La fine dell’impero


Incontro con il politologo Chalmers Johnson.

Ex ufficiale di marina. Esperto di Estremo Oriente.

Johnson è profondamente americano. Ma i suoi studi sulla Cia e sul Dipartimento di Stato lo rendono un forte critico della politica estera statunitense. A ‘Volontari per lo Sviluppo’ spiega il perché. E lancia il monito: ‘L’impero americano sta per crollare sotto le sue contraddizioni’.

di Marco Bello

Con il termine ‘ritorno di fiamma’, blowback, inventato dai funzionari della Cia, si definiscono ‘tutte le conseguenze involontarie delle politiche e strategie adottate [dal governo Usa] e tenute nascoste all’opinione pubblica americana’ – scrive Chalmers Johnson nel suo profetico ‘Gli ultimi giorni dell’impero americano’ pubblicato pochi mesi prima dell’attentato alle Torri Gemelle [in Italia da Garzanti]. Johnson, nato a Phoenix nel 1931, professore emerito dell’Università di California e fondatore nel 1994 del Japan Policy Research Institute, è profondo conoscitore dell’Estremo Oriente. Arriva per la prima volta in Asia nel ’53 come ufficiale della marina militare, nelle basi statunitensi di Okinawa [attive ancora oggi]. All’epoca, come la maggioranza dei suoi concittadini, crede nella correttezza delle posizioni del suo governo di fronte alla guerra fredda. Grazie a finanziamenti dell’intelligence diventa studioso della Cina e traduce importanti documenti sulla nascita del comunismo. Si occuperà poi di Giappone, del suo miracolo economico e di come gli Usa se ne sono serviti negli ultimi 50 anni. Johnson confessa: ‘All’epoca non mi resi conto che la ricerca mi avrebbe portato a vedere per la prima volta chiaramente la forma dell’impero che avevo per tanto tempo acriticamente sostenuto’.

Continua per spiegare il blowback: ‘Quello che la stampa definisce atti crudeli di ‘terroristi’ o ‘signori della droga’ o ‘Stati feccia’ sono in realtà ritorni di fiamma dovuti a precedenti operazioni americane’. ‘Il caso di blowback più ovvio e diretto si verifica quando le vittime reagiscono a un bombardamento segreto americano, o a una campagna di terrorismo di Stato sponsorizzata dagli Stati Uniti, o al rovesciamento di un leader politico straniero architettato dalla Cia’. L’autore ricorda che l’embargo e i bombardamenti dell’Iraq solo dal ’91 al ’98 hanno causato almeno 500 mila vittime. Il risentimento creato – in questo caso nel mondo islamico – è il ‘seme’ di tanti possibili blowback. Gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania nel ’98 ne sono solo esempi.

Quello che è successo l’11 settembre è l’effetto di un ritorno di fiamma?
Sì. Non credo che fossero attacchi contro gli Usa, ma una reazione alla politica estera statunitense. La cosa si sarebbe potuta evitare se il nostro governo avesse fatto dei piccoli passi: dichiarare che non avrebbe più appoggiato la politica israeliana di occupazione della terra palestinese con colonie armate di ebrei; ritirare le truppe dall’Arabia Saudita [che sono una sorgente di instabilità nella regione piuttosto che motivo di sicurezza]; intraprendere una nuova politica energetica, puntando sul risparmio – siamo il 4% della popolazione mondiale ma usiamo il 40% delle risorse del pianeta – e riducendo la dipendenza dal petrolio del Golfo. Cose che dovrebbe, a maggior ragione, fare oggi. Penso che non ci sia grande simpatia per Osama bin Laden, ma è la politica estera americana che è diventata impopolare per la maggioranza delle persone nel mondo islamico. E non solo lì: c’è opposizione alla politica americana in tante zone del Terzo Mondo e in molte democrazie.

Perché i funzionari della Cia, che per primi hanno studiato il fenomeno del blowback, non hanno cercato di evitarlo?
Il nostro governo, erroneamente secondo me, crede si debba mantenere una politica imperialista nel mondo. Sfortunatamente questo alimenta i blowback, concetto inventato dalla Cia nel tempo in cui gli americani fecero cadere il governo di Mossadegh in Iran [1953]. Appoggiarono il regime repressivo dello Shah che portò, come reazione, alla rivoluzione khomeinista. Cominciò a quel tempo un ciclo di ritorni di fiamma, fino ai nostri giorni. Questo riflette le incongruenze della politica estera americana.

Ma il governo continua con questa politica?
Sì. E questo porterà a nuovi ritorni di fiamma. Mi sembra, inoltre, che oggi in America si stia verificando un colpo di Stato a bassa intensità , probabilmente irreversibile. I militari sono diventati talmente potenti e tecnologicamente avanzati che nessuno può sfidarci apertamente in battaglia. Ciò significa che hanno senso solo attacchi asimmetrici su civili americani, l’uso di armi biologiche, colpire metropolitane, arene sportive, dove siamo più indifesi. E per difenderci i militari dovranno modificare il paese in una versione Germania est, dove tutti spiano tutti, ci sono attacchi razzisti contro i non bianchi, corti marziali, sparizioni senza appello, esecuzioni.

Cosa pensa della teoria di Huntington sullo scontro di civiltà come giustificazione di quello che sta accadendo?
Non sono d’accordo con Huntington, penso sia una posizione ideologica. Dire che non si tratta di una conseguenza ma di uno scontro tra civiltà è esonerare i nostri leader dalla responsabilità di quello che sta succedendo. Per questo amano quella teoria.

Secondo lei gli Usa e i paesi occidentali stanno combattendo il terrorismo nel modo giusto?
Gli Usa stanno reagendo male e in modo eccessivo a quello che è successo, facendo il gioco di Osama bin Laden. àˆ stato uno sbaglio che la più ricca e armata potenza del mondo abbia attaccato la più povera nazione islamica. Questo recluterà molti altri terroristi. Gli Usa avrebbero dovuto considerare gli attacchi dell’11 settembre come crimini, usare la propria polizia e quella internazionale per perseguire i criminali, costruire un vero caso legale contro di loro, e portarli in un tribunale super partes, come la Corte internazionale di giustizia. Questo è stato fatto con i terroristi libici per il caso della bomba sul volo Pan Am 103. Ma un’altra mancanza degli Stati Uniti è che non appoggiano questa istituzione.

Perché, secondo lei, il governo italiano ha insistito per partecipare alla guerra?
Credo che abbia voluto buttarsi in questa guerra per distrarre la popolazione dalle questioni interne, comprese le azioni della polizia a Genova, e dalle proprietà del presidente del Consiglio. àˆ lo stesso caso del Giappone, dove il premier Koizumi sta violando la costituzione [inviando una nave militare nel Golfo, ndr] per distogliere i giapponesi dalla sua incapacità di realizzare una politica economica efficace. Ma questo è anche vero negli Stati Uniti, dove il governo di George W. Bush, non eletto ma nominato d’ufficio dall’ala destrorsa dei membri della Corte Suprema, è stato contento di avere la ‘guerra’ per distrarre gli americani dal programma fondamentalista del partito Repubblicano e dare al governo un’aura di legittimità . Il presidente, il suo vice e molti membri del Congresso che rappresentano gli interessi del petrolio e delle miniere stanno usando la crisi per mandare avanti i loro interessi privati.

Quali sono le vere ragioni di questa guerra, secondo lei?
Ogni guerra aumenta il potere e l’influenza di uno Stato. Ed è spinta da forti interessi. Negli Usa, dal Pentagono e dal vasto apparato bellico, dai fornitori della difesa, dai fondamentalisti religiosi che vogliono restrizioni su basi razziste dell’immigrazione, dalle compagnie petrolifere che sperano di usare questa guerra per ottenere l’accesso ai depositi di petrolio e gas dell’Asia centrale, ma anche proteggere i loro interessi in Arabia Saudita, Kuwait e gli altri Stati del Golfo. Dagli israeliani che vorrebbero trasformare il conflitto in una guerra generale contro l’Islam, cominciando con attacchi all’Iraq. Il maggiore beneficiario sarà con buona probabilità la Cina, visto che i suoi concorrenti sprecano le loro risorse e si indeboliscono in una guerra senza senso.

E il ruolo dei mass media?
La guerra dei media riflette il fatto che durante il Vietnam si era detto troppo al pubblico sui metodi utilizzati [napalm, bombardamenti a tappeto, esecuzioni, ecc.]. Per evitare questo errore la macchina militare americana era preparata fin dall’inizio a manipolare l’informazione. àˆ possibile farlo grazie alla concentrazione dell’industria mediatica in grandi gruppi: Murdoch, Aol-Time Warner, Disney, ecc. La novità è che non sono riusciti a mantenere il monopolio totale grazie a Internet. Molti più americani guardano oggi la Bbc e leggono giornali inglesi in rete. Siti come www.antiwar.com riescono a battere gli sforzi di quotidiani come il New York Times [la Pravda americana] che sostengono la linea della guerra.

Che rapporto c’è tra il movimento mondiale iniziato a Seattle e gli effetti del ritorno di fiamma?
I leader statunitensi sono sordi alle richieste di chi protesta, ma il dipartimento della difesa ha adottato la maggiore denuncia del movimento – che l’attuale sistema economico porta più benessere all’Occidente e più miseria per il resto del mondo – come ragione per cui gli Stati Uniti dovrebbero proteggersi con armi nello spazio. Il rapporto del comando spaziale statunitense di previsione per il 2020 recita: ‘La globalizzazione dell’economia mondiale continuerà , con un aumento della distanza tra chi ‘possiede’ e chi ‘non possiede”, e noi abbiamo la missione di ‘dominare lo spazio con operazioni militari per proteggere gli interessi e gli investimenti Usa’. Il movimento dovrebbe identificare l’imperialismo americano come la sorgente dei problemi, non solo le politiche di Banca Mondiale, Fmi o Wto che di fatto sono agli ordini della macchina militare statunitense.

Ma se tutti gli imperi vanno in crisi, quanto durerà ancora quello americano?
L’impero Usa sta seguendo la stessa strada dell’Unione Sovietica. Quell’impero è collassato per tre ragioni: economia interna e contraddizioni politiche, frammentazione imperiale, e incapacità di riformarsi. Gli Stati Uniti sono più ricchi ma stanno soffrendo gli stessi problemi. Anche se il punto centrale della crisi di oggi è il Medio Oriente, credo ancora che le contraddizioni principali dell’impero americano siano in Asia dell’Est. Quando matureranno, faranno crollare l’intero edificio dell’imperialismo americano, proprio come le più grandi contraddizioni dell’impero sovietico erano in Europa dell’Est e si manifestarono grazie al crollo del muro di Berlino.

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