Chi piange sull’euro forte

La rivalutazione della moneta europea è un problema per gli esportatori che devono ridurre i margini. Ma è una buona notizia per i consumatori. O almeno per gli importatori dai paesi dell’area dollaro, che realizzano grandi guadagni. D’altra parte, ben più delle banche centrali sono i mercati finanziari a dettar legge sui tassi di cambio. Ed è bene che sia così. Perché nessuno sa quale sia il giusto livello del dollaro. Tanto meno quei governi che ascoltano troppo chi oggi piange e troppo poco chi ride [Charles Wyplosz].


C’era una volta un ministro dell’Informazione, che stabiliva quali dovessero essere le linee editoriali del servizio pubblico di radio e televisione, “la voce” della Francia. A quell’epoca il tasso di cambio, vale a dire il valore della moneta francese, era affidato alla responsabilità del ministro delle Finanze, il quale peraltro proibiva ai francesi di portarsi dietro denaro, quando andavano all’estero. Nessuno si permetteva di farsi gioco delle autorità e la nostra moneta, che si chiamava franco, era al riparo delle speculazioni. Ahimé, i tempi sono cambiati, non abbiamo più i franchi ed è divenuto piuttosto spiacevole sovrintendere ai destini del nostro bel paese.

GRIDA E SILENZI

La moneta subisce la stessa sorte delle opinioni: il governo non può decidere ciò che è vero e ciò che è falso. L’euro è forte, e allora? Certo, si tratta di una cattiva notizia per i nostri esportatori, che vedono restringersi i loro margini di guadagno. A proposito, ma dov’erano costoro, quando l’euro valeva la metà di ciò che vale oggi? Le loro voci allora tacevano, esattamente come oggigiorno, con i prezzi di latte e cereali alle stelle, tacciono quelle degli agricoltori. L’euro forte, tuttavia, è un’eccellente notizia per noi consumatori. La benzina è cara? Lo sarebbe ben di più se l’euro non si fosse così rivalutato rispetto al dollaro. I prezzi dei prodotti importati dalla zona-dollaro (America del Nord e del Sud, Asia) si sono considerevolmente abbassati, se non per noi, almeno per gli importatori che li pagano assai meno. Se i prezzi al dettaglio non sono calati, ciò è dovuto agli importatori e ai distributori che realizzano grossi guadagni, agevolati da una concorrenza “imbavagliata” da leggi scellerate, che governano il commercio.

Oggi l’euro è forte, era debole nel 2000 e prima o poi lo sarà nuovamente. Quando i tassi fluttuano c’è sempre chi guadagna e chi perde. Stranamente, però, si sentono sempre le lamentazioni di chi perde e mai le grida di giubilo di chi guadagna. Fa parte della natura umana. E fa anche parte della natura umana preoccuparsi per coloro che stanno male. Non dobbiamo però essere ingenui e lasciarci influenzare da chi preme per ottenere aiuti quando va male, ma sparisce dal paesaggio mediatico quando va molto bene.

Tutto ciò ovviamente non succederebbe se i tassi di cambio fossero stabili, controllati dai governi e dalle loro banche centrali. Il che potrebbe avvenire solo se le politiche economiche dei vari governi fossero coordinate tra loro. Ai tempi di Bretton Woods la valuta di riferimento era il dollaro e il valore delle altre monete era fissato in rapporto alla moneta americana, motivo per cui le banche centrali si adeguavano sempre a ciò che faceva la più importante di loro, vale a dire la Federal Reserve. Non appena si derogava a tale disciplina, la moneta nazionale veniva attaccata, al ribasso da noi, al rialzo in Germania e in Svizzera. Per evitare tali attacchi si instaurarono controlli di cambio, con scarso successo. Coloro che si lamentano della volatilità dei tassi di cambio aspirano forse a questo? Sperano forse che l’euro diventi moneta di riferimento nell’universo finanziario? Se è così, temo che ciò non avverrà in tempi brevi. Gli Stati Uniti da quest’orecchio non ci sentono. E neanche gli inglesi o i giapponesi e, del resto, neanche i tedeschi. Dover combattere contro tutti è cosa improba.

MERCATI SOVRANI

Non si potrebbe almeno limitare le fluttuazioni dei tassi di cambio? Un piccolo intervento di tanto in tanto non farebbe male, è vero. Ma neanche bene. Nel nostro bel mondo globalizzato, il potere delle banche centrali si limita a fissare il tasso d’interesse interno e, per giunta, solo quello a breve termine. Per il resto, sono i mercati finanziari, ben più potenti delle banche centrali, a dettar legge. Coi tempi che corrono, è difficile difendere il ruolo dei mercati finanziari. Forse che, ancora una volta, non  dimostrano la loro pericolosità? Mah, non è poi così sicuro.

Solo un anno fa, la grande angoscia globale su cui dissertavano senza fine gli osservatori riguardava “i grandi squilibri mondiali”. Da una parte il deficit esterno degli Stati Uniti, dall’altra il surplus della Cina. Non poteva durare e ci si chiedeva affannosamente come sarebbe finita. Tutti sapevano ciò che avrebbe dovuto accadere. Era necessario che i cinesi consumassero e importassero di più. Cosa che hanno regolarmente fatto, mostrando un vorace appetito per latte, grano, petrolio, acciaio, carbone e tante altre belle cose. Di colpo i prezzi di tutto ciò che un miliardo e trecento milioni di cinesi ha voluto comprare è aumentato moltissimo. È un passo nella giusta direzione: il surplus della Cina ha cominciato a svanire e i fornitori si stropicciano le mani. Bisognerà abituarsi: non siamo gli unici consumatori voraci.

Doveva svanire anche il deficit esterno degli Stati Uniti. Ed erano necessarie due condizioni. La prima era che gli americani stringessero la cinghia, consumassero meno e risparmiassero di più. Avevano smesso di risparmiare quando il volo della borsa e dei prezzi degli immobili li aveva illusi di essere tutti molto ricchi. Per indurli a risparmiare di nuovo era necessario che i titoli crollassero ed è regolarmente avvenuto. Il calo dei loro consumi avrebbe provocato, negli Usa, una recessione con conseguente ribasso del dollaro, in grado di rendere più competitiva l’economia americana e di attenuare la recessione. Il che sta regolarmente avvenendo.

Tutto ciò era prevedibile e previsto. Si trattava solo di sapere se sarebbe avvenuto di colpo o per gradi: si parlava di atterraggio dolce o catastrofico. Per il momento, sembrerebbe una via di mezzo, anche se la catastrofe è sempre possibile. I mercati finanziari fanno il loro mestiere. Con un po’ troppo zelo, però: prima troppa esuberanza, poi troppo panico. Ma da quando esistono – e son secoli – hanno sempre avuto questa caratteristica. Ultimamente, però, abbiamo fatto enormi progressi nello stabilizzarli e nel limitare gli effetti di questi accessi febbrili. Bisogna farne ancora molti, ma tra questi non rientra quello di impedire al dollaro di svolgere il suo ruolo. Anche perché, in fondo, nessuno sa quale sarebbe il suo “giusto” livello. Non lo sanno, soprattutto, quei governi che, attualmente, ascoltano troppo coloro che piangono e troppo poco quelli che ridono.

(traduzione di Daniela Crocco per www.lavoce.info)

 * Il testo in lingua originale è pubblicato su Telos.

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