Ci sarebbe semmai da chiedersi come mai gli afgani, che non sono arabi, si siano indotti a utilizzare questi mezzi che sono estranei alla loro cultura guerriera. Nei dieci anni di conflitto contro i sovietici non avevano compiuto un solo atto terroristico, tantomeno kamikaze. Ma i russi stavano sul terreno, combattevano con truppe di terra e quindi i guerriglieri potevano combatterli, sia pur ad armi impari. La Nato usa bombardieri, missili, aerei fantasma, senza equipaggio, comandati dal Nevada. Di fronte al “nemico che non c’è”, che armi restano alla guerriglia? Eppure nonostante ciò, a lungo il mullah Omar, sia per motivi religiosi (non si dimentichi che nella guerra Iraq-Iran Khomeini proibì ai suoi, in nome del Corano, l’uso di armi chimiche che furono invece il pezzo forte del nostro alleato, Saddam), sia per la concezione della guerra che hanno gli afgani, sia perchè è ovvio che la guerriglia non ha alcun interesse a inimicarsi i civili dal cui sostegno dipende, si è opposto ad attacchi di tipo terroristico. Ma alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza, pur limitandoli a obiettivi comunque militari. Neppure i talebani possono permettersi di perdere centinaia di uomini alla volta, combattendo in campo aperto, sotto i bombardieri senza alcuna possibilità di risposta.
E allora che cosa ci facciamo in Afghanistan? Siamo lì, si dice, “per ricostruire quel martoriato Paese”. Ma quel Paese lo hanno martoriato e distrutto le tonnellate di bombe all’uranio impoverito dei nostri alleati americani. Siamo lì, si dice ancora, per riportare l’ordine e la sicurezza. Ma con i talebani l’ordine e la sicurezza c’erano, sia pur sotto il pugno di ferro di una dura legge, la saharia, che a noi non piace ma che gli afgani avevano accettato. Chiunque sia stato in Afghanistan durante il regime talebano può confermare che vi si poteva viaggiare trenquillamente anche di notte. Purchè si rispettasse la legge.
Ho l’impressione che gli afgani, o una buona parte di loro, non vogliano i nostri ponti, le nostre scuole, le nostre chiese (perchè proprio noi italiani abbiamo avuto l’impudenza di costruirvi anche delle chiese) la nostra carità pelosa, il nostro diritto, i nostri costumi. Vogliono continuare a vivere come hanno sempre vissuto, e con grande dignità, secondo le loro tradizioni, prima che le aggressioni dei due Occidenti trasformassero quella terra, felice a modo suo, nel teatro di una tragedia di cui noi soli siamo i responsabili.
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