La sicurezza è più importante della privacy?


Privacy o sicurezza? Niente sarà più come prima, dopo la tragedia di New York e Washington: e il mondo occidentale s’interroga sul ruolo che le tecnologie avranno nel nostro futuro. Che senso avrà , infatti, discutere sulla salvaguardia della privacy personale dei singoli cittadini dall’occhio dei sistemi di controllo informatici, quando le stesse tecnologie possono essere utilizzate per mettere in ginocchio un intero sistema sociale?
In questo contesto, la tutela della privacy cederà probabilmente il passo a un uso delle tecnologie che porterà in primo piano sistemi già oggi ben conosciuti, ma che nel recente passato sono stati frenati nella loro applicazione proprio dalla loro natura altamente ‘indiscreta’.

Si pensi, per esempio, a Carnivore: si tratta di un software messo a punto dall’Fbi per monitorare le comunicazioni via Internet, viste le numerose possibilità di utilizzo [anche per scopi criminali] dei sistemi di posta elettronica e di instant messaging. In sostanza, può essere assimilato ai sistemi utilizzati per le intercettazioni telefoniche: attraverso uno speciale computer installato presso le sedi degli Internet Service Provider, l’Fbi può monitorare e registrare tutto il traffico di dati che transita dai loro server. A seconda del grado di ‘intrusione’ per il quale viene programmato, Carnivore può limitarsi a ‘prendere nota’ solo degli indirizzi e-mail dei messaggi smistati da un Isp, oppure anche del contenuto dei messaggi stessi.
Le polemiche su Carnivore si basano sull’affermazione che Internet, in realtà , non funziona come le reti telefoniche, che generalmente gestiscono comunicazioni ‘punto a punto’ fra due interlocutori: in Rete, infatti, il flusso dei dati è diviso in pacchetti, il che significa che molti dati relativi a comunicazioni diverse sono connessi fra loro. Non è quindi possibile monitorare una singola comunicazione senza coinvolgere nel controllo i dati provenienti da interlocutori a essa estranei.

Un discorso in qualche modo analogo riguarda le tecnologie di crittazione dei dati. Buona parte delle comunicazioni online sono basate su chiavi di crittazione pubbliche: un utente distribuisce una chiave pubblica ai suoi interlocutori, che possono utilizzarla per inviargli messaggi cittati che solo quell’utente potrà decodificare. Da tempo i responsabili della sicurezza pubblica chiedono che queste tecnologie siano dotate di un meccanismo di ‘back-door’, che consenta loro di leggere messaggi o file inviati da potenziali criminali.
Un’esigenza che si scontra, evidentemente, con le argomentazioni dei sostenitori della segretezza assoluta delle comunicazioni crittate, che puntano l’indice sul pericolo che queste ‘back-door’ possano essere illecitamente da hacker per l’intercettazione di messaggi riservati.

Presto, inoltre, in molti luoghi pubblici [primi fra tutti gli aeroporti] potremmo abituarci a convivere con nuovi sistemi a raggi X che potranno analizzare a distanza i contenuti di bagagli e vestiti, o con apparecchiature elettroniche per la rilevazione dei tratti somatici dei frequentatori e la loro verifica immediata e automatica con quelli dei sospetti terroristi contenuti in speciali database, costantemente aggiornati dalle autorità . Allo stesso modo, le compagnie telefoniche potrebbero essere costrette a mettere da parte le loro perplessità sull’uso di tecnologie per la localizzazione di precisione degli utenti di telefoni cellulari: tecnologie concepite principalmente per individuare rapidamente persone in difficoltà che chiamano un numero d’emergenza, ma che possono essere sfruttate anche per ‘tenere d’occhio’ gli spostamenti di potenziali criminali.
Una cosa è certa: dopo l’11 settembre, le tecnologie diventeranno sempre più intrusive nei confronti della privacy personale dei singoli cittadini.

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