Non c’è pace, senza un’etica globale

Il primo ministro israeliano Ehud Olmert ci ha fatto sapere nella notte che non ci sarà nessuna pausa dei bombardamenti del Libano nei prossimi giorni; che fermerà l’offensiva, « solo quando la minaccia hezbollah sarà rimossa ». E l’Europa che fa? Le reazioni alla strage dei bambini di Cana confermano quanto diverse siano in Europa le percezioni della galassia islamica. Vero è che l’ esaltazione della qualità della vita ha prodotto l’atomizzazione degli interessi, delle culture, l’allontanamento nei fatti di ogni etica, ha stemperato il desiderio di aggregazione: i movimenti che in Europa manifestavano per la pace dove sono finiti? di Vincenzo Maddaloni.

Ma è anche vero che molto, anzi moltissimo, vi contribuisce lo stordimento multimediale  che traduce tutto in tragedia del mero presente del nudo accadimento senza offrire un minimo spunto di approfondimento che non sia strumentalizzato, distorto dai pochi gruppi di interesse.

Oh, i miracoli dell’ informazione televisiva di guerra. Ora sappiamo che i network americani offrono ai loro telespettatori una visione edulcorata degli scontri in Libano e che le tv arabe si limitano a poche parole di commento e lasciano invece spazio alle immagini dei morti, alle grida strazianti dei sopravvissuti. Le immagini negate dagli Usa come quelle ostentate dai media arabi, perseguono – è naturale – un fine politico. Ma l’Europa, l’Italia da che parte sta? Probabilmente come diceva Edwaurd R. Murrow : « Al momento attuale siamo tutti grassi, benestanti, compiaciuti e compiacenti. C’è un’allergia insita in noi alle notizie spiacevoli e disturbanti, e i nostri mass media riflettono questa tendenza ». Lo diceva nel 1956, mezzo secolo fa. Murrow non poteva ancora prevedere che la trasformazione della comunicazione in intrattenimento sarebbe stata un’arma di dominio più potente di ogni altra perché sarebbe stata usata per impedire che si creassero milioni di persone informate, per incidere anche sulle consuetudini più radicate. La tolleranza – per esempio – che ora viene ritenuta una debolezza nell’incontro con l’Altro, poiché si può tollerare soltanto ciò che “non” si reputa vero, perché:« Nessuno può acconsentire a che il differente da sé sconvolga quella verità su cui ci si fondava». Dimenticando che , come insegna Pico della Mirandola, la tolleranza è interconnessa all’amore. E’ l’unico atteggiamento che può garantire nel confronto con l’Altro quell’armonia che il mistico Mollā-Shāh  raffigurava con un’immagine tenera: «Tu eri me e io non lo sapevo». E’ un’armonia che si può raggiungere anche  con gli hezbollah?

In senso stretto questo termine deriva dal Corano: « Coloro che scelgono come maestro Dio, il suo Profeta e i fedeli, ecco coloro che formano il Partito di Dio e che saranno i vincitori». Al di là della sua struttura militarizzata, l’Hezbollah è dunque il popolo di Dio in marcia per realizzare la città ideale in attesa del ritorno del Mahdi come predica il credo sciita a cui Hezbollah s’ispira. Si tratta di un progetto escatologico che all’Occidente può apparire incomprensibile. Ma pure davanti agli occhi di milioni di musulmani si dipana ora un Occidente in larga parte incomprensibile. Nel mondo sciita le fortune eccessive sono il più delle volte confiscate, quando non vengono utilizzate nelle celebrazioni religiose. Le società musulmane sciite non lottano contro un capitalismo, un “modello americano” che ignorano, ma per la loro conservazione, per tutelare un equilibrio tra le diverse forze sociali. Lo fanno sovente a denti stretti. Il “Rinascimento persiano”, quello dei poeti che cantavano l’amore e il vino, dei palazzi fastosi, dei veli e dei cuscini, quello delle miniature con i volti languidi dei cavalieri che tanto eccitavano Byron e poi Chatwin, è agli antipodi del puritanesimo imposto dagli ayatollah o alla lotta armata di Nasrallah .

Ora il problema, come ricordava Henry Corbin, non è di discutere quello che gli Occidentali trovano o non trovano nel Corano, quanto di sapere quello che i musulmani vi hanno di fatto trovato. Allora perché stupirsi se folle di pellegrini sciiti si recano ogni giorno dell’anno sulla montagna di Radwa ( a sette giorni di marcia da Medina, in Arabia),  dove Sâhib al zamân (colui che domina questo tempo), è nascosto: « in una fonda caverna fra pantere e leoni. Egli dimora in fioriti giardini mentre gazzelle dai neri occhi scintillanti e giovani struzzi vagano assieme a capre grigio-cenere, quando cala la sera. E insieme con loro pascolano bestie da preda, eppure nessuna li assalta per dilaniarli con l’aguzze unghie. Per grazia di Lui son sicuri da distruzione e pascolano assieme senza paura alla stessa pastura, e alla stessa fonte s’abbeverano ». Perché  l’Imam nascosto “invisibile ai sensi, ma presente al cuore dei fedeli”, colui sul quale si è polarizzata la devozione del pio sciita è il Mahdî della Resurrezione che non si rivelerà finché il genere umano non sarà capace di trovare, con il trionfo dell’ecumenismo, la sua unità.

Stiamo cavalcando l’onda esoterica mentre tuonano i cannoni e aumenta il numero dei morti, le strage dei civili e degli innocenti?  Serve per poter invocare il cessate il fuoco sventolando le bandiere della pace con consapevolezza. Se non ci si adopera a far conoscere l’Altro è inutile stupirsi poi di fronte all’apatia di quella vasta parte della società  civile che fino a ieri era decisa a lottare per la pace e ora s’è come ammutolita. In  altre parole se non si trova il coraggio di approfondire la conoscenza con l’Altro, intesa non più come modello precostituito di giudizi sulla storia passata, quanto come processo di analisi politica continua dei mutamenti socio-economici, geopolitici al fine di offrire un approccio valido nel quale la società civile possa, ritrovandosi, nuovamente sperare, il senso di frustrazione sarà sempre di più totale, l’apatia sempre più agghiacciante. Beninteso, ogni giorno siamo travolti da un’offensiva mediatica che falsa i fatti per sostenere l’immagine di un mondo diviso in due, ciascuno alternativo e incomunicabile  all’altro, ma è altrettanto vero che uomini dei media, del mondo accademico, volontari. intellettuali della società civile se lavorano in sinergia saranno sempre più in grado  di cogliere, di analizzare,  di denunciare le nefandezze della guerra e di chi la sostiene e di rilanciare il progetto di una nuova etica globale.

Se gli europei e con essi gli italiani, come hanno rilevato mille e uno sondaggi,  vivono il presente con malessere e guardano il futuro con pessimismo, sempre meno avranno stimoli e voglia di occuparsi di quel che vuol fare del Libano, dell’Iraq, dell’Iran e di tutto il Medio Oriente il presidente Bush con i suoi neocon e con i bombardamenti degli israeliani. Per raccogliere di nuovo il consenso per una forte campagna a sostegno della pace occorre che i democratici definiscano obiettivi e priorità intorno ai propri riferimenti sociali, sapendoli interpretare, e quindi sapendoli rappresentare in sede politica e istituzionale. Il che vuol dire incentivare il mondo accademico, il mondo del volontariato, mondo della comunicazione, persino il mondo dei militari illuminati  a interagire. Perché come afferma convinto Kofi Annan: « In quest’epoca di globalizzazione i valori universali sono divenuti più che mai necessari. Ogni società deve essere unita da valori condivisi affinché i suoi membri siano consapevoli di ciò che possono aspettarsi gli uni dagli altri e sappiano che esistono dei principi fondamentali, capaci di armonizzare in modo incruento le differenze sociali. Questo vale sia per le piccole comunità locali che per le grandi collettività nazionali ». Il fatto che l’Italia con la sua ritrovata diplomazia sia diventata protagonista di spicco della mediazione in Medio Oriente dovrebbe spingerci, più degli altri europei, ad impegnarci sulla pace. Anche perché, più degli altri, abbiamo il background culturale per poter ottenere ascolto dall’Altro.

 

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