La parabola del ‘buon’ evasore


Riflessione sul caso Previti. Il processo contro l’avvocato di Forza Italia è un vero modello di ‘diseducazioneâ€Â� civica [di Fabrizio Tonello].

E così l’avvocato Previti ritiene che pagare o non pagare le tasse, fare regali o non fare regali ai giudici con i quali gioca a calcetto siano “fatti suoiâ€Â�. L’autodifesa di fronte al tribunale di Milano dell’ex ministro della Difesa e braccio destro di Berlusconi, è un testo da manuale, un corso accelerato di “diseducazioneâ€Â� civica. Nella sua arroganza, nella sua ostentata convinzione di essere al di sopra della legge, Previti è riuscito a scioccare perfino commentatori schierati da anni con il centrodestra. Non sembra invece aver scandalizzato nessun altro dei pretesi “liberaliâ€Â� che pascolano dentro o nelle vicinanze del regime.
Il problema non è che i Previti esistano: la corruzione è fenomeno tutt’altro che nuovo e certamente Craxi o Cirino Pomicino non avevano nulla da imparare. Il problema è che i Previti in politica confermano la robustezza di uno dei caratteri principali della cultura politica italiana, ciò che gli antropologi hanno denominato fin dagli anni 50 “familismo amoraleâ€Â� o, secondo Carlo Tullio-Altan, «mancanza di una religione civile».

La logica del clan

Il “familismo amoraleâ€Â�, definizione coniata dall’antropologo americano William Banfield studiando il Mezzogiorno e pubblicando i risultati nel suo libro Le basi morali di una società arretrata, è costituito dalla convinzione che ci si possa fidare soltanto dei parenti, che nessuno farà nulla se non per interesse, che i rappresentanti del popolo cureranno innanzi tutto il proprio tornaconto, cercando di arricchire se stessi e la propria famiglia. Di qui la necessità di essere sempre sul chi vive, di non esporsi pubblicamente, di legarsi a qualche notabile in grado di fornire protezione.
Questa è stata la realtà del Sud che ha permesso l’affermazione della mafia e che permette tuttora il successo di clan politico-affaristici con cui Forza Italia interagisce positivamente.
Ciò che la sinistra definisce “conflitto d’interessiâ€Â� è in realtà una nozione estranea alla cultura politica italiana, che non aveva fin qui considerato con scandalo, ma semmai con ammirazione, chi riusciva ad appropriarsi in misura significativa delle risorse dello Stato per redistribuirle, almeno in parte, ai propri fedeli, seguaci e clienti.
Si badi bene, il “conflitto d’interessiâ€Â� di Berlusconi è non solo reale ma grottesco: qualsiasi decisione debba prendere il suo governo, dalle tariffe assicurative auto alla trasmissione delle partite di calcio è viziata dall’esistenza di corposi interessi economici delle aziende del presidente del Consiglio, si chiamino banca Mediolanum, Mediaset o Milan. Per trovare casi di Stati in cui la proprietà privata del leader aveva lo stesso peso occorre andare con la memoria allo Zaire di Mobutu o alla Repubblica centrafricana di Bokassa.

Una strana idea

Questa condizione vista all’estero come folcloristica non deve però far credere che Berlusconi sia indebolito dalla situazione: ciò che sarebbe un handicap insuperabile in culture politiche diverse dalla nostra è, per il momento, una situazione quasi innocua per il leader di Forza Italia e i suoi avvocati. La cultura profonda del nostro Paese rimane infatti caratterizzata da un pregiudizio favorevole nei confronti di chi evade le tasse, costruisce abusivamente, ha i figli che lavorano in azienda, il fratello e la moglie proprietari di giornali sostenitori. Visti i caratteri della cultura politica italiana, c’è da stupirsi che il numero di voltagabbana, cortigiani, giornalisti, showgirl e aspiranti servitori a vario titolo non sia assai maggiore di quello che è.
All’estero, suona paradossale che un partito conservatore, che non rinuncia a cavalcare i temi “legge e ordineâ€Â� in campagna elettorale, sia poi impegnatissimo ad attaccare i giudici e a votare leggi che sostanzialmente rendono impossibile la condanna di qualsiasi imputato in grado di pagarsi degli avvocati decenti, come vediamo in queste settimane. In realtà , anche in questo caso siamo di fronte a storia antica, per la precisione a ciò che Gramsci chiamava il “sovversivismoâ€Â� delle classi dirigenti italiane, refrattarie ad applicare a se stesse le regole fatte per gli altri.

Conservatori dove siete?

Ciò che i veri conservatori, coloro che vedono con orrore la sinistra ma non sono stipendiati da Silvio, dovrebbero chiedersi è però questo: è possibile far funzionare un Paese se gli esempi dati dalle élite sono questi? Perché il signor Rossi dovrebbe pagare le tasse quando vede in televisione chi si vanta di non pagarle? Perché il signor Bianchi, vigile urbano, spazzino o custode, dovrebbe fare il suo lavoro faticoso e mal retribuito con un minimo di attenzione e coscienziosità ?
Tutti costoro, di fronte alle lezioni di educazione civica dell’avvocato Previti si sentiranno perfettamente legittimati a falsificare gli orari di entrata e uscita, lasciare il lavoro per bere un cappuccino o magari pretendere una ricompensa dal cittadino che sono pagati per servire. Può un Paese industrializzato sopravvivere a lungo in queste condizioni? L’esempio di cosa provochi in un Paese ricco l’avere classi dirigenti corrotte è sotto gli occhi di tutti: l’Argentina. Siamo sulla buona strada.

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