Urbanizzazione e benessere

Il 2008, ce lo dicono le Nazioni Unite, sarà l’anno in cui la campagna passerà il testimone alle città, perché per la prima volta più della metà della popolazione mondiale vivrà in aree urbanizzate. È opinione comune che questo sia un segno di benessere crescente. D’altra parte è vero che, in media, la ricchezza pro capite è più alta nei paesi a maggiore urbanizzazione. Ed è anche vero che gli stili di vita in ambiente urbano siano, in genere, diversi e, talvolta, più sostenibili: a parità di reddito un donna che abita in una città dell’Africa sub-sahariana ha la metà dei figli di una donna che abita in campagna [Pietro Greco, www.greenreport.it].

 


Tuttavia sarebbe davvero errato pensare che l’urbanizzazione sia un bene in sé che produce, naturaliter, maggiore benessere. Per due ragioni. La prima è che oltre un miliardo di persone (il 28% della popolazione urbana, il 14% della popolazione mondiale) che abitano in città vivono in slums, ovvero in sobborghi in cui – come scrivono David Bloom e i suoi collaboratori sulla rivista Science – il degrado sociale e anche ecologico è tale che anche la speranza è perduta. Per tutte queste persone – e non sono davvero poche – l’urbanizzazione si è tradotta in una perdita di benessere. E non solo da un punto di vista economico.

L’altro dato che dimostra la non sovrapponibilità tra la corsa irresistibile verso la città e la crescita del benessere ci viene dall’analisi comparata dei due fenomeni in Asia e in Africa. Nei due continenti il fenomeno dell’urbanizzazione è stato del tutto analogo. In Asia come in Africa nel 1960 solo il 20% della popolazione viveva in città. Quarant’anni dopo, nel 2000, la percentuale era salita per entrambi i continenti quasi al 40%. La crescita della popolazione urbana ha seguito, in entrambi i continenti, una crescita lineare.

Molto diversamente sono andate le cose sul piano economico. Nel 1960 l’Africa aveva un reddito medio pro capite (calcolato a parità di potere d’acquisto) di oltre 1.500 dollari l’anno, contro i 1.000 di reddito pro capite in Asia. Un africano era più ricco, in media, del 50% rispetto a un asiatico. Quarant’anni dopo il reddito pro capite in Africa risulta pari a 2.250 dollari,mentre in Asia supera i 4.500 dollari. Malgrado i due continenti abbiano subìto un analogo processo di urbanizzazione, in quarant’anni in Africa la ricchezza pro capite è aumentata solo del 50%, mentre in Asia è aumentata del 450%. Cosicché oggi un africano guadagna, in media, la metà di un asiatico.

Queste due vicende – un cittadino su tre che abita in slums senza speranza e la diversa crescita tra Africa e Asia – dimostra che l’urbanizzazione non è di per sé un fattore di sviluppo economico e sociale. Lo può diventare se il fenomeno dell’urbanizzazione è ben governato, se il reddito è ben distribuito, se le infrastrutture essenziali sono assicurate, se c’è un sistema sanitario universale. Se l’ambiente è ben tutelato. Senza queste condizioni chi si trasferisce in città invece dell’atteso paradiso, trova l’inferno.

 

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