"Forse domani t ammazzo"

Il 20 marzo il presidente Ciampi ha insignito Fabrizio Quattrocchi della medaglia d”oro al valore civile. Un onore che ha destato qualche perplessità , soprattutto tra i parenti dei caduti a Nassiriya. A tre anni dall”inizio del conflitto è stato pubblicato il libro-testimonianza dei tre colleghi di Quattrocchi. Che racconta la loro prigionia e liberazione, senza sedare completamente gli interrogativi sospesi [Cinzia Agostini].


 

«Bene ha fatto l”Italia a essere in Iraq. E bene avete fatto voi a reagire come avete reagito. Voi siete l”opposto di chi ha speculato in ogni modo sulla guerra e sulla pace in Iraq»: con queste parole il governatore del Veneto Giancarlo Galan ha salutato i tre ex ostaggi, intervenuti a Padova per presentare Forse domani t”ammazzo (cinquantotto giorni all”inferno), edito da Tormargana, il libro di testimonianze raccolte da Letizia Leviti di Sky.

Ma che cosa facevano esattamente Maurizio Agliana, Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Fabrizio Quattrocchi in Iraq? «Servizio di scorta a funzionari e industriali internazionali – spiega Stefio – Il governo provvisorio del paese nel 1994 ha decretato alle personalità presenti nello stato la protezione ravvicinata e la sicurezza personale, che esso non garantisce. Siamo stati definiti e presentati come mercenari, ma il mercenario è inserito nelle operazioni militari, si schiera. I liberatori della sicurezza come noi sono civili, con un contratto stipulato con società private in cui non hanno parte né il governo né le forze armate. Ma il terrorista non fa differenza». Una professione, sottolinea ancora, che richiede persone preparate: non ci sono scuole di questo tipo in Italia, perciò bisogna emigrare all”estero, frequentare un corso intensivo di sei mesi e training di aggiornamento annuali.

«Siamo stati trattati come animali, anche se gli animali si accudiscono per poi farli lavorare. Noi invece no – si inserisce Agliana – Abbiamo trascorso 58 giorni sdraiati per terra e bendati. Forse domani ti ammazzo era la loro frase di tutti i giorni. Ci davano poco da mangiare e da bere acqua sporca: aumentavano le dosi solo per girare i video».

«Volevano farci cambiare religione – riprende Stefio, il più mistico dei tre – Ma se c”è una cosa che non ci ha mai abbandonato quella è la nostra fede, quindi la volontà di resistere. Sapevamo di poter andare incontro a trattamenti di questo tipo. Dal punto di vista della resistenza fisica e psicologica eravamo allenati, quindi più preparati di altri a resistere. Loro cercavano di convertirci, ma Dio ci ha dato la forza per non cedere».

«Usavano il metodo della pressione psicologica per annullarci come persone – aggiunge Cupertino – Dal parlare in modo moderato passavano velocemente, e senza preavviso, a un chi ammazzo per primo? che a lungo logora. Noi abbiamo utilizzato una strategia di gruppo: solo uno di noi, Salvatore, ha ammesso di parlare inglese, mentre gli altri fingevano di non conoscere questa lingua. I rapitori si rivolgevano quindi solo a lui, che poi faceva da tramite a noi, in italiano».

«Conoscevano bene la politica italiana, erano organizzati, preparati; uno di loro parlava italiano – così Stefio racconta il rapimento – Siamo stati rapiti in una curva a elle in cui non c”era visibilità . Se non sei professionista, in questi casi vieni preso dal panico, spari e muori. Se sei un professionista, non spari, pensi di avere una seconda possibilità . Ti dici: mi faranno prigioniero, posso ancora scappare. E questo può salvarti la vita».

Incuriosisce una cosa in questo racconto. Il ripetuto parlare a tre voci, non a quattro. Quattrocchi viene menzionato solo alla domanda precisa: «Perché proprio lui?». Risponde Stefio: «Forse perché Fabrizio era in Iraq da più tempo ed era anche l”unico con il porto d”armi e la tessera per entrare nel palazzo del governo. Noi, che stavamo per tornare in Italia, ne eravamo privi. A lui i rapitori ripetevano spesso: «Tu ammazzi i nostri bambini». A noi piuttosto chiedevano: «Perché volete morire così stupidamente?».

Ad un certo punto gli consegnarono le scarpe, conclude Cupertino, e da quel momento i tre ostaggi non hanno saputo più nulla di lui. La notizia della sua morte li ha raggiunti dopo il rilascio, in ambasciata.

Fin qui la cronaca, in cui però ci si permette di rimarcare una nota stonata: dopo gli applausi a Quattrocchi e il meritato ricordo di Calipari, nessuna menzione, nessuna parola per Enzo Baldoni. E qualche bambino in fila per gli autografi.

Cinzia Agostini

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