La grande corsa al pomodoro transgenico


PECHINO CERCA LA LEADERSHIP MONDIALE NEGLI OGM E CANCELLA TUTTI I DUBBI SCIENTIFICI ED ETICI

Trionfa il biotech in Cina: «E´ di moda tra i consumatori»

PECHINO

A Est di Daxinxian, a circa 30 chilometri dal centro di Pechino, i pomodori si coltivano in serre riscaldate a temperatura controllata dai computer. Gli ortaggi di qui sono di un rosso più vivo e un po´ più piccoli dei loro simili dei banchi della capitale. Hanno una buccia più spessa – spiegano in questa fattoria – durano più a lungo dei pomodori normali e – alzano la voce orgogliosi – al mercato si vendono a un prezzo più alto. Sono nati nei laboratori di ingegneria genetica, ma qui nessuno si lamenta o si preoccupa della loro origine. In Cina le biotecnologie, oggetto di preoccupati dibattiti in Occidente, sono bene accette, anzi, come nel caso dei pomodori, le varietà create dagli scienziati vendono meglio dei loro simili naturali. «In Cina, ma anche in Asia in generale, c嫏 un´adorazione della scienza e di tutto quello che essa può fare – spiega Uli Sigg, svizzero, architetto della prima joint-venture straniera in Cina -. In Occidente siamo ossessionati dai danni e dai rischi legati alla scienza, dai conflitti che crea con le nostre norme etiche o la nostra fede. In Cina, invece, tutto ciò che è nuovo e scientifico è bello e buono. Questo atteggiamento è un enorme vantaggio per lo sviluppo delle biotecnologie». E, infatti, oltre ai pomodori e agli ortaggi, Pechino si vanta di aver manipolato decine di nuove specie di riso, ormai pronte per il consumo interno e anche per le esportazioni. Dalla Cina più profonda poi, a Changsha, capitale della provincia natale di Mao, l´Hunan, arriva poi l´annuncio che alcuni ricercatori hanno clonato embrioni umani a scopi terapeutici. L´embrione viene fatto crescere e vengono estratte le parti che servono, per poi essere distrutto. Si tratta, insomma, di una sorta di fecondazione in vitro, seguita da una specie di aborto. In Occidente una tecnica del genere suscita le proteste inorridite di gruppi religiosi e di esperti di bioetica, oltre che di molti scienziati. In Cina, invece, le proteste sono pressoché assenti: pochissimi sembrano ricordarsi dei dettami taoisti, secondo cui occorre seguire la natura e non forzarla o, peggio, violentarla. «I cinesi sono convinti che la sconfitta e l´umiliazione subite da parte degli occidentali, dalle guerre dell´oppio fino alla rivolta dei Boxer, siano dovute anche allo scetticismo e all´indifferenza con cui le classi dirigenti dell´800 considerarono la scienza», spiega Huang Jianliang, ricercatore dell´Accademia delle scienze sociali. Ecco perché i dubbi morali sembrano da tempo accantonati. Lo spiega anche il saggio appena uscito negli Stati Uniti «Mao´s war against nature» [La guerra di Mao contro la natura] di Judith Shapiro, in cui si racconta la tensione prometeica del dittatore per tentare di superare i limiti della natura, sulla base di una concezione semplicistica e fideistica della scienza occidentale: «Mao costruì un mondo in cui l´uomo doveva essere costantemente in lotta contro la natura e inculcò questa visione al suo popolo attraverso la repressione e l´indottrinamento, le promesse utopistiche e la censura». L´esempio [e il fallimento più grande] di questo atteggiamento è l´esperienza del Grande Balzo alla fine degli Anni ´50, basata su conoscenze tecnologiche e scientifiche spesso imprecise e velleitarie. E, infatti, quel fallimento viene oggi giudicato dagli stessi cinesi come la conseguenza di una serie di errori pratici, senza tuttavia porsi interrogativi di tipo morale. Allo stesso modo le proteste contro i danni ambientali del processo di industrializzazione in corso sono prive delle profonde preoccupazioni, talora metafisiche, degli ambientalisti occidentali per le ferite inflitte alla natura. La preoccupazione cinese si basa unicamente su calcoli economici: i danni ecologici, infatti, rallentano il processo di crescita e impongono costi addizionali. Quindi, è per questo, e solo per questo, che l´ambiente dev´essere rispettato e preservato. Questo tipo di prudenza, però, non esiste nei confronti delle biotecnologie: le prospettive di possibili danni alla salute dei consumatori, infatti, sono fortemente attenuate. A parte qualche ipotesi, si esclude l´esistenza di dati concreti. A trionfare sono i calcoli sui vantaggi dell´ingegneria genetica. La Cina ha un disperato bisogno di aumentare la produzione dei cereali e di molti alimenti e al tempo stesso di migliorarne la qualità . Nel suo sforzo di modernizzazione, il paese sta quindi cercando di raggiungere conoscenze d´avanguardia e proprio le esitazioni e i dubbi etici degli occidentali aprono una straordianria finestra di opportunità per Pechino. Così, mentre i tentativi di accorciare le distanze nell´elettronica e nel settore aerospaziale sono costellati di difficoltà , visto l´impegno americano ed europeo, il biotech si presenta come un «jolly». Se in un mondo sempre più globalizzato sono destinate a crescere le riserve sui prodotti dell´agroalimentare cinese, alla lunga sarà decisivo l´impatto nel mercato interno dei prodotti e dei brevetti dell´ingegneria genetica. Alla luce di questo obiettivo i fantasmi di Frankestein [che non appartengono all´immaginario cinese] non valgono quanto i fantasmi che nascono dalle paure di essere sopraffatti, un´altra volta, dalla scienza occidentale.

Francesco Sisci

[Fonte: ‘La Stampa’ del 27/3/2002 Sezione: Cronache Pag. 15]

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