Porre dei limiti a un benessere senza futuro? (Vita)


Se i nostri guai sono dovuti alla troppa abbondanza

di Riccardo Bonacina (r.bonacina@vita.it)
03/01/2001

Porre dei limiti a un benessere senza futuro?

Un giovane scrittore francese, qualche anno fa, aveva rappresentato la crisi del nostro modello di civiltà con una storiella che recitava, pressappoco, così. Un tizio precipita da un grattacielo altissimo, 50/60 piani. Sa benissimo che presto o tardi si schianterà al suolo, eppure, mentre continua a precipitare, ad ogni piano che passa se ne esce con questa frase: «Sino a qui tutto bene». Succede così al 40° piano, sa benissimo che si schianterà al suolo, ma lui si consola dicendo convinto: «Sino a qui tutto ok». Al 30° piano é la stessa storia, il tizio pensa sorridendo: «Sino a qui tutto bene». Eppure, sa che lo schianto al suolo sarà terribile e mortale, anche se fa di tutto per dimenticarlo, almeno in quei pochi secondi della caduta.
quest’aologo moderno mi é sempre parso una metafora straordinaria dell’attitudine quotidiana con cui la società del sempre maggior benessere e dei consumi senza più limiti (neppure ai capricci) corre verso il suo precipizio. I disastri ambientali che provocano la fuga di 25 milioni di persone ogni anno senza più casa e lavoro, o, più semplicemente, i piccoli incidenti (una frana a Mentone o 5 centimetri di neve a Malpensa) che mandano in tilt il sistema di comunicazione e di trasporto di un intero Paese sono gli avvertimenti dell’avvicinarsi del precipizio, e tutti noi ci comportiamo, più o meno, come il tizio della storiella. Lamentandoci al più perché: «Ci hanno rubato la vacanza» (recitava così il titolo di un grande quotidiano a proposito dei disservizi della Malpensa). La verità é che noi usufruiamo di un benessere incapace di giustizia e privo di futuro.
Se la nostra classe politica fosse meno sciagurata, invece di buttare in campagna elettorale persino le code in autostrada o le attese in aeroporto, dovrebbe costringersi a un grande ripensamento e inaugurare un grande dibattito intorno al nostro stile di vita. I temi dell’ecologia continuano oggi ad essere affrontati come questioni che riguardano la protezione della natura. Invece essi hanno a che vedere con la protezione dell’uomo, con il nostro personale futuro . Fare politica ambientale significa ancora troppo spesso proteggersi contro le emissioni, contro il rumore, contro l’inquinamento. Un ambientalismo che ci ha indotto a vedere il problema così: il sistema industriale alla fine genera inquinamento. Quindi bisogna tamponare le fonti di emissione con legislazioni ad hoc, tecnologie di filtro, ecc. Questo un tipo di ambientalismo oggi é arrivato al capolinea. àˆ costosisimo “pulireâ€� dopo aver inquinato, ammesso che sia possibile farlo. Bisognerebbe cominciare a guardare non più alla fine del ciclo di produzione ma al suo inizio, occuparsi delle mega tonnellate di risorse che vengono inserite nel ciclo economico e non, invece, dei nanogrammi delle sostanze dannose nelle acque o nell’aria. Una certezza che ci accompagna dall’inizio del secolo scorso é che la produzione, il progresso tecnologico possano sempre contare sulla generosità quasi infinita della natura. Oggi quest’utopia é crollata. Ecologia non vuol dire altro che fare i conti con la finitezza della natura e puntare sull’efficienza con la quale viene utilizzata. Siamo, per esempio, tutti convinti che le velocità elevate siano sempre preferibili a quelle contenute. Per questo, per esempio, abbiamo creato delle auto super veloci. Nessuno ha previsto che avremmo trascorso la gran parte del tempo in coda, né che una macchina “corraâ€� per l’80% del tempo ad una velocità di 15-20 km all’ora. àˆ come tagliare il burro con la motosega. un’idea per il secolo che é iniziato potrebbe essere proprio quella d’imparare a vivere all’interno dei limiti che scegliamo. Una altra eredità del secolo scorso é credere alla felicità come possesso del maggior numero di cose, come maggior potere di acquisto. Invece siamo in una situazione in cui la ricchezza dei beni consuma la ricchezza di tempo. Riducendo gli orari di lavoro, almeno come possibilità di scelta, non come decreto, si potrebbero perseguire due obiettivi, uno sindacale (creare nuove possibilità di lavoro), l’altro ecologico, offrire la scelta tra maggiore tempo libero e maggiore potere di acquisto. Qualcuno ha calcolato che all’inizi del 900 la famiglia media possedeva 236 oggetti. Oggi ne possiede più di 10.000. Questi oggetti, piccoli e grandi, bisogna sceglierli, comprarli, sistemarli, pulirli. Tutti ciò richiede tempo, la risorsa più limitata. Risultato? Affanno, stress, fretta. La scarsità del tempo é la nemesi della ricchezza. Quindi, dobbiamo convincerci che anche la sobrietà é un ingrediente del benessere. Un filosofo romantico americano scrisse circa 150 anni che “un uomo é ricco in proporzione al numero di cose che può permettersi di trascurareâ€�. Cominciare il terzo millennio a partire da qui?

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