Democrazia, si. Ma diretta e partecipata

Che il confronto tra Bersani e Renzi altri non sia che il paravento, dietro cui si celano antiche ruggini interne ai meccanismi di potere dell’attuale PD, e’ cosa risaputa. E che tra i due abbia vinto il Bersani, anziche’ Renzi, cambia poco, ed cosa e’ altrettanto risaputa. Ma di un fatto bisogna sicuramente avvedersi: il fenomeno di straordinaria partecipazione di pubblico alle ‘primarie’ piddine, per quanto gonfiato possa essere, ci offre un dato su cui riflettere a fondo e cioe’ quello della volonta’ di partecipazione della gente ai meccanismi decisionali del nostrano potere politico. Un sentimento, quello della partecipazione, sicuramente piu’ diffuso a livello di confusa aspirazione, piuttosto che di una vera e propria volonta’ politica, ma pur sempre una sentita istanza.

Il grande problema dell’Italia di oggi (e forse dell’Occidente intero’) e’ dato dal fenomeno delle ‘caste’, ovverosia dallo sclerotizzarsi delle varie classi politiche in qualcosa di stantio, avariato ed infruttuoso. In entita’, cioe’, incapaci di sapersi rinnovare e percio’ stesso di saper stare avanti con il passo rispetto al comune sentire. Invece le varie caste cercano di interpretare nel senso piu’ codino e restrittivo il sentire di una collettivita’, divenendone i fedeli interpreti dei peggiori difetti, anziche’ dei pregi e dei lati piu’ ingegnosi. Cosi in Italia. La classe politica ha saputo magistralmente interpretare ed introiettare il peggior burocratismo, l’associazionismo parassitario di mafie e congreghe criminali varie, lo spirito da mandolino del ‘tiramm’a campa”, il peggior localismo campanilista, affiancato dal piu’ deleterio spirito inquisitoriale, che hanno prodotto decenni di sprechi, malaffare, ingiustizie e distorsioni d’ogni genere e tipo. Di converso stanno il merito ed il genio italici, espressi da letteratura, poesia, pittura ma anche da quello d’intrapresa e creativita’ nel lavoro,accompagnati dall’indefessa onesta’ di milioni di lavoratori, che hanno fatto del lavoro italiano e dei suoi frutti, un qualcosa di ammirato ed invidiato nel mondo intero, ad ogni latitudine. Ma sulla testa di tanti meriti grava e pesa come un macigno Lei, l’immarcescente, la casta, con i suoi privilegi, messa li a strangolare istanze, aspirazioni ed energie.

Casta non e’ solo politica, ma anche aggregato di varie espressioni di poteri forti. Si va dalla casta dei magistrati, a quella dei banchieri, a quella dei sordi e grigi burocrati, a quella dei preti, senza scordarci di quella delle onnipotenti mafie e massonerie deviate che quatte quatte, tutto gestiscono e condizionano’L’Italia ha bisogno certamente di un cambiamento ma, questo non puo’ nuovamente tradursi in un confusionario ammasso di istanze utopistiche, alla base delle quali non vi sia un nucleo forte di proposta per l’agire politico.

Oggi si fa un gran parlare di ‘democrazia diretta e partecipata’. Bene. Proprio per cercare di non ridurre la politica ad un vago esercizio di retorica, vediamo in quale concreta proposta, questa puo’ esser tradotta.

L’Italia, piu’ di tanti altri paesi, soffre di quella che, azzardando un neologismo sociologico, potremmo definire un’ ‘ipertrofia associativa’. Da noi, piu’ che in altri paesi, l’appartenenza ad una determinata associazione, clan parentale, gruppo, partito o sindacato che dir si voglia, conta molto di piu’ delle capacita’ individuali, costi quel che costi, proprio nel nome di una interpretazione distorta di quello che dovrebbe rappresentare un sano e giusto senso di appartenenza ad una comunita’, nel nome del quale bisognerebbe essere anche in grado di sacrificare e metter da parte i propri individuali egoismi, in virtu’ di un obiettivo piu’ alto; il che finirebbe poi con il ricompensare tutti. Invece nel nome di questo malinteso senso di comunita’, ci si finisce per trovare di fronte ad uno dei classici processi degenerativi delle categorie del politico, cosi come a suo tempo descritti da Aristotele. Dalla democrazia alla demagogia, dall’aristocrazia all’oligarchia, dalla monarchia alla tirannide e, diciamo noi, dalla comunita’ alla setta, alla greppia.

I detrattori ‘liberal’ della comunita’ effettuano la propria critica in base all’immagine degenerata che in determinate realta’ del mondo essa offre (vedi il nostro paese, per l’appunto). Cosi facendo, certe persone trovano l’alibi morale per l’esaltazione del piu’ sfrenato e controproducente individualismo, dimentichi della funzione di equilibrio etico che la comunita’ dovrebbe offrire, permettendo la crescita e lo sviluppo creativo delle individualita’ piu’ dotate, senza per questo deprimere e penalizzare i meno capaci. Per iniziare un percorso di cambiamento, bisogna sicuramente partire dalla cima, cioe’ dal vertice della societa’, incarnato dal potere politico.

Partire da una riforma generale che fluidifichi i meccanismi della politica e’ quindi il primo, fondamentale, passo. L’accesso alle cariche pubbliche elettive, dovrebbe essere regolato in modo tale da far si che l’eletto non possa permanere per piu’ di una legislatura. Dopodiche’ o sara’ eletto ad una carica di grado piu’ elevato, (da deputato a ministro, per fare un esempio) o, per essere eletto, dovra’ aspettare un minimo di due legislature. Una volta poi eletti a premier non si potra’ piu’, in alcun modo, essere rieletti. In questo modo sarebbe reso piu’ facile l’accesso alle cariche pubbliche, ma altrettanto piu’ facile l’uscita, favorendo un continuo ricambio.

In tal modo, la stessa attivita’ politica, tornerebbe a divenire una forma di carica onorifica al servizio della comunita’, assumendo oltretutto, una valenza sempre piu’ legata a quella del mondo del lavoro in cui il politico, terminato il proprio mandato, dovrebbe in ogni modo tornare, visto che, uno tra i primi passi in questo senso, dovrebbe essere l’abolizione delle ‘pensioni d’oro’ per i politici.

La prassi del continuo ricambio nell’ambito politico, potrebbe, di converso, rappresentare un profondo incentivo ad adeguare le altrettanto, sfittiche dinamiche, del nostrano mondo del lavoro, in direzione di maggior dinamismo e meritocrazia, creando nuove opportunita’ per tutti coloro che ne abbiano voglia e capacita’, e non solo ai soliti raccomandati di turno. Particolare attenzione, si dovrebbe inoltre prestare a tutte quelle forme di reato associativo, per le quali andrebbero considerevolmente inasprite le pene e le misure preventive.

Sul versante amministrativo, andrebbero rigorosamente vietate le grandi concentrazioni societarie, con rilievo a quelle bancarie ed assicurative, senza dimenticare il fermo divieto di connubio tra i due comparti. Certo, continuando di questo passo, si puo’ arrivare a preconizzare il miglior mondo possibile ma, credere di cambiare una societa’ in base a riforme o ad alchimie istituzionali, e’ quanto di piu’ illusorio si possa fare. Qualunque tipo di riforma o rivoluzione, anche la piu’ radicale, non potra’ mai sortire un effetto duraturo, se non sara’ accompagnata da un profondo rinnovamento etico, condotto da un movimento politico che sappia agire in piena sinergia con il sentire della societa’. E qui si giunge dinnanzi al classico ‘nodo di Gordio’.

L’Italia e’ posta per l’ennesima volta, a distanza di neanche un ventennio, dinnanzi ad una scelta di cambiamento che la dovrebbe portare dalla Seconda, morente Repubblica, ad una Terza, nascitura Repubblica. Le elezioni sono alle porte ed il quadro ci sembra esser confuso e contraddittorio come non mai. Il primo segnale proviene da una Sinistra che, in barba ai tanto conclamati slogan di rinnovamento, ha scelto la linea politica piu’ conservatrice, privilegiando l’ ‘apparatchjk’ Bersani in luogo dell’outsider liberal Renzi.

La destra, dopo alcuni tentennamenti verso le primarie, sta tornando alla vecchia gestione berluschista, preparando il proprio rientro in campo, con il colpaccio di una ben calcolata sfiducia al governo Monti, a cui forse i poteri forti non hanno perdonato la ‘marachella’ del riconoscimento della Palestina come stato osservatore all’ONU.

Chiaramente di fronte a tanta inquietudine, i ‘soliti noti’ stanno ben pensando di neutralizzare il piu’ possibile qualunque movimento di opposizione, attraverso campagne orchestrate ad orologeria, come quella sul negazionismo per esempio, o cercando di attribuire inesistenti matrici politiche ad episodi da stadio o ancora fomentando odii, divisioni e scandali all’interno e tra le varie realta’ d’opposizione, Grillo incluso.

L’unico elemento di ottimismo, sta nel fatto che, rispetto a qualche tempo fa, e’ aumentata e sta aumentando tuttora la percezione collettiva di un pericolo reale, rappresentato dall’attacco concentrico che i poteri forti stanno oramai portando a tutto campo, contro il benessere di una comunita’, tassando, chiudendo imprese e bruciando posti di lavoro (vedi Ilva), penalizzando le menti migliori tagliando fondi alla cultura, oltre che a comparti vitali come la ricerca, la sanita’ e la sicurezza. Forse la soluzione, inaspettata, viene proprio da quella che potremmo definire la ‘prassi della crisi’, cioe’ la coscienza di vivere una profonda ed ineluttabile crisi sistemica, dalla quale l’unica uscita puo’ essere solo quella di un decisivo, radicale, cambiamento di rotta.

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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