Guerra in Ossezia

Dopo mesi di tensione, la situazione nel Nord della Georgia è degenerata in un vero e proprio conflitto. La guerra ha invaso l’Ossezia del Sud, la regione georgiana al confine con la Russia. Lo scoppio delle ostilità, in una situazione che si surriscaldava da mesi, tra la Georgia e la Russia, è avvenuto nella nottata tra il 7 e l’8 agosto 2008. Diverse imprecise notizie si erano alternate per tutta la giornata, mentre entrambi i contingenti non lasciavano trapelare i propri movimenti [Francesco de Augustinis, www.ilcassetto.it]


La Russia ufficialmente negava la smobilitazione delle truppe, mentre la Georgia tratteneva ogni notizia dalla città occupata di Tskhinvali, la capitale della regione contesa. Nella giornata di oggi, quello che sembrava un conflitto inevitabile, è esploso tragicamente, e già si contano numerose le vittime.

Sebbene entrambi gli schieramenti si accusano vicendevolmente di essere la causa del degenerare della situazione, la prima offensiva è arrivata dalle truppe georgiane, entrate con i carri armati nella capitale osseta, causando un ancora imprecisato numero di vittime e, stando a fonti diplomatiche russe, distruggendo buona parte della città. La motivazione ufficiale dell’avanzata era quella di “ristabilire l’ordine costituzionale”, contro le fazioni separatiste ossete sempre più sostenute dai peacekeeper di Mosca. La risposta russa non si è fatta attendere, già promessa direttamente da Putin a Pechino. Ieri i georgiani hanno denunciato alla comunità internazionale l’avanzata di carri armati attraverso un corridoio nella regione russa dell’Ossezia del Nord. Il 9 agosto sono arrivati i bombardamenti, che hanno colpito numerosi siti militari, fino ad una base georgiana vicino Tiblisi, ed altrettanti luoghi civili: il porto di Poti, la città di Gori, l’aeroporto di Kopitnari, fino al tentativo di bombardare la capitale georgiana, risolto con l’abbattimento di due caccia russi da parte della contraerea.

I primi numeri della crisi

Di fatto, a un giorno e mezzo dallo scoppio definitivo delle ostilità, la cifra delle vittime si aggira intorno alle 1.600 persone, più un imprecisato numero di sfollati, che sono stati spinti all’evacuazione dalle città colpite verso l’Armenia e la Grecia, secondo un piano studiato la scorsa settimana, o verso altre regioni interne georgiane.

Ma il dato più preoccupante al momento è che non sembra esserci all’orizzonte alcuna via percorribile per risolvere in breve tempo la crisi. Anzi, le prospettive sembrano andare nell’opposta direzione di un aggravamento, con l’intervento militare anche dell’altra regione georgiana separatista, l’Abkhazia, che secondo diverse fonti avrebbe già partecipato ad uno dei bombardamenti russi.

Che fare?

La diplomazia internazionale, come troppo spesso accade, è al momento immobilizzata. Da mesi e mesi la Georgia premeva per l’intervento di una missione di una missione di pace dei caschi blu dell’Onu a stabilizzare la regione. Proposta che ha sempre puntualmente cozzato contro il veto della Russia, già direttamente impegnata in una missione di peacekeeping in un conflitto tra separatisti e governo di Tiblisi in cui è direttamente coinvolta.

La posta in palio

Le questioni in gioco in questo conflitto sono varie e diverse. La prima, ormai consueta causa di scontro, è il petrolio. La regione osseta ospita infatti il passaggio dell’unico oleodotto che collega le forniture petrolifere dal Mar Caspio alla Turchia e all’Europa senza passare per la Russia. Un passaggio strategico, che impernia di valore economico la disputa sulla regione aggravando la situazione. E non è certo un caso che uno dei primi bombardamenti russi in Georgia, abbia coinvolto proprio il porto di Poti, lo sbocco sul Mar Caspio dell’oleodotto: come ad approfittare subito della situazione per rimarcare il proprio quasi-monopolio nella fornitura energetica europea.

La contesa georgiana inoltre implica una questione di influenza territoriale, motivo dell’acuirsi delle tensioni in tempi recenti. Da una parte la Russia, che dopo aver ritrovato autorità diplomatica internazionale, intende rafforzare la sua influenza nelle aree ex-sovietiche. Dall’altra la Georgia, fortemente filo occidentale, prossima ad entrare a far parte della Nato. Questa situazione spiega perché una delle prime mosse del presidente georgiano Saakashvili sia stata quella di lanciare un appello pubblico negli Usa, tramite la Cnn, per chiedere il coinvolgimento internazionale, americano in particolar modo, nella vicenda. Dall’altra spiega perché la Russia attribuisca tale priorità alla questione dell’Ossezia, per riaffermare la propria autorità, in un momento in cui innumerevoli ex repubbliche sovietiche, tra cui big come l’Ucraina o la Lituania, si rendono disponibili ad ospitare basi Nato.

Nell’ottica dell’influenza, la Russia aveva già diffuso il proprio passaporto al 90 per cento dei cittadini osseti, e si era impegnata nel controllo della regione come peacekeeper. Similarmente, gli Usa sono da lungo tempo impegnati con una forza militare in un programma di addestramento delle truppe georgiane, loro alleate militari nel conflitto iracheno. In questo conflitto di influenza, si inserisce marginalmente l’Ue, che più volte aveva tentato la mediazione con la Russia, prendendo le parti di Tiblisi.

Un nuovo Kosovo?

Attraverso la chiave di lettura dell’influenza, bisogna anche valutare le istanze in gioco. La stragrande maggioranza della popolazione multietnica della regione infatti sarebbe favorevole all’indipendenza, già proclamata in un precedente conflitto risalente ai primi anni Novanta, ma mai riconosciuta dalla Georgia e dalla comunità internazionale. Sebbene lo scenario sembri simile a quello del Kosovo, che si è risolto recentemente nell’affermazione e il riconoscimento di un paese indipendente, una simile soluzione potrebbe avere qui risvolti differenti. Un’indipendenza talmente fomentata e partecipata dalla Russia avrebbe infatti la valenza di una vera e propria annessione.

Il che significa che le uniche due vie di risoluzione della crisi sembrano essere l’annessione alla sfera occidentale, oppure quella alla Russia. Entrambe totalmente indigeste all’opposto schieramento: uno scenario sinistro che ricorda fortemente atmosfere da guerra fredda. La questione georgiana è il primo banco di prova serio per il nuovo presidente russo Medvedev, il quale al momento sembra approvare il pugno duro proposto dal suo predecessore e primo ministro Putin, affermando che è “preciso dovere della Russia difendere i propri cittadini, ovunque essi siano”. Facendo riferimento sia ai cittadini osseti con passaporto russo, sia alle vittime del contingente russo dell’invasione della scorsa notte, il presidente ha così promosso con decisione l’azione militare. Dall’altra parte dell’Atlantico invece, per ora arriva solo condanna unanime al conflitto, senza dichiarazioni di intenti più precise. L’Onu, infine, come si è troppe volte verificato di recente, nella questione osseta in particolare, resta ancora congelata dal potere di veto, in questa circostanza russo.

 

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