La tragedia greca e la sovranita’ spodestata

GUSTAVO ZAGREBELSKYL’Europa e’ un deserto dove comanda il potere dei creditori.SI PARLA di fallimento dello Stato come di cosa ovvia.Oggi, e’ ‘quasi’ toccato ai Greci, domani chissa’. E’ un concetto sconvolgente, che contraddice le categorie del diritto pubblico formatesi intorno all’idea dello Stato. Esso poteva contrarre debiti che doveva onorare. Ma poteva farlo secondo la sostenibilita’ dei suoi conti. Non era un contraente come tutti gli altri. Incorreva, si, in crisi finanziarie che lo mettevano in difficolta’. Ma aveva, per definizione, il diritto all’ultima parola. Poteva, ad esempio, aumentare il prelievo fiscale, ridurre o ‘consolidare’ il debito, oppure stampare carta moneta: la zecca era organo vitale dello Stato, tanto quanto l’esercito. Come tutte le costruzioni umane, anche questa poteva disintegrarsi e venire alla fine. Era il ‘dio in terra’, ma pur sempre un ‘dio mortale’, secondo l’espressione di Thomas Hobbes. Tuttavia, le ragioni della sua morte erano tutte di diritto pubblico: lotte intestine, o sconfitte in guerra. Non erano ragioni di diritto commerciale, cioe’ di diritto privato.

 Se oggi diciamo che lo Stato puo’ fallire, e’ perche’ il suo attributo fondamentale — la sovranita’ — e’ venuto a mancare. Di fronte a lui si erge un potere che non solo lo puo’ condizionare, ma lo puo’ spodestare. Lo Stato china la testa di fronte a una nuova sovranita’, la sovranita’ dei creditori.ESATTAMENTE come e’ per le societa’ commerciali. I creditori esigono il pagamento dei loro crediti e, se il debitore e’ insolvente, possono aggredire lui e quello che resta del suo patrimonio e spartirselo tra loro.Nell’Antichita’, i debitori insolventi potevano essere messi sul lastrico e perfino ridotti in schiavitu’ dai creditori insoddisfatti. Lo Stato, quando fallisce, si trova in condizione analoga. Tanto piu’ aumenta la sua ‘esposizione’, tanto meno e’ in condizione di resistere alle richieste espropriative dei creditori, anche le piu’ pesanti e inimmaginabili. Abbiamo sorriso di Toto’ che vendeva ai turisti la Fontana di Trevi. La realta’ supera la fantasia, se e’ vero che, tra le possibili garanzie dello Stato debitore, i creditori considerano imprese pubbliche, isole, porti, ferrovie, monumenti, ecc. Quanto sara’ valutato il Partenone e, forse, per l’appunto la Fontana di Trevi?Le armi dei creditori sono la promessa di salvezza e la minaccia di rovina, la carota e il bastone. Lo scenario immediato e’ la fine della ‘liquidita” degli istituti di credito, il panico tra i risparmiatori, l’impossibilita’ per lo Stato di pagare debiti, stipendi, pensioni, la disperazione dilagante; a media scadenza, chiusure e fallimenti d’imprese, disoccupazione, miseria. Chi potrebbe resistere alla forza intimidatrice di una simile catastrofe annunciata e alla forza seduttiva di qualunque prospettiva salvifica, fosse anche accompagnata da condizioni iugulatorie?E’ quanto e’ toccato alla Grecia, con somma drammaticita’ ed evidenza. Il premier ha chiesto al Parlamento il voto a favore di un insieme di provvedimenti impostigli, ch’egli stesso dichiarava essere contrari al programma politico col quale si era presentato alle elezioni, vincendole. Non s’era mai vista cosi chiara, in Europa, una tale contraddizione. Egli era li in base alla forza conferitagli dal suo popolo, confermata in referendum, e doveva smentire se stesso e riconoscere l’esistenza d’un’altra forza, alla quale non poteva resistere. L’imposizione, che lo Spiegel ha definito ‘catalogo delle atrocita”, comprende cose come le proprieta’ pubbliche, le misure di alleggerimento del malessere sociale, l’abolizione della contrattazione collettiva, il licenziamento di gruppo, le ipoteche su beni dello Stato, le aliquote Iva, le pensioni, perfino il codice di procedura civile (per rendere piu’ efficace la liquidazione dei beni dei debitori insolventi).S’e’ detto, con una certa superficialita’: niente di sconvolgente. La Grecia, come tutti i Paesi dell’Unione Europea, ha da tempo accettato limiti alla sua sovranita’ a favore dell’Europa. La prova cui e’ sottoposta la Grecia sarebbe percio’ una vittoria dell’Europa.Basta dirle, cose come queste, per comprenderne l’assurdita’. E non perche’ alcuni Stati abbiano fatto la parte del leone (la Germania, gli Stati baltici, ecc.) e altri della pecora, ma per una ragione piu’ profonda: di fronte alla Grecia non c’era l’Europa, ma la finanza che si fa beffe di formalita’ e competenze codificate. Chi, in Europa, ha preso decisioni non ha agito ‘in quanto Europa’, ma in quanto rappresentante di interessi finanziari. Al capezzale della Grecia erano in tanti: Banca centrale europea (istituzione indipendente con compiti di equilibrio finanziario della ‘zona euro’), Fondo monetario internazionale (che si occupa del salvataggio di Stati a rischio in tutto il mondo) e anche — anche — organi vari dell’Europa (Eurogruppo, Eurosummit, il Consiglio europeo). Singoli capi degli esecutivi dei Paesi economicamente piu’ ‘pesanti’, a tu per tu tra loro (Germania e Francia) hanno svolto la parte decisiva, senza alcun ‘mandato europeo’. Le ‘sanzioni’ alla fine deliberate non trovano alcun fondamento nei Trattati. La ‘troika’, che ora ritorna in Grecia come commissaria ad acta, non e’ organo dell’Europa, e’ organo de facto degli interessi finanziari che s’intrecciano tra Commissione europea, Bce e Fmi. L’Europa come tale e’ stata totalmente assente. La condizione della Grecia non e’ quella di chi si e’ vista limitare la sovranita’ perche’ l’ha ceduta: e’ quella di chi ha subito il colpo d’un sovrano di tutt’altra specie — che qualcuno ha definito ‘colonialista finanziario’ — con tante teste.Pecunia regina mundi. L’erosione della sovranita’ statale a opera della finanza sembra dare ragione a questa tragica massima. Perche’ tragica? Innanzitutto, perche’ la finanza, come lo spirito, soffia dove vuole, irresponsabile di fronte alle comunita’ umane su cui scarica la sua forza, investendo o disinvestendo risorse, senz’altra guida se non l’accrescimento della sua potenza. Agli Stati indebitati e insolventi si puo’ rimproverare il loro spirito di cicale. Ma il potere finanziario, nel suo insieme, vive di indebitamenti e accreditamenti ed e’ percio’ amico delle cicale. Senza cicale e solo con formiche non potrebbe esistere. Onde, e’ vuoto moralismo il rimprovero d’essersi indebitati, quando proprio i creditori sono interessati al loro indebitamento. In secondo luogo, l’erosione della sovranita’ e’ la resa alla legge dei piu’ forti.

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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