Scusatemi: non riesco proprio ad unirmi alla folla del dolore

I sentimenti di un italiano che si unisce al cordoglio per la tragica fine dei militari italiani morti a Nassirya.  Le parole che seguono sono l'espressione di un sincero e profondo dolore che prende le distanze da un altro dolore, esibito da tanti forse senza troppo disinteresse.

di Gian Luca Marchi 19.11.2003


Scusatemi. Poveri corpi martoriati dalla follia dellà¢â‚¬â„¢uomo, io vi chiedo scusa. Ma non riesco proprio ad unirmi alla folla del dolore.

A tutti quelli che stanno sfilando nelle camere ardenti in attesa di piangere lacrime vere durante i solenni funerali di stato. Siete delle povere vittime. E ho sinceramente pianto anchà¢â‚¬â„¢io pensando ai vostri familiari offesi e per sempre privati della vostra presenza. Ma tutto il resto, tutto quello che va oltre al puro e semplice dolore privato che strazia là¢â‚¬â„¢animo di chi ha perso ingiustamente ed assurdamente i propri cari, non mi va proprio giù. Là¢â‚¬â„¢unitàƒ nazionale, il lutto nazionale, via gli spot pubblicitari, saracinesche abbassate, toni sommessi per i prossimi dieci minuti, lacrime vere e di coccodrillo ampiamente sparse sul patrio suolo e una insopportabile retorica che ci bombarda da radio giornali, televisionià¢â‚¬Â¦

Poco fa alla solita rassegna stampa post TG si commentava là¢â‚¬â„¢immagine dellà¢â‚¬â„¢edificio della strage, saccheggiato da centinaia di bambini e adulti iracheni e si parlava di tristi ed amare immagini di profanazioneà¢â‚¬Â¦ Ma stiamo scherzando? Stiamo parlando di gente che da ventà¢â‚¬â„¢anni si portava sul groppone un pazzo fanatico che pensava solo alle armi e ad arricchire di ori e pietre preziose i suoi palazzi, affamando il suo popolo. Questa gente è stata oltremodo violentata dal resto del mondo à¢â‚¬Å“civileà¢â‚¬? che ha pensato di punire il pazzo di cui sopra con un embargo di dieci anni. Un embargo che, ben lungi dallà¢â‚¬â„¢intaccare la pancia del dittatore, ha privato milioni di persone dei mezzi minimi di sussistenza, di cibo, medicinali, riducendoli alla fame e uccidendo, sembra, almeno mezzo milione di bambini. DopodichàƒÂ© il sempre caritatevole mondo à¢â‚¬Å“civileà¢â‚¬? ha ampiamente bombardato, naturalmente con precisione chirurgica, lo stesso popolo, sottoponendolo allà¢â‚¬â„¢umiliazione di unà¢â‚¬â„¢occupazione militare con il solo ed unico scopo di à¢â‚¬Å“liberarlià¢â‚¬? dallà¢â‚¬â„¢oppressione. E le persone che, di fronte ai resti di un edificio bombardato dalla lucida follia dei kamikaze, dove peraltro gli stessi iracheni hanno lasciato delle vittime (ma sappiamo tutti che si tratta di morti di serie B), lo saccheggiano per portarsi a casa qualche pezzo del tanto propagandato stile di vita occidentale, vengono sommariamente definiti sciacalli? No. Non posso unirmi al coro lacrimevole. PiangeràƒÂ² da solo e al buio.

PiangeràƒÂ² per i diciannove italiani che sul suolo iracheno hanno lasciato la vita, e per i loro famigliari. PiangeràƒÂ² per gli iracheni uccisi dalle loro stesse bombe e dalle bombe à¢â‚¬Å“buoneà¢â‚¬? degli americani. Per tutti quelli che noi occidentali con la pancia piena (io compreso) abbiamo lasciato e stiamo lasciando morire di fame, di malattie e di stenti. Per i morti delle Twin Towers. Per i morti in Afganistan, in Palestina, in Israele, ma anche in Ruanda, in Sierra Leone, in Bolivia. PerchàƒÂ© continuo a pensare che non esistano morti di serie A e di serie B. Come invece sembra dimostrare la maggioranza delle persone à¢â‚¬Å“perbeneà¢â‚¬?. E almeno per oggi non accenderàƒÂ² nàƒÂ© radio nàƒÂ© televisione e non leggeràƒÂ² le cronache dei giornali. Per non provare quel senso di nausea provocata dalla retorica delle bandiere tricolori e del lutto nazionale. E dal pensiero che nemmeno la morte riesce a restituire quellà¢â‚¬â„¢uguaglianza che la vita ha negato.

Gian Luca Marchi

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