L’eredità previdenziale

Il tavolo delle pensioni sembra incapace di rivolgere uno sguardo al futuro. La dinamica demografica e’ lenta, ma i suoi effetti sul sistema previdenziale si faranno sentire drammaticamente quando i baby-boomers italiani inizieranno a lasciare il lavoro. Aspettare che anche l’Inps vada in disavanzo prima di agire e’ sicuramente inefficiente e miope. Ed e’ anche iniquo verso le generazioni future, che saranno chiamate a sostenere l’intero costo dell’invecchiamento della popolazione. Se le risorse ci sono, utilizziamole pensando ai giovani di oggi [Vincenzo Galasso, www.lavoce.info]. 

Un esercizio di contabilità

Se ci sono i fondi necessari – l’ormai mitico tesoretto – è possibile eliminare scaloni e anche scalini. L’idea, esplicitata il 5 luglio su La Repubblica da Luciano Gallino nella sua “Lettera aperta all’Inps” è di una disarmante semplicità, è molto efficace. Purtroppo, i calcoli riportati sono fuorvianti e la logica difficilmente condivisibile.

Concentrandosi sul flusso di cassa del sistema previdenziale – entrate correnti, ovvero le contribuzioni dei lavoratori, e uscite correnti, ovvero le pensioni – Gallino sostiene che nel 2007 ci saranno sufficienti risorse per pagare le pensioni dei lavoratori dipendenti. Ogni eventuale squilibrio di cassa è da imputare alle prestazioni assistenziali o ad altri sistemi diversi dall’Inps, ad esempio, dirigenti d’azienda, Fs, artigiani. Perché dunque chiedere proprio ai lavoratori dipendenti – per altro tradizionale elettorato del centrosinistra – di pagare il conto attraverso un allungamento della vita lavorativa? L’esercizio di contabilità presentato da Gallino si basa su una divisione ex-post e alquanto arbitraria tra assistenza e previdenza. (Si veda, su questo punto, la risposta di Boeri e Brugiavini a Eugenio Scalari).

E una logica sbagliata

Ma se anche la contabilità fosse giusta, la logica di fondo non lo sarebbe. Questa tesi si basa su una visione statica, se non miope, del sistema previdenziale: se ci sono abbastanza risorse per far fronte agli impegni di oggi, non serve cambiare. Ma cosa faremo tra qualche anno, quando il rapporto tra lavoratori contribuenti e pensionati si ridurrà drasticamente e non ci saranno le risorse sufficienti per pagare le pensioni – almeno non generose come adesso? Saremo disposti ad accettare una sostanziale riduzione degli assegni? Non sembra, visto che l’aggiornamento del coefficiente di rivalutazione previsto dalla riforma Dini è fortemente osteggiato. Preferiremo forse aumentare l’aliquota contributiva, già oggi la più alta d’Europa, o ricorrere in misura ancora maggiore alla fiscalità generale? Gallino non sembra preoccupato da questa seconda alternativa. Gli esperti internazionali – Fondo monetario internazionale, Ocse – ma anche i mercati finanziari, un po’ di più.

La dinamica demografica è lenta, ma i suoi effetti sul sistema previdenziale si faranno sentire drammaticamente quando i baby-boomers italiani inizieranno ad andare in pensione. Aspettare che (anche) l’Inps vada in disavanzo prima di agire è sicuramente inefficiente e miope: quale padre di famiglia non risparmierebbe parte del suo reddito corrente se sapesse che un magro futuro lo attende? Ma aspettare è anche iniquo. Verso le generazioni giovani e future, che saranno chiamate a sostenere l’intero costo dell’invecchiamento della popolazione. Se non oggi, infatti, un forte aumento dell’età di pensionamento si registrerà tra venti o trenta anni, quando i giovani lavoratori di oggi che si avvicineranno all’età di pensionamento con carriere contributive spesso brevi e discontinue, e dunque con pensioni basse, non potranno certo permettersi di pre-pensionarsi a 55 o 60 anni, come era accaduto ai loro padri (e madri).

Aumentare l’età di pensionamento, tramite incentivi ma soprattutto disincentivi, già da oggi e magari – se, come sostiene Gallino, l’Inps è in attivo e dunque le risorse ci sono – istituire un fondo pensione che agevoli il finanziamento delle pensioni dei baby-boomers, come accaduto negli Stati Uniti già negli anni Ottanta, rappresenterebbe invece un’eccellente eredità che una classe politica non certo giovane – o un gruppo di persone di persone con figli e nipoti – potrebbe lasciare alle generazioni future.

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