Maniaci e social network

E’ piu’ da “maniaci” (per utilizzare il termine scelto da Repubblica in prima pagina), stare quasi 7 ore al mese su Facebook, oppure starne molte di piu’ incollati alla televisione a seguire reality tv e fiction intrise di sangue e morbosita’ in contesti scintillanti di lusso e ricchezza? E ancora, sono ‘maniaci’ gli italiani assetati di tragedie magari torbide che si accalcano oggi intorno ad Avetrana e ieri a L’Aquila o a Cogne, oppure i maniaci sono solo i giornalisti che fomentano la depravazione di entrare nelle tragedie e perversioni altrui?

Il link comune e’ la qualita’ dell’informazione oggi (compresa quella ambientale), e ancor prima la qualita’ della cultura nella societa’ di oggi. E sarebbe davvero miope voler circoscrivere il tema solo all’Italia ponendo invece sull’altare gli altri grandi Paesi europei, dove comunque ancora oggi si fa la fila per soffermarsi nel tunnel dove e’ morta lady Diana e si scattano foto ricordo davanti alle case dei ‘mostri della porta accanto’ di turno.

Puo’ darsi che appaia troppo semplicistico e logico spiegare che i giornali rispondono alle regole della domanda e dell’offerta e quindi pubblicano e insistono su quelle ‘storie’ che permettono loro di vendere piu’ copie. O che si pensa che possano contribuire a farlo.

Certo la deontologia professionale del giornalista potrebbe essere molto piu’ attesa, ma e’ anche vero che il giornalista risponde del suo operato e dei suoi risultati a un editore, e l’editore di solito ha come obiettivo quello del profitto (a meno che non via siano obiettivi politici diversi, e qui potremmo ovviamente perdere il carattere ad analizzare la strategia editoriale di alcuni prodotti dell’informazione nostrana, come Il Giornale) .

Ecco perche’ ci troviamo di fronte a un problema culturale, ben piu’ preoccupante rispetto a quanto sarebbe stato quello di un’informazione malata punto e basta. Ed e’ in questo contesto che si e’ inserita in modo violento e turbinoso l’ondata dei nuovi media digitali, dove pure e’ possibile fare delle distinzioni. Il tanto bistrattato Facebook, che utilizziamo qui in modo sineddotico a rappresentare tutti i social network, ha per esempio alcune positivita’ innegabili. Se escludiamo tutte le applicazioni (che pure rappresentano il motore per cui sta in piedi, attraverso le profilazioni degli utenti e le sponsorizzazioni) Facebook lascia all’individuo un ampio margine di discrezionalita’ per decidere per esempio se una notizia la ritiene meritoria di essere condivisa e quindi rilanciata ai suoi amici, o meno. Applicato a greenreport per esempio significa che quando i visitatori arrivano da questo social network, nel bene o nel male quelle persone hanno deciso che quell’articolo meritava di essere letto. Di contro quelli che invece arrivano da google news, non hanno deciso: se lo sono trovato spiattellato in bella evidenza da un algoritmo matematico che ha scelto per loro sulla base di modelli matematici che nulla hanno a che vedere col contenuto, quale di mille articoli simili dovesse comparire in quel momento in quel computer.

Allora i problemi casomai sono altri: dare intanto all’individuo di oggi sempre piu’ socialnetworkizzato la capacita’ di discernere l’informazione di qualita’ da quella superficiale e colposa (quando va bene) o addirittura dolosa (quando va male). E dargli la consapevolezza che la cerchia di amici con cui si confrontera’ non sara’ comunque mai rappresentativa del mondo e che riflettere e condividere le idee nella propria tribu’ per quanto allargata che sia, restera’ un esercizio abbastanza sterile, buono per mettere a posto la propria coscienza e poco di piu’.

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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