Fare il giornalista: dalla gavetta al professionismo

Vi ho convocati per avvertirvi che c'è stata la firma del trattato di alleanza fra l'Italia, la Germania e il Giappone. La prima pagina va interamente impostata su questo avvenimento; la parte di guerra la mettete di spalla; la notizia dell'avvenimento va commentata fin dalle edizioni del pomeriggio. Bisogna rilevare l'enorme importanza dell'avvenimento“. (27 settembre 1940; rapporto ai giornalisti del Ministro della Cultura Popolare, Alessandro Pavolini 1).Dovendo scegliere una professione da accomunare a quella del giornalista, non penserei all'avvocato, al medico, all'ingegnere, ma al fabbro artigiano; la sua arte nel forgiare con incudine e martello è analoga a quella del raccontare una notizia. Un fatto “notiziabile” si pone al giornalista in maniera grezza, nascosto tra altre migliaia di avvenimenti: va preso, modellato con gli strumenti disponibili e poi proposto all'attenzione del cliente finale, il pubblico.


Ogni giornalista sa, come l'artigiano del ferro, che troverà molti altri pronti a screditare la sua “creatura” ma dovrà difenderla e cercare di imporla. Ogni minuto che passa, tanti corrispondenti di provincia o inviati di primissimo piano propugnano il loro “prodotto” di fronte al capocronaca o al direttore, per far capire loro che quella notizia, così com'è forgiata, vale più di altre e merita di essere pubblicata.   Sono convinto che per diventare giornalista oggi (come ieri) sia necessaria una lunga gavetta, come quella del garzone nella bottega artigiana pronto a raccogliere i suggerimenti del maestro. Purtroppo oggi (a differenza di ieri), non ci sono più giornalisti pronti a svelare i trucchi del mestiere e, purtroppo, diminuiscono anche i giovani pronti ad ascoltare. L'unica strada porta all'Università , alle frequentatissime facoltà di Scienze della Comunicazione oppure ai Master e alle ambite Scuole di Giornalismo, quelle da 20 posti disponibili su 400 o 500 domande (2).

Conosco l'aria che si respira agli esami di Tecniche del linguaggio giornalistico e dei laboratori di scrittura universitari: viene presentata agli studenti una realtà completamente diversa da quella lavorativa; è certamente inutile imbottire le nuove leve di teorie sulle comunicazioni di massa senza renderli capaci di cercare una notizia nel proprio quartiere o di raccogliere le confessioni del vicino di casa. Non mi sembra appropriata neanche la manualistica, vivamente consigliata all'ignaro immatricolato.

I testi d'esame, seppur autorevoli, si soffermano troppo sulla differenza tra fonti primarie e secondarie, dimenticando di descrivere la realtà che l'aspirante giornalista si troverà di fronte appena uscito dall'Ateneo.   A costoro mi permetto di consigliare un saggio ormai fuori catalogo, ma reperibile in biblioteca: Come diventare giornalisti (senza vendersi) di Sergio Turone, compianto giornalista del “Messaggero” e docente universitario (ha insegnato Storia e Metodologia del Giornalismo e storia del Movimento sindacale), nonché fratello maggiore di Giuliano, conosciuto giudice a Milano. Turone parla chiaro, non nasconde le varie scorciatoie impiegate per entrare nel mondo della stampa e dei mass media (tessere di partito, raccomandazioni varie, nepotismi), ricorda le complicità occulte tra potere economico e informazione e arriva anche a dettare consigli sulle tecniche di scrittura e di fotografia.

“Il motto secondo cui “giornalisti non si diventa, si nasce” appartiene a una retorica stantìa che vede nel giornalismo una sorta di attitudine artistica innata; è un motto fasullo. Poeti non si diventa, pittori non si diventa, giornalisti sì. E' però necessario impegnarsi, studiare, faticare (3). 

Sia chiaro che un piccolo spazio nell'Olimpo della comunicazione non è garantito neanche a chi si impegna, studia e fatica… figurarsi a chi non lo fa. 

Oltre all'aspetto della formazione, ci si deve soffermare sulle diverse tipologie di giornalismo. Non a caso Angelo Agostini, docente universitario e attento direttore della rivista “Problemi dell'Informazione”, parla di “tanti giornalisti e di tanti giornalismi”.

“Giornalisti per i quotidiani, per i settimanali, per le radio, per le televisioni, per il web, per i nuovi servizi digitali. Giornalisti che hanno un contratto di lavoro dipendente, o che hanno messo insieme studi professionali, oppure fanno i free-lance. Pensare al giornalismo al singolare è oggi anacronistico; i giornalismi sono ormai differenti per stili, vocazioni, mezzi, processi produttivi, profili professionali e pubblico di riferimento (4).  

Ho vissuto in prima persona il passaggio tra il “paleo” e il “neo” giornalismo (5). Quando ho cominciato (dodici anni fa) i pezzi si scrivevano a macchina e si inviavano via fax, oppure andavano dettati al dimafonista di turno; gli unici mezzi di lavoro erano il telefono e il taccuino, persino le notizie d'agenzia erano merce rara ed esclusiva dei redattori. A questo giornalismo in bianco e nero, si è sostituito (a partire dalla metà degli anni '90) un nuovo modo di lavorare, quello del cellulare, di Internet e della posta elettronica. Sono loro i protagonisti indiscussi del neo-giornalismo. Le distanze vengono annullate, tanto che un corrispondente locale ha gli stessi mezzi a disposizione del redattore-capo. Cambiano anche le modalità di comunicazione: le cabine a gettoni, le segreterie a cassette e lo stesso telefono fisso, passano in secondo piano per lasciar spazio alle email cariche di notizie che il giornalista propone al suo superiore o piene di direttive impartite (anzi, “inoltrate”) dal capo-servizio al collega della scrivania accanto. Sparisce la figura del dimafonista, anche i correttori di bozze escono di scena, i comunicati stampa non inondano più i fax ma sono nella posta in arrivo. Ora si è sempre reperibili ed è possibile collegarsi in diretta (magari per la radio o la tv) e descrivere la realtà senza nessun filtro. Ci si può trasformare in operatori di ripresa, o meglio in videogiornalisti (6), acquistando una microcamera a poche centinaia di euro.    Aumentano le possibilità per i più giovani di mettersi in evidenza e di segnalarsi all'attenzione delle redazioni. Email con proposte di notizie o con i curricula di aspiranti corrispondenti arrivano quotidianamente ai responsabili dei giornali (in genere la loro casella è nome.cognome@nometestata.it). Dieci anni fa, il paleo-giornalismo – rigido e fermo sulle sue posizioni – mai avrebbe permesso una simile apertura.    C'è però il risvolto della medaglia, svelato dal filosofo Pietro Barcellona, secondo il quale esiste: “l'angoscia di non riuscire a parlare con un altro quando non c'è campo. L'esser fuori dalla connessione equivale ad uscire dal mondo” (7), anche da quello del giornalismo.

“Il giornalismo è uno di quei mestieri che s'imparano sbagliando. (8)

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