Questo non è il mio sangue: il cristianesimo alla prova della sofferenza animale

La recente vicenda, pudicamente insabbiata a stretto giro, della diossina nei maiali ha, per l’ennesima volta, portato all’attenzione dell’opinione pubblica l’urgenza improcrastinabile di rivedere ab imis il disumano sistema di allevamento e macellazione da cui dipende la più grande fetta di emissioni di anidride carbonica in atmosfera.

Al di là della mostruosità etica dell’ingranaggio tutto incentrato sul paradosso di creare la vita per generarne la morte, che comunque sarebbe buona cosa iniziare ad affrontare, è fuor di dubbio che il primo danneggiato sia proprio l’uomo. Intossicato da liquami e scarti, soffocato dalle emissioni e con l’organismo aggredito da ogni sorta di sostanze nocive è una vittima consapevole dello stato di cose di cui sopra. E si noti che non parlo con iperbole ma con semplici statuizioni di fatto. Dato ciò per acquisito è chiaro che uno dei grandi assenti nella denuncia rispetto a queste problematiche sia la Chiesa cattolica. Sia detto senza acrimonia alcuna, ma questa istituzione è ormai indietro anni luce rispetto al Mondo, e il Concilio Vaticano II sembra ormai appartenere ad una lontana era geologica della quale si trovano qua e là rari e dispersi fossili. Come si può pretendere dunque che sappia parlare su temi così nuovi e contemporaneamente così urgenti se perfino gli ambiti tradizionalmente prossimi alla dottrina sociale (la pastorale del lavoro o dell’educazione, l’attenzione ai diritti sociali…) sono ormai appannaggio di stantie enunciazioni di principio disancorate da ogni contatto con la realtà e le voci più critiche marginalizzate o, peggio, edulcorate?

Mi interrogo su questo punto conscio della significativa potenzialità comunicativa e attrattiva che ancora la Chiesa esercita su larghe fasce di popolazione, se non altro come “autorità morale” ma anche spinto dalla lettura di “Non Uccidere, il cristianesimo alla prova della condizione animale” di Aldo Mariani (pp.208 € 16,00 Gandhi Edizioni www.gandhiedizioni.com ), testo di rara intensità e di non comune rigore formale da leggere e regalare, che ricostruisce con dovizia un percorso storico-filosofico foriero, a ben vedere, di una lunga serie di disgrazie per il mondo e per la Chiesa cattolica, ancor oggi ostaggio di una prospettiva che poteva, al limite, avere delle giustificazioni/spiegazioni nel passato, come nel libro si indaga approfonditamente, ma che oggi appare anacronistica. Tanto più che rispetto ad altri ambiti, un esempio per tutti, l’eutanasia, la posizione della Chiesa, la si condivida o meno, è sviluppata a partire dal problema postosi con urgenza nella contemporaneità (forse non così sentito nel Medio Evo…) e non certo ancorandosi ad una organica riflessione teologico- morale attinta dal passato.

Le poche battute di questo mio intervento non vogliono certo essere esaustive né per la tematica né, meno ancora, per la densità di stimoli che si traggono dalla lettura ma spero solo possano servire per ravvivare lo spirito critico e, magari, la passione ecclesiale.
La presupposta posizione dominicale da parte dell’uomo, infatti, è servita per giustificare, o almeno tollerare, qualsiasi scempio nei confronti del Creato e, questo si deve per forza notare, costituisce un punto di intima prossimità fra cattolicesimo e marxismo almeno nelle sue formulazioni più antiche cronologicamente. Conseguentemente la tenace volontà di non volersi fare carico della condizione animale come “anello debole” appare a mio avviso inspiegabile poiché risulta altrimenti impossibile dare il giusto valore ad altri temi che alla Chiesa stanno molto a cuore con riferimento all’uomo.

Mi scuserà l’autore del libro se io in qualche modo banalizzo il problema prendendolo “a valle” anziché a monte come lui, ottimamente, fa nel suo testo che comunque costituisce, lo ripeto, un’eccellente cornice alla problematica in esame, ma accostare l’uccisione dei viventi compiuta con la prassi odierna e quella “ammessa” nelle Scritture è un errore di prospettiva di dimensioni ciclopiche poiché si perde completamente la portata sistemica del dramma cui sono sottoposti gli animali da allevamento, per scopo alimentare o per vivisezione. Se la Chiesa non dà la voce a chi non ha voce e non piange con chi piange perché vittima di sopraffazione e ingiustizia, uomo o, a maggior ragione, animale che sia non ci potrà mai essere concretizzazione di quella tensione escatologica di cui il Vangelo è espressione. Parlavo di problema sistemico perché dovrebbe essere nel DNA dell’agire ecclesiale quello di camminare al fianco degli ultimi: non dimentichiamoci com’erano considerati gli schiavi all’epoca della predicazione di Gesù, proprio quel Gesù che si mostra per primo ai delinquenti (i pastori, che nulla hanno a che fare con le statuine del presepio, erano i peggiori reietti della struttura sociale ad un’analisi storica minimamente documentata!) e con loro finisce il suo cammino terreno.
Non sarebbe la prima volta che, a posteriori, la Chiesa dovrebbe sobbarcarsi imbarazzanti e difficilmente accettabili “mea culpa”, pertanto avviare una riflessione sull’argomento che coinvolga non solo gruppi di fedeli, comunità di base, nuclei spontanei ma tutto l’apparato della Chiesa potrebbe essere un buon modo per evitare, in futuro, possibili condanne della storia quando cioè verranno definitivamente al pettine i nodi scoperti poc’anzi richiamati relativamente alle drammatiche questioni correlate all’allevamento massivo e spregiudicato cui assistiamo oggi.

Si badi che non sto colpevolizzando la Chiesa quando non si leva con forza contro questo stato di cose prendendosi a cuore una battaglia di progresso, poiché è pur vero che l’autore riporta stralci e brani di autori antichi che hanno condannato l’uccisione degli altri esseri viventi, ma non si può nemmeno minimizzare la fortissima svolta impressa dal cristianesimo rispetto ai valori di riferimento di tutto il corpo sociale e non solo con sporadiche voci. Al contempo però, questa battaglia sarebbe un eccellente modo per far “apprezzare” l’essere Chiesa da parte di quella componente, non irrilevante, di classe media che sta prendendo consapevolezza del problema della sofferenza animale quantomeno rispetto ai grandi nodi problematici di cui parlavo all’inizio dell’articolo. E in questo senso, allora, la Chiesa potrebbe davvero qualificarsi come “significante sociale” capace di fare la sua parte per rispondere a quell’anelito di felicità correlato alla “buona novella”.
Non fosse altro che il continuo erodere la terra destinata all’agricoltura (land grabbing), e ancora peggio le foreste, nei Paesi in via di sviluppo per produrre i mangimi per animali nei paesi industrializzati è una gravissima concausa nella fame del mondo, che non si risolve, ahimè, solo con gli spiccioli raccolti dopo aver mostrato fotografie strappalacrime. Si tratta di un gravissimo controsenso quello di scagliarsi, con mille e una ragione, contro questa piaga senza condannare al contempo una delle principali concause della stessa. Non è forse antropocentrismo questo?

Non è forse superfluo citare le catene di fast-food ormai espanse anche nelle nostre città che propongono un modello di alimentazione, e conseguentemente di società, che nulla ha a che fare con l’insegnamento cristiano? Credo che la famiglia si difenda anche così.
E anche nei confronti della caccia il silenzio è assordante tanto più che sono all’ordine del giorno, durante la stagione venatoria, incidenti che coinvolgono cacciatori, e troppo spesso, inermi passanti. Senza contare la devastazione perpetrata nei confronti dell’ecosistema e il finanziamento all’industria militare. Ma nemmeno lì sembrano levarsi voci di marcato dissenso.
A questo punto colmare il vuoto sarebbe anche uno slancio progressista, una dimostrazione di dinamismo intellettuale che farebbe davvero bene all’immagine della Chiesa presso le fasce di popolazione qualitativamente più ricettive. Ma dirò di più: invece di criticare i media “laici” più o meno progressisti sul relativismo, il secolarismo e la scarsa attenzione alla bioetica, sarebbe un buon destro quello di iniziare a sottolinearne le macroscopiche contraddizioni in termini di analisi rispetto a queste problematiche: cito a solo titolo di esempio “il Venerdì” de “la Repubblica”, una delle voci più “intellettual chic” del nostro panorama mediatico. Ebbene accanto a rubriche sulla salute degli animali da compagnia, la tutela dell’ambiente, le problematiche ecologiche non passa numero in cui non vengano recensiti ristoranti e ricette che usano e abusano carne d’ogni sorta…Una contraddizione servita su…Un piatto d’argento, di cui nessuno sembra interessato ad approfittare. Criticare l’edonismo del “tutto intorno a te”, insomma, passa necessariamente per la critica a questo modo di rapportarsi con il creato e gli altri esseri.
Ma dirò di più: come si può contestare, sempre con mille e una ragioni, un sistema di vita e di organizzazione sociale patentemente in contrasto con i dettami evangelici senza andare a scalfire quello che ne è uno dei motori primigeni: lo sfruttamento sistematizzato su chi non può fare nulla per evitarlo? Se deve essere pensata, immaginata, sognata un’alternativa come potrà realizzarsi se non verrà rimossa, o almeno enormemente ridimensionata, l’ingordigia onnivora, in tutti i sensi, che pervade questo declinante capitalismo post-umano?
C’è un dato da tener presente quando si analizzano queste problematiche: il fatto che tutto quel che non sia il prodotto finale viene tenuto lontano dagli occhi del consumatore (la famosa ipotesi mercatista della “perfetta informazione”….) e questo viene giustamente stigmatizzato da Mariani. Provate a farci caso: a che ora vengono rifornite le macellerie e i banchi del supermercato? Tutti gli altri comparti merceologici sono consegnati e allocati per la vendita a qualsiasi ora, tutti tranne carne e pesce perché probabilmente vedere uscire dai camion una vacca tagliata a metà non è esattamente una politica di marketing vincente… Eppure anche in questo caso si evince la prepotente rilevanza sistematica della tematica: non è forse un problema di “non vedere” quello che attornia la solitudine, l’emarginazione e l’ampliamento del divario sociale? Appare a mio avviso un dato non più eludibile per i cristiani del terzo millennio quello di emendare ad un’assenza tanto grave quanto dannosa.

Alberto Leoncini
albertoleoncini@libero.it

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