FAHRENHEIT 9/11, non tutti hanno paura di dire la veritàƒ

Il documentario del regista americano Michael Moore, Palma d'Oro allo scorso Festival di Cannes, arriva finalmente in Italia. Un vero congegno esplosivo che con tenacia e chiarezza mostra quello che per troppo tempo è stato sotterrato dal governo americano, e non solo. Per una visione più chiara delle cose, al cinema dal 27 agosto.


Molti ricorderanno Fahrenheit 451, il celebre film di Truffaut tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury, in cui si narrava di un’era futuribile in cui i libri sarebbero stati messi al rogo per impedire il sorgere di coscienze pensanti che potessero creare dissenso, e in cui i lettori sopravvissuti alle persecuzioni avrebbero dovuto imparare a memoria i testi affinchàƒÂ© questi potessero giungere alle altre generazioni.

A partire dalla rievocazione di quell’oscurantismo, di quel regime che mirava alla distruzione di ogni stimolo al libero pensiero, Michael Moore mette a punto il suo Fahrenheit 9/11, vincitore della Palma d’Oro allo scorso Festival di Cannes, in uscita il 27 agosto nelle sale italiane. Film dal successo controverso e, inutile dirlo, fonte d’imbarazzo, persino per i produttori (la Icon di Mel Gibson) che a un certo punto ” si dice per una telefonata dalla Casa Bianca – recidono il contratto con Moore, Fahrenheit 9/11 grida allo scandalo dell’amministrazione Bush, un governo che sin dai suoi esordi ha fatto dell’ “insabbiamento” la sua linea politica, provvedendo non solo a sotterrare i particolari scomodi del suo passato, ma riuscendo addirittura a truccare gli esiti reali di quelle elezioni del 2000 in cui divenne Presidente degli Stati Uniti.
Poi, la tragedia delle Twin Towers, quel 9/11 che rimarràƒ a lungo negli occhi delle vittime e degli “spettatori” di quel lungo giorno cosàƒÂ¬ mass-mediatizzato, abusato e saccheggiato. Cos’è stato veramente l’11 settembre, chi e cosa hanno portato al più eclatante evento”shock dei nostri tempi, sembra emergere in una sconcertante trasparenza da questo documentario scritto e diretto dal regista americano, che spara sull’America di Bush proprio perchàƒÂ© non è la sua America, quella a cui è cosàƒÂ¬ legato, quell’America che vorrebbe far rinsavire nella sua continua opera all’insegna della demistificazione.
Mosso dallo stesso intento di ricerca della veritàƒ che lo aveva portato alla denuncia di , Moore è andato a rovistare fra archivi, documenti, filmati e per cosàƒÂ¬ dire ha fatto “due conti”: le date, le connessioni politiche e storiche, i rapporti di forza e le alleanze hanno parlato da sole, rivelando che dietro la tragedia dell’11 settembre si nascondono veritàƒ terrificanti, interessi e relazioni di cui l’opinione pubblica probabilmente sospettava l’esistenza solo in parte. Attraverso un sapiente montaggio, emerge un collage in cui l’ironia tenta di attenuare la crudezza di queste rivelazioni di calcoli spietati che non arretrano nemmeno di fronte alla morte di innocenti. Forti veritàƒ di cui la maggior parte degli americani sembravano non aver avuto nemmeno sentore; ma saràƒ vero, poi, questo? Guardando il film si ha un po’ come l’impressione che il popolo americano sia stato trattato a lungo come uno stupido sempliciotto, e che invece piange lacrime di coccodrillo ora che ormai è sopraggiunto l’irreparabile. Lila Lipscomb, la madre disperata che ha perso il figlio in Iraq, che Moore ci presenta nella seconda parte del film, è un po’ l’emblema di questa disillusione che ha cominciato a destare ” certo bruscamente ” i tanti che continuavano a credere nel sogno americano. Chissàƒ se adesso ha ancora il coraggio di issare la sua bandiera stelle e strisce, dopo che quelle stelle si sono trasformati in frammenti di corpi innocenti maciullati dalle macchine da guerra che erano guidate anche da suo figlio; di quelle strisce poi, non rimangono che rigagnoli di sangue che continuano a scorrere.
Bin Laden e Saddam, l’Afhanistan e l’Iraq, i dirottatori dell’11 settembre, il petrolio, i Sauditi sembrano finalmente assumere in Fahrenheit 9/11 la loro vera consistenza privati di quei caratteri spettacolarizzati da dare in pasto agli scialli dei media. Paradosso questo di un cinema come quello di Moore, che ancora puàƒÂ² riuscire ad aprire un varco anche nelle coscienze più intorpidite. 

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