La politica di Pachamama

(Fonte: znetitaly.altervista.org)

di Ben Dangl ”’ 25 aprile 2014

Quando lo incontrai di prima mattina, piu’ di un decennio fa, a Cochabamba Evo Morales, l’allora leader dei coltivatori di coca e parlamentare dissidente, stava bevendo del succo d’arancia appena fatto, ignorando i costanti squilli del telefono fisso nell’ufficio del suo sindacato. Solo poche settimane prima del nostro incontro un movimento sociale di livello nazionale aveva richiesto che le riserve di gas naturale della Bolivia fossero poste sotto controllo statale. Tutti pensavano a come la ricchezza sotterranea poteva essere di beneficio alla maggioranza povera sopra di essa.

Per quanto riguardava le sue ambizioni politiche riguardo al gas naturale boliviano Morales voleva che le risorse naturali ‘costituissero uno strumento politico di liberazione e unita’ per l’America Latina’. Era diffusamente considerato un candidato popolare alla presidenza ed era chiaro che la politica indigena che egli cercava di mobilitare da leader era legata a una visione di una Bolivia che recuperasse la sua ricchezza naturale a fini di sviluppo nazionale. ‘Noi, il popolo indigeno, dopo 500 anni di resistenza, ci stiamo riappropriando del potere. La riconquista del potere e’ orientata al recupero delle nostre ricchezze, delle nostre risorse naturali.’ Era il 2003. Due anni dopo fu eletto primo presidente indigeno della Bolivia.

Passiamo velocemente al marzo di quest’anno. Era un assolato sabato mattina in centro a La Paz e i venditori di strada stavano montando le loro bancarelle di fianco a un gruppo rock che sta organizzando un piccolo concerto in un vialetto pedonale. Stavo per incontrare Mama Nilda Rojas, una leader del movimento indigeno dissidente CONAMAQ, una confederazione di comunita’ Aymara e Quechua del paese. La Rojas, assieme ai suoi colleghi e alla sua famiglia, era stata perseguitata dal governo Morale in parte per il suo attivismo contro le industrie estrattive nel paese. ‘I territori indigeni stanno resistendo’, mi ha spiegato, ‘perche’ le vene aperte dell’America Latina stanno ancora sanguinando, stanno ancora coprendo di sangue la terra. Questo sangue e’ strappato da tutte le industrie estrattive.’

Mentre Morales considerava la ricchezza sotterranea uno strumento di liberazione, la Rojas considerava il presidente come qualcuno che stava spingendo le industrie estrattive ”’ in attivita’ minerarie, di estrazione di petrolio e gas ”’ senza riguardo per la distruzione dell’ambiente e l’evacuazione di comunita’ rurali che si lasciavano dietro.

Come potevano essere cosi in conflitto Morales e Rojas? Parte della risposta sta nei piu’ vasti conflitti tra le politiche estrattive di molti paesi guidati da governi di sinistra in America Latina e le politiche di Pachamama (Madre Terra) e in come i movimenti indigeni si sono opposti alle attivita’ estrattive in difesa dei loro diritti, della loro terra e del loro ambiente.

Sin dai primi anni del 2000 in America Latina e’ stata eletta una serie di presidenti di sinistra su piattaforme che includevano l’uso della grande ricchezza della regione in risorse naturali per finanziare programmi sociali, ampliare l’accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione, ridistribuire la ricchezza, emancipare i lavoratori, combattere la poverta’ e costruire la sovranita’ economica nazionale.

Nell’ambito di questa svolta lo stato, in luogo della sfera privata, ha assunto un ruolo maggiore nelle estrazioni a beneficio della societa’ piu’ in generale, anziche’ per semplicemente riempire le tasche di pochi direttori generali di imprese multinazionali, com’era norma sotto i governi neoliberisti. I costi sociali e ambientali permangono, ma con una visione economica diversa. ‘Le attivita’ estrattive e l’esportazione di materie prime continuano come prima, ma oggi sono giustificate da un discorso progressista’, spiega il giornalista ambientalista portoricano Carmelo Ruiz-Marrero.

Anche se molte economie e cittadini hanno beneficiato del maggiore coinvolgimento dello stato nell’estrazione di queste risorse, le attivita’ estrattive sotto governi progressisti, cosi come sotto il neoliberismo, continuano a cacciare comunita’ rurali, ad avvelenare le fonti d’acqua, a uccidere il terreno e a minare l’autonomia territoriale indigena. Come scrive l’analista sociologica argentina Maristella Svampa, la ‘pratica e le politiche progressiste [latinoamericane] alla fine corrispondono a un’idea convenzionale ed egemone di sviluppo basata sull’idea di un progresso infinito e di risorse naturali presunte inesauribili.’ Incoraggiata dal mandato e dal discorso progressista della sinistra latinoamericana, questa tendenza all’estrazione ha prodotto conseguenze allarmanti in tutta la regione.

Dopo la crisi argentina del 2001-2002, le presidenze di Nestor e Cristina Kirchner hanno operato con successo per risanare l’economia argentina, emancipare i lavoratori e applicare una politica economica progressista per rendere il paese maggiormente sovrano; dopo anni di neoliberismo, in cui i servizi pubblici e le imprese statali erano stati privatizzati, i Kirchner hanno posto sotto controllo statale varie industrie e utilizzato nuove entrate governative per finanziare programmi sociali e rendere il paese meno indebitato nei confronti dei finanziatori e delle imprese internazionali.

Come parte di questa svolta, nel 2012 lo stato argentino ha ottenuto il controllo del 51% della compagnia di idrocarburi YPF, che era stata privatizzata negli anni ’90. L’anno scorso, tuttavia, la YPF argentina ha firmato un accordo con la Chevron per ampliare la fratturazione idraulica del gas naturale nel paese, attivita’ prevista procedere nel territorio indigeno Mapuche. In reazione, le comunita’ indigene destinate a essere colpite dalle attivita’ di fratturazione hanno attaccato quattro pozzi petroliferi dell’YPF. ‘Non e’ soltanto la terra che si stanno prendendo’ ha spiegato all’Earth Island Journal, Lautaro Nahuel, della Confederazione Mapuche di Neuque’n. ‘Tutta la vita naturale di questa regione e’ interconnessa. Qui colpiranno il fiume Neuque’n, che e’ il fiume la cui acqua beviamo’. Proteste contro i piani di fratturazione YPF-Chevron continuano nel paese.

Il presidente uruguayano Jose’ ‘Pepe’ Mujica, che si e’ conquistato attenzione internazionale per la legalizzazione della marijuana, le leggi sull’aborto e sul matrimonio omosessuale del suo governo, e per la sua offerta di ospitare i detenuti rilasciati da Guantanamo, sta portando avanti un accordo con il gruppo minerario anglo-svizzero Zamin Ferrous per una grande operazione mineraria a cielo aperto che implicherebbe l’estrazione di 18 milioni di tonnellate di minerale di ferro dal paese nei prossimi 12-15 anni. A parte l’attivita’ mineraria in se’, il programma comprende la costruzione di condutture per trasferire il minerale interno alla costa atlantica del paese. Critici hanno segnalato che il programma causerebbe la devastazione della biodiversita’ della regione e caccerebbe i contadini locali. In reazione ai piani e’ attualmente in corso un movimento nazionale per organizzare un referendum per vietare le miniere a cielo aperto in Uruguay.

Anche se il presidente del Brasile Luiz Lula da Silva e, successivamente, la presidente Dilma Rousseff, entrambi del Partito dei Lavoratori, hanno contribuito a espandere la classe media del paese e hanno avviato riusciti programmi sociali mirati a eliminare la poverta’ e la fame, le loro amministrazioni hanno anche presieduto a una vasta economia di estrazioni che non lascia spazio ai piccoli coltivatori o a preoccupazioni per l’ambiente. Il Brasile e’ sede della piu’ vasta industria mineraria della regione: nel 2011 ha estratto piu’ del doppio della quantita’ di minerali di tutte le nazioni sudamericane messe insieme, ed e’ il maggior produttore mondiale di soia, una coltivazione OGM che si sta rapidamente espandendo nel continente con una miscela di pesticidi mortali che stanno uccidendo il terreno, avvelenando le fonti d’acqua e cacciando dalla campagna i piccoli coltivatori spingendoli nelle baraccopoli urbane dell’America Latina.

Il presidente ecuadoriano Rafael  Correa e’ famoso per essere stato campione dell’ambiente nel suo paese, contribuendo con l’approvazione della costituzione del 2008 che ha concesso diritti alla natura e avviando nel 2007 un’iniziativa per tenere sottoterra il petrolio del Parco Nazionale Yasuni dell’Ecuador. In cambio della mancata estrazione di petrolio in quest’area ricca di biodiversita’, il piano ha sollecitato donatori internazionali a offrire 3,6 miliardi di dollari (meta’ del valore del petrolio) al Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite per programmi di assistenza sanitaria, istruzione e in altre aree. Lo scorso agosto, con soli 13 milioni di dollari donati e 116 milioni di dollari promessi, Correa ha annunciato che l’iniziativa e’ fallita e che a Yasuni si procedera’ a estrarre petrolio. In un discorso televisivo il presidente ha affermato: ‘Il mondo ci ha deluso’.

Tuttavia, anche se Correa ha giustamente parlato dei doveri delle nazioni piu’ ricche di contribuire a risolvere i dilemmi della crisi globale del clima, in patria ha ampliato l’industria mineraria e criminalizzato i movimenti indigeni che contestavano le industrie estrattive nei loro territori. Sotto il suo governo numerosi leader indigeni che organizzano l’opposizione alle miniere, alle misure di privatizzazione dell’acqua e all’estrazione di idrocarburi sono stati incarcerati per il loro attivismo.

La criminalizzazione degli attivisti indigeni che si oppongono alle attivita’ minerarie in Peru e’ diventato la norma anche in questa nazione ricca di minerali. Sotto la presidenza di Ollanta Humala, l’attivita’ mineraria e’ esplosa e con essa i conflitti in cui comunita’ locali si battono per difendere il diritto alla terra e all’acqua.

In Bolivia il presidente Evo Morales ha parlato ampiamente di rispettare Pachamama, di combattere la crisi climatica mondiale e di usare filosofie indigene come Buen Vivir (Buon vivere) per vivere in armonia con la terra. Il suo governo ha attuato politiche progressiste in termini di creazione di maggiori entrate governative grazie alla gestione statale dell’estrazione di risorse naturali e utilizzando tali entrate per aumenti dei salari, programmi sociali nazionali di assistenza sanitaria, pensioni, istruzione e sviluppo di infrastrutture. Il governo Morales e il suo partito, il Movimento Verso il Socialismo (MAS), ha anche promosso cambiamenti costituzionali e leggi che proteggono l’ambiente, danno potere alle comunita’ indigene e fanno dell’accesso a servizi e risorse essenziali un diritto. Tuttavia la retorica e la promessa di molti di questi cambiamenti contraddicono il modo in cui le politiche del MAS sono state attuate sul campo.

Il governo ha appoggiato un piano per costruire una grande autostrada attraverso il territorio indigeno e parco nazionale TIPNIS. Proteste con i piani del governo hanno galvanizzato un movimento a favore dei diritti degli indigeni e dell’ambientalismo. In risposta il governo ha condotto una repressione brutale contro famiglie in marcia per contestare l’autostrada nel 2011. La violenza governativa ha lasciato settanta feriti; le vittime, le loro famiglie e i loro alleati stanno ancora chiedendo giustizia.

Piu’ di recente la promessa del MAS di rispettare Madre Terra e i diritti degli indigeni e dei piccoli coltivatori si e’ scontrata contro un altro dei suoi piani; la Legge sull’Attivita’ Mineraria, che e’ stata approvata a fine marzo dal congresso controllato dal MAS e stava proseguendo il suo percorso al Senato quando le proteste contro di essa hanno costretto il governo a sospenderne l’approvazione in attesa di altri contributi da parte dei critici. Mentre gruppi minerari cooperativisti, famigerati per la loro mancanza di interesse per l’ambiente e per le comunita’ locali colpite dalle miniere, contestavano la legge perche’ non garantiva loro il diritto di vendere le loro risorse a entita’ straniere e private senza sufficiente controllo governativo, altri gruppi con rivendicazioni differenti hanno proposto le loro critiche. Separati dai minatori cooperativisti, questi critici contadini e del movimento indigeno sono piu’ interessati a temi quali l’accesso all’acqua e il diritto di manifestare.

La Legge sull’Attivita’ Mineraria da’ all’industria mineraria il diritto di utilizzare l’acqua pubblica per le sue attivita’ tossiche ad alto uso di acqua, trascurando i diritti delle comunita’ rurali e agricole alla stessa acqua. Inoltre la legge criminalizza le proteste contro le attivita’ minerarie, lasciando le comunita’ che sopporterebbero il fardello dell’inquinamento industriale e dell’evacuazione senza alcun ricorso alla legge per difendere le loro case. In reazione alla legge numerose organizzazioni indigene e di piccoli coltivatori sono scese in piazza per protesta.

Ho parlato con la leader indigena del CONAMAQ, Mama Nilda Rojas, della sua visione della Legge sull’Attivita’ Mineraria. ‘Il governo Morales ci ha detto che ‘governera’ ascoltando la base e che le leggi verranno dal basso”. Ma non e’ questo che e’ avvenuto con la Legge sull’Attivita’ Mineraria, ha detto la Rojas, che e’ stata creata senza sufficienti contributi di rappresentanti delle comunita’ colpite di piu’ dalle miniere. ‘Questa e’ una legge che trasforma in reato il diritto di manifestare. Con questa legge non saremo di grado di creare blocchi stradali, non saremo in grado di marciare [contro le attivita’ minerarie]’, ha spiegato. ‘Siamo ben consapevoli che si tratta dello stesso Evo Morales che partecipava a marce e blocchi stradali [anni fa]. E dunque com’e’ che oggi ci sta togliendo il diritto di manifestare?’.

‘Questo governo ha fatto discorsi falsi a livello internazionale, difendendo Pachamama, difendendo Madre Terra’, ha spiegato la Rojas, mentre in Bolivia la realta’ e’ tutta un’altra cosa.

Contemporaneamente, fuori dall’America Latina, governi, attivisti e movimenti sociali stanno guardando a luoghi come la Bolivia e l’Ecuador come a esempi di superamento del capitalismo e di contrasto del cambiamento climatico. Il modello di Yasuni e del rispetto dei diritti della natura potrebbe e dovrebbe avere un impatto fuori da questi paesi e le nazioni piu’ ricche e i loro consumatori e le loro industrie con sede nel nord globale devono entrare in campo in termini di assunzione delle sfide della crisi climatica.

In molti modi gran parte della sinistra latinoamericana rappresenta un grande miglioramento rispetto ai predecessori neoliberisti e ha contribuito a forgiare un percorso eccitante in direzione di alternative che sono servite da ispirazione in tutto il mondo. Nel complesso hanno portato paesi fuori dall’ombra del Fondo Monetario Internazionale e dalle dittature sostenute dagli Stati Uniti e verso una posizione di autodeterminazione. Nell’interesse di queste nuove direzioni la destra neoliberista si spera non riconquistera’ a breve il potere nella regione e Washington non sara’ in grado di interferire ulteriormente in un’America Latina sempre piu’ indipendente.

Tuttavia mentre la marcia verso il progresso continua nelle sue varie forme e gli anni delle elezioni vanno e vengono i perdenti della nuova sinistra latinoamericana sono spesso gli stessi di prima: innanzitutto le comunita’ rurali e i movimenti indigeni espropriati che hanno contribuito ad aprire la via all’elezione di questi presidenti. Nel nome del progresso, di Madre Terra, del Buen Vivir e del socialismo del ventunesimo secolo questi governi stanno contribuendo ad avvelenare fiumi e terreni e a cacciare, incarcerare e uccidere attivisti che si oppongono alle attivita’ estrattive. Una solidarieta’ che sia cieca a questa contraddizione puo’ rendere un disservizio ai vari movimenti di base che lottano per un mondo migliore.

Se deve avere successo un modello alternativo che ponga realmente la qualita’ della vita e il rispetto dell’ambiente al primo posto rispetto alla crescita del prodotto interno lordo e all’espansione del consumismo, che ponga la sostenibilita’ sopra la dipendenza dall’estrazione di materie prime finite, che ponga i diritti dell’agricoltura in scala ridotta e l’autonomia territoriale indigena davanti alle imprese minerarie e della soia, esso verra’ probabilmente da questi movimenti di base. Se questo modello deve trasformare le piu’ vaste tendenze progressiste della regione, questi spazi di dissenso e dibattito nei movimenti indigeni, ambientalisti e contadini vanno rispettati e amplificati, non repressi e messi a tacere.

‘Siamo in piedi, in marcia contro le miniere’, ha detto la Rojas. ‘Madre Terra e’ stanca’.

Benjamin Dangl ha lavorato da giornalista in tutta l’America Latina, occupandosi di movimenti sociali e politica nella regione per oltre un decennio. E’ autore dei libri ‘Dancing with Dynamite: Social Movements and States in Latin America’ [Giocando con la dinamite: movimenti sociali e stati in America Latina] e ‘The Price of Fire: Resource Wars and Social Movements in Bolivia[Il prezzo del fuoco: guerra per le risorse e movimenti sociali in Bolivia]. Dangl attualmente e’ dottorando in Storia dell’America Latina presso la McGill University e cura UpsideDownWorld.org, un sito web di attivismo e politica in America Latina e TowardFreedom.com, una visione progressista degli eventi mondiali. Email: BenDangl@gmail.com.

Da Z Net ”’ Lo spirito della resistenza e’ vivo

www.znetitaly.org

Fonte: [zcomm.org]

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2014 ZNET Italy ”’ Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

(Tratto da: http://znetitaly.altervista.org)

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