Costituzione europea: contro un’Europa in fase di aggiustamento strutturale permanente

Dire no a questo trattato, significa voler rimettere l'economia al servizio dell'Uomo, rifiutare una logica che considera che l'«avere più» equivalga all'«essere meglio», significa considerare che i valori sociali e ambientali hanno almeno la stessa importanza delle considerazioni economiche, significa infine aiutare i PVS a promuovere un altro sviluppo (CADTM, Z-Net Magazine).


Dire no a questo trattato, significa voler rimettere l'economia al servizio dell'Uomo, rifiutare una logica che considera che l'«avere più» equivalga all'«essere meglio», significa considerare che i valori sociali e ambientali hanno almeno la stessa importanza delle considerazioni economiche, significa infine aiutare i PVS a promuovere un altro sviluppo.

Nel dibattito sul Trattato costituzionale europeo tra partigiani del Si e coloro che come il CADTM (Centro per l'Annullamento del Debito del Terzo Mondo, n.d.t.) sono partigiani del No, è strano pretendere che la direttiva Bolkestein sia fuori tema. Se anche non è riportata tale e quale nel Trattato, abbiamo almeno l'onestà di riconoscere che il testo ne contiene le premesse. In effetti, gli articoli dal III-144 al III-150 lasciano la porta aperta a future direttive Bolkestein, precisando tra l'altro che «gli Stati membri si sforzano di procedere alla liberalizzazione dei servizi al di là del limite obbligatorio (…). La Commissione indirizza agli Stati membri interessati delle raccomandazioni a questo riguardo» (art. III-148). L'indignazione di organizzazioni politiche che avevano accettato, da oltre un anno, le linee generali di questa direttiva dovrebbero al contempo farci interrogare sul funzionamento dell'Unione Europea, sulla sua mancanza di trasparenza e sul suo defiicit democratico, appena attenuato dal trattato costituzionale. Ciò spiega in parte la diffidenza dei cittadini europei rispetto a istituzioni che non sembrano difendere i loro interessi.

Bisognerebbe anche spiegare per quale miracolo la politica monetaria, che, per ragioni ideologiche ha come solo obiettivo la stabilità dei prezzi a cui sono interessati in primo luogo gli esponenti della finanza e gli speculatori, non avrebbe avuto conseguenze in materia di disoccupazione. E che dire del patto di stabilità e delle politiche di bilancio restrittive che vanno contro l'occupazione? La situazione economica attuale non è comunque sorprendente. E' la conseguenza dell'applicazione di più di venti anni di politiche liberali, che il trattato si propone di rendere eterne. Politiche che ricordano il contenuto dei programmi d'aggiustamento strutturale (PAS), imposte ai paesi in via di sviluppo e che hanno condotto a una maggiore povertà e ineguaglianza in molti luoghi del mondo.

I PAS imposti da vent'anni nei paesi in via di sviluppo

In seguito alla crisi del debito che li affligge dal 1982, i paesi in via di sviluppo (PVS) si sono visti imporre dai loro creditori politiche liberali che sono alla base dei piani di aggiustamento strutturale degli anni '80 e dei programmi di lotta contro la povertà degli anni '90, condotti congiuntamente dal FMI e dalla Banca Mondiale. Queste politiche non hanno avuto tregua finché non hanno limitato il peso dello Stato riducendo la spesa pubblica, sopprimendo le sovvenzioni ai prodotti di prima necessità , che da allora non sono più accessibili alle popolazioni più svantaggiate, moltiplicando le privatizzazioni delle imprese pubbliche e più in generale costringendole ad adottare politiche macroeconomiche restrittive. Hanno anche promosso strategie di sviluppo rivolte all'esterno e basate sulla libera concorrenza, che ha condotto alla liberalizzazione degli scambi commerciali e dei movimenti dei capitali così come alla deregolamentazione dei mercati. Se i problemi d'indebitamento non sono stati risolti, al contrario, queste politiche si sono mostrate economicamente irresponsabili (sono all'origine delle crisi finanziarie della seconda metà degli anni '90) e socialmente devastatrici.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), 1,2 miliardi di persone vivono in situazione di povertà estrema (meno di 1$ al giorno) e 2,8 miliardi si accontentano di meno di 2$ al giorno. Le ineguaglianze tra i paesi continuano ad aumentare – sono aumentate del 20% nel corso dell'ultimo mezzo secolo – così come quelle tra abitanti di uno stesso paese. Da notare che l'1% più ricco guadagna come il 57% dei più poveri. Peggio, le 7 fortune più consistenti del mondo possiedono insieme più del PIL totale dei 50 paesi meno sviluppati dove vivono 700 milioni di persone. Al contempo, 850 milioni di persone soffrono di malnutrizione, circa 1,2 miliardi non hanno accesso all'acqua, 2,3 miliardi non hanno infrastrutture sanitarie adeguate, il 17% dei bambini in età scolastica primaria – cioè 115 milioni – non sono scolarizzate. In totale, 54 paesi sono oggi più poveri che nel 1990 e 21 hanno visto il loro indicatore di sviluppo umano (ISU) abbassarsi nel corso dello stesso periodo.

Nel trattato, sono presenti tutti gli ingredienti per una cura di austerità perpetua…

Ignorando tutto ciò, i dirigenti europei ci chiedono ora, attraverso il Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, di ratificare l'applicazione di un programma di aggiustamento strutturale permanente. Sono presenti tutti gli ingredienti per una cura di austerità perpetua. Allo Stato viene ingiunto di disimpegnarsi sempre più. Ciò significa una disciplina di bilancio sempre più severa (art. III-184 e III-194), che impedisce ogni politica di bilancio di rilancio. Siccome il principio della maggioranza qualificata non si applica in ambito fiscale, viene richiesta l'unanimità (art. III-171) e possiamo scommettere che nessuna armonizzazione potrà realizzarsi se non al ribasso. Quindi l'austerità di bilancio non potrà essere realizzata se non riducendo la spesa pubblica e le sovvenzioni (art. III-167). Se la politica di bilancio viene bloccata, la politica monetaria è ugualmente restrittiva poiché conserva il suo unico obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi (art. I-30 e III-177). Poiché l'inflazione non è più un problema da quindici anni, la sola conseguenza di questo obiettivo obbedisce a considerazioni ideologiche che privilegiano i detentori di capitale.

E' anche il momento della soppressione di ogni ostacolo alla libera concorrenza e all'apertura crescente delle economie. Secondo il ritornello intonato continuamente, i paesi dell'Unione Europea devono rispettare il principio di un'economia di mercato in cui «la concorrenza è libera e non falsata» (art. I-3, III-177, III-178 e III-185). In questa prospettiva, neanche i servizi pubblici vengono risparmiati. Diventano dei «servizi di interesse economico generale» (art. III-122) destinati alla concorrenza (art. III-166) e non possono più beneficiare degli aiuti dello Stato se falsano o semplicemente minacciano di falsare la concorrenza. (art. III-167). Viene così aperta la strada per la privatizzazione dei servizi pubblici. I mercati del lavoro devono essere «pronti a reagire rapidamente all'evoluzione dell'economia» (art. III-203), cioè devono essere maggiormente flessibili. La liberalizzazione dei servizi è scontata (art. III-130, III-146, III-147 e III-148), quella dei movimenti di capitale non può essere rimessa in discussione malgrado le conseguenze drammatiche che ha già provocato in molti luoghi del pianeta (art. III-156). E tuttavia c'è un ambito che sfugge alla concorrenza e che deve essere protetto. Si tratta del commercio di armi, di munizioni e di materiale da guerra (art. III-436)!

Se evidentemente non possono essere messi sullo stesso piano i membri dell'unione Europea e i PVS, l'istituzionalizzazione del programma di aggiustamento strutturale europeo non potrà che portare povertà e ineguaglianza, come hanno già potuto constatare numerosi PVS. Allora che credibilità attribuire a un testo il cui obiettivo esplicito è aprire «allo sviluppo sostenibile dell'Europa fondato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, un'economia sociale di mercato altamente competitiva, che tende alla piena occupazione e al progresso sociale, e un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell'ambiente» (art. I-3)? L'ambito sociale, che costituisce una delle punte di diamante per i partigiani del si, ha l'obiettivo di migliorare, tra l'altro, le condizioni di lavoro, la sicurezza sociale e la protezione dei lavoratori, l'uguaglianza tra uomini e donne, la lotta contro l'esclusione, evitando di «imporre costrizioni amministrative, finanziarie e giuridiche che ostacolerebbero la creazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese» (art. III-210). Salvo considerare che «la concorrenza libera e non falsata» è il modo di realizzare questi obiettivi, ciò che i fatti, testardi, non cessano di invalidare, l'obiettivo di progresso sociale ha tutte le possibilità di rimanere lettera morta fintanto che rimarrà subordinato all'economia (art. III-213). Allo stesso modo, l'introduzione del settore ambientale è un'illusione. Cosa pensare infatti di uno sviluppo sostenibile che dedica solo due articoli (su 448!) alle questioni ambientali (art. III-233 e III-234) e necessita l'unanimità per agire? Che pensare di una politica agricola comune che non fa alcun riferimento alla protezione dell'ambiente e si sottomette sempre a una logica produttivistica distruttrice (art. III-227)? Che pensare infine dell'azione esterna dell'Unione Europea, che sostiene «lo sviluppo sostenibile sul piano eco! nomico, sociale e ambientale dei paesi in via di sviluppo nello scopo essenziale di sradicare la povertà » (art. III-292) e che perciò incoraggia «l'integrazione di tutti i paesi nell'economia mondiale, anche attraverso la soppressione progressiva degli ostacoli al commercio internazionale» (art. III-292), misure di cui constatiamo ogni giorno gli effetti devastanti sui PVS?

Quindi, poiché ci domandano se desideriamo perseguire una costruzione europea dominata dalle questioni economiche, il non pro-europeo, che si basa su considerazioni sociali e ambientali, è legittimo. Dire no a questo trattato, significa voler rimettere l'economia al servizio dell'Uomo, rifiutare una logica che considera che l'«avere più» equivalga all'«essere meglio», significa considerare che i valori sociali e ambientali hanno almeno la stessa importanza delle considerazioni economiche, significa infine aiutare i PVS a promuovere un altro sviluppo.

Documento originale: “Constitution européenne: contre une Europe sous ajustement structurel permanent”
Traduzione di alessandra coletti

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