Finanziaria: la maggioranza "mangia il panettone". Forse.

La finanziaria è passata, forse sigillando le toilettes del Senato, forse con la pragmatica minaccia della rinuncia alla spartizione della torta, ma comunque bisogna dar atto al Governo ed alla maggioranza che lo sostiene di aver retto. E’ insomma realistico pensare che “mangi il panettone”, come ironicamente si dice (Alberto Leoncini).

Se poi andiamo a guardare lo schieramento politico, i due partiti che sembrano voler superare il bipolarismo-degli-spaghetti al quale gli ultimi anni ci avevano abituato (anche se sinceramente non ho mai ben capito in che cosa la sinistra si differenziasse dalla destra, stante che il Patto di Stabilità valeva per entrambi, i poteri forti che stavano alle loro spalle i medesimi e l’accettazione del sistema liberal-liberista pure, forse nella possibilità di andare dal barbiere il lunedì) hanno due nomi che più generici e qualunquisti non si può, segno che il dibattito politico non è più incentrato sui programmi, sulle scelte e sul dibattito, semplicemente su una scelta pro o contro un personaggio e i suoi vaghi propositi, spesso conditi da eventuali risvolti clientelari.

Il problema a questo punto è in questi termini: chi lo mangerà il panettone? Probabilmente quelli che non lo mangeranno affatto sono proprio gli italiani, le cui tredicesime taglieggiate da rate dei mutui, caro benzina, aumenti nei generi di prima necessità e trasporti, uniti al continuo taglio di risorse per i servizi pubblici essenziali, renderanno questo Natale ancora più povero, insicuro e indebitato.

Nello scenario politico che sembra angustiato da grandi problemi, quali la riforma della legge elettorale, la collocazione dei partiti e il grande dilemma sulle “riforme costituzionali” non c’è di sicuro spazio per parlare di affitti, caro banche, aumento dei prezzi, crisi delle industrie, importazioni dall’Estremo Oriente… Persino una lodevole iniziativa della Coldiretti come quella di “Chilometri 0”, cioè il promuovere anche presso mense e ristoranti i prodotti agricoli locali senza dover importare, inquinando, derrate da oltreoceano, ha avuto spazi limitatissimi nei mezzi di informazione. Già se prendesse piede quel tipo di cultura, per la quale prima di riempirci di pomodori marocchini o pompelmi israeliani ci accontentassimo di radicchio di stagione, mele o arance, un bel passo avanti sarebbe fatto, sia economicamente che culturalmente.

Tutti, a leggere giornali e TV, sembrano angustiati dall’ansia di scoprire come si chiamerà il nuovo partito che Berlusconi ha fondato, oppure dall’attendere con ansia lo sviluppo della “cosa rossa”, della quale ironicamente ha scritto Alessandro Robecchi su “il manifesto” di domenica 18 novembre, chiedendosi dove fosse finita in realtà. Forse nemmeno a sinistra le idee son tanto chiare sul cosa fare, a parte inondare l’elettorato di parole nell’ennesimo talk-show nel quale gli “estremisti” prometteranno barricate, per poi cedere al mostro-Berlusconi in cambio di qualche vantaggio non meglio precisato, tanto che persino Pietro Sansonetti, direttore di “Liberazione”  si è domandato: “Ma che ci stiamo a fare?” e la tenace editrice “Massari” di Bolsena ha recentemente pubblicato un testo dal titolo “I forchettoni rossi, la sottocasta della sinistra radicale”.

La classe politica sembra però non accorgersi di questa situazione di profonda sfiducia da un lato e di disinteresse dall’altro: le forze politiche marginali, o ancor di più fuori del palazzo, si fanno realmente interpreti di questo malcontento, nella più solenne indifferenza dei mezzi d’informazione. Due esempi, scelti a caso per la loro gustosità, il primo è un simpatico video tratto da youtube dove l’on. Bontempo (La Destra) propone un o.d.g. sul signoraggio alla Camera dei Deputati e gli viene tolta letteralmente la parola (per visualizzarlo cercare come parola chiave “signoraggio”), o l’iniziativa del “Movimento No Euro” di distribuire come “gadget” elettorale della pasta con il proprio marchio a mo’ di denuncia del carovita, avvenuta in concomitanza con le elezioni amministrative del 2006. Sarà propaganda, sarà demagogia, ma la pasta si mangia, le parole no!

Se è vero che l’Italia ha una fascia non risibile di popolazione che è ormai diventata consapevole di problemi quali l’inquinamento, i limiti del modello di sviluppo e che cerca di vivere in modo responsabile e coerente ergendosi a giudice, come sempre dovrebbe essere, dei governanti, c’è per contro un’altra fascia ancora poco sensibile che non si fa troppo carico dei grandi problemi delegandoli alla classe politica, senza però esercitarvi un controllo. Paradossalmente si tratta spesso di persone con un reddito medio e una cultura affatto limitata. Forse è proprio per questo che la classe politica sempre più debole e immobilizzata non è stata spazzata via: certo i voti ci sono, e in democrazia vince chi ha i numeri, ma non di rado la storia ci ha insegnato che le contingenze possono dare alle minoranze spazi inaspettati, e a quel punto i mezzi di governo e gestione della cosa pubblica mutano radicalmente e spesso in modo drammatico. Cosa succederebbe se l’Italia uscisse dall’Euro, come propone il succitato movimento o se le banche fossero nazionalizzate come il Partito Comunista dei Lavoratori (di Ferrando) propone? Meglio darsi da fare e far mangiare qualche panettone in più per questo povero, povero Natale che ci apprestiamo a festeggiare fra mille incertezze.

Alberto Leoncini

 

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