Alitalia, pesci d’aprile e pesci da pigliare…

Il pesce d’aprile quest’anno ce lo farà Alitalia. M’immagino la scena in cui al posto di una schiera di schermi verdi con caratteri bianchi con scritto al posto di “Check-in closed/ Banco di Accettazione chiuso”: “pesce d’aprile”. Quel giorno infatti dovrebbe partire il nuovo orario, che praticamente trasformerà nel giro di una notte Malpensa da un gioiellino costato miliardi pubblici in una battuta di cemento abilitata agli atterraggi e ai decolli nella pianura varesina, sempre che gioiellino possa considerarsi un aeroporto collegato con il centro non nella sua stazione centrale ma in una secondaria (Cadorna), alla faccia dell’intermodalità [Alberto Leoncini].

 


Il problema è che il pesce d’aprile non si esaurirà nella canonica data deputata dalla tradizione, ma realisticamente proseguirà ad oltranza poiché la (s)vendita a AirFrance-KLM sembra ormai cosa fatta, dato che il TAR del Lazio ha respinto il ricorso di APHolding (AirOne), che comunque sarebbe stata una sardina che voleva mangiare la balena (tanto per continuare a parlare di pesci), seppur coadiuvata da una banca, che, parafrasando il famoso motto dei casinò, “vince sempre”, permettendo al capitale finanziario di comprarsi l’ennesimo pezzo d’industria. Stavolta è andata male, anche se il Consiglio di Stato potrebbe ancora riaprire i giochi, ma nessuno sembra crederci molto.

Che la caduta del governo Prodi sia stata una iattura, perché mai se n’è visto uno formato da personaggi così bravi nelle svendite e nelle promozioni di aziende pubbliche, su questo non ci piove. Evidentemente AirFrance voleva fare il passo più lungo della gamba: ricevere come regalo il 40% del traffico aereo italiano, togliere di mezzo un polo aeroportuale potenzialmente concorrente, rilevare un brand noto ovunque e per finire diventare leader mondiale nel trasporto aereo. Un asso pigliatutto, il cui deus ex machina è in realtà il Governo francese, dato che AirFrance è un’azienda a controllo pubblico, poiché i cugini d’oltralpe sono stati un po’ più lungimiranti di noi nel non alienare la presenza dello stato nella navigazione aerea. Geopoliticamente, insomma una mossa strategica. Ora le cose si complicano un po’, ma neppure molto, poiché tutta la grande classe imprenditoriale italiana non è stata capace di far altro che un congresso di belle parole alla Camera di Commercio di Milano; nessuno dei grandi magnati ha mosso un dito per ciò che non riguardasse il proprio orticello. Vive la France, a questo punto. Non v’è dubbio che sia la soluzione migliore, la più industrialmente seria. La migliore dopo l’esproprio per pubblica utilità, che ricordo essere possibile in base all’art.43 della vigente Costituzione della Repubblica, ma del quale ci si ricorda solo quando si devono fare i regali ai comitati d’affari il cui compito è costruire le “grandi opere”, pazienza che poi rischino di fare la fine del suddetto gioiellino varesino, la torta degli appalti è già stata spartita.

Almeno si sia coscienti del pingue regalo che stiamo facendo ai cugini d’oltralpe: la storia dei due hub è uno dei più ridicoli argomenti che siano mai stati inventati. La Germania ha Monaco e Francoforte, più un aeroporto da quasi 30 milioni di passeggeri annui in costruzione a Berlino, la Spagna ha Barcellona e Madrid, eppure entrambi i paesi hanno due compagnie di bandiera che, con coefficienti di riempimento minori di Alitalia, producono utili.

Ciò che gli strateghi italiani sono riusciti a fare contravviene le più basilari leggi economiche: creare un buco miliardario in una società che il suo lavoro lo fa benissimo: portare il passeggero da A a B. Sull’efficienza, la cortesia, la pulizia e la puntualità si potrebbe  a lungo discutere, tuttavia se gli aerei partono pieni, qualcuno li userà… Il problema insomma non è semplicemente quello di chiudere tratte improduttive o poco strategiche, è quello di guadagnarci su quello che già c’è! Sarebbe troppo semplice se le cose stessero così, eventualmente basterebbe ridimensionare la flotta, e riposizionare i collegamenti ma il punto è un altro: le esternalità negative cui è stata sottoposta, unite alla cattiva gestione hanno creato un’infinita serie di guai, e nessuno sa bene che pesce pigliare, anche se in qualche modo il problema deve essere risolto e in fretta perché il ridimensionamento proposto dal Piano Prato lascerà praticamente a se stesso il trasporto aereo italiano, che oltre a generare una fuga di indotto di dimensioni ciclopiche (mancati introiti fiscali, mancate tasse aeroportuali, disoccupazione…), vedrà aumentati tempi morti per i passaggi fra uno scalo e l’altro, sarà quindi un modo per scaricare sul privato costi in più, ovviamente in modo “spalmato” e indiretto.

Come dicevo vendere ai francesi è un boccone amaro da inghiottire, ma se non si può fare di meglio, si opti almeno per l’armistizio piuttosto della resa incondizionata, anche perché per trattare l’armistizio i margini e i precedenti ci sono: anche al momento di acquisto di KLM, AirFrance ha concesso una moratoria su Amsterdam, e quindi non si capisce perché non lo si possa fare lo stesso anche su Milano. Seconda condizione dell’armistizio sarebbe una quota per il Tesoro nella nuova holding almeno del 5%, giusto per non fare la figura dell’oliva nel Martini, oltre al potenziamento dello scalo di Fiumicino come hub di riferimento per la holding sul Mediterraneo ed al mantenimento dell’indotto industriale italiano. 

Alberto Leoncini

 

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