 2005 (circa 700 camion al giorno).

Non eravamo in grado di confermare questo a Gerusalemme a causa dell’indisponibilità di Israele ad ammettere qualunque negoziato con Hamas, ma il lancio dei razzi fu subito interrotto e ci fu un aumento nelle forniture di cibo, acqua, medicinali e combustibile. Tuttavia l’aumento fu in media del 20% del livello normale. E questa fragile tregua fu parzialmente rotta il 4 novembre, quando Israele lanciò un attacco a Gaza per distruggere un tunnel difensivo che veniva scavato da Hamas all’interno del muro che rinchiude Gaza.

In un’altra visita in Siria a metà dicembre, cercai di ottenere che l’imminente scadenza della tregua di sei mesi fosse allungata. Era chiaro che la questione preminente era l’apertura dei valichi di frontiera per Gaza. Rappresentanti del Carter Center visitarono Gerusalemme, si incontrarono con funzionari israeliani e chiesero se era possibile ottenerla in cambio della cessazione del lancio di razzi. Il governo d’Israele fece sapere informalmente che il 15% delle forniture normali era possibile se Hamas fermava il lancio di razzi per 48 ore. Ciò era inaccettabile per Hamas, e le ostilità esplosero.

Dopo 12 giorni di “combattimento”, le Forze di Difesa di Israele resero noto che 1000 obiettivi erano stati presi di mira e bombardati. Durante quel periodo, Israele respinse gli sforzi internazionale per ottenere un cessate il fuoco, con pieno appoggio di Washington. Diciassette moschee, la Scuola Internazionale Americana, molte case private e molta dell’infrastruttura di base della piccola ma densamente popolata area erano state distrutte. Ciò include i sistemi di fornitura di acqua potabile, elettricità, rete fognante. Volontari medici coraggiosi di molte nazioni hanno preso nota delle pesanti perdite civili, mentre i più fortunati operano sui feriti alla luce di generatori diesel.

Si spera che quando ulteriori ostilità non saranno più produttive, Israele, Hamas e gli Stati Uniti accettino il cessate il fuoco, allora il lancio dei razzi cesserà di nuovo e un adeguato livello di aiuti umanitari arriverà ai palestinesi sopravvissuti, in base a un accordo pubblico monitorato dalla comunità internazionale. Il prossimo possibile passo: una pace completa e permanente.

Jimmy Carter è stato presidente degli Stati Uniti dal 1977 al 1981. Nel 1982 fondò il Carter Center, un’organizzazione non governativa che promuove pace e salute in tutto il mondo.

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