Lettera di Riccardo Petrella al comune di Genova, dopo il varo di un provvedimento che trasforma l'AMGA (azienda municipale gas e acqua) in società per azioni con capitale privato.
Le decisioni politiche prese dalla Amministrazione comunale di Genova e le motivazioni addotte dall'Assessore Seggi a giustificazione delprovvedimento, denota quando sia difficile, una volta che sia stato accettato il principio della mercificazione della risorsa acqua ed applicato con la trasformazione in Società per azione, potersi sottrarre alle successive politiche gestionali improntate ai soli criteri di economicità .L' aumento delle tariffe, nonostante il Comune detenga ancora il 54% del capitale dell'Amga, rivela che scelta la strada della privatizzazione nessun azionista, anche se di maggioranza, può sottrarsi ad una politica di investimenti e quindi all'aumento delle tariffe se vuole raggiungere il pareggio dei bilanci o trovare i fondi per nuovi investimenti.
Se si fa la scelta “politica” di privatizzare la conseguenza è quella di accettare che l'acqua non sia più gestita come un “bene pubblico” ma una merce qualsiasi la cui gestione è affidata la mercato. Significa quindi sottrarre al controllo della politica e dei rappresentanti eletti dai cittadini la gestione politica dell'acqua.Poco importa se a prendere le decisioni sia il Comune o il Consorzio dei comuni della Provincia o se le tariffe siano imposte dal tipo di convenzione firmata con il gestore. La scelta della privatizzazione significa delegare al privato la “politica di gestione della risorsa”. Chi compie questa scelta non può non assumersi la responsabilità delle conseguenze. Il primo effetto della privatizzazione, cioè l'aumento delle tariffe, non va infatti a favore di investimenti per migliorare laquantità o la qualità dell'acqua dei genovesi o a ridurre le perdite nelladistribuzione. Al contrario vengono riversati sui cittadini, cioè sugliutenti che utilizzano l'acqua potabile, i costi dell'ammodernamento delle reti fognarie e della depurazione delle acqua che costituiscono il secondo filone di affari legato all'acqua. Il Comune e gli Enti locali dovrebbero essere in grado di coprire questi investimenti con la fiscalità generale, attraverso politiche di ricarico dei costi su altre categorie di soggetti e non scaricarli sulle bollette dell'acqua.
Perché non aumentare i contributi per le reti fognarie a carico delle industrie, del settore del commercio, delle imprese di costruzioni delle abitazioni e degli edifici ad uso industriale, i principali consumatori d'acqua? I danni provocati dai processi di privatizzazione già sperimentati indiversi Paesi del mondo, dovrebbero portate molti amministratori a prestare maggiore attenzione prima di compiere scelte dalle quali è poi difficile tornare indietro. A Genova poi si è arrivati al paradosso per cui nel caso specifico delle dighe non è stata fatta una normale cessione del patrimonio comunale, ma una cessione molto particolare: lacessione di beni incedibili, forzando l'interpretazione di commi di quelfamigerato art. 35 della legge Finanziaria 2001 che il Contratto mondiale dell'acqua e quanti a livello politico hanno a cuore la salvaguardia di questa gestione sono impegnati a emendare.Appare quindi difficile accogliere le spiegazioni dell'assessore Seggi ecogliere le differenze fra le scelte politiche di amministrazioni di sinistra, come quella di Genova, in tema di operazioni finanziarie applicate a livello di gestione locale di beni e servizi pubblici, dalle politiche finanziarie di cartolarizzazione dei beni immobili pubblici e privati, proposti dell'attuale Ministro dell'Economia, che pur tanto vengono criticate dalle stesse forze politiche. Per questo dobbiamo confermareche, al momento, il Comune di Genova rimane evidentemente fuori dallescelte che caratterizzano gli Enti locali che sostengono i principi del Contratto mondiale dell'acqua.
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