
La resistenza costituisce invece la facilità o la difficoltà di cambiare il sistema, o meglio, quanto e come il sistema è complessivamente resistente rispetto al cambiamento.
La precarietà indica quanto sia vicino l’attuale stato di un sistema ad un limite o una soglia.
Abbiamo già fatto un ampio elenco di situazioni che necessitano di interventi immediati.
Il termine ‘resilienza’, per questo sta comparendo sempre più di frequente nelle discussioni sulle preoccupazioni ambientali, esprime un concetto veramente più utile di quanto sia quello di sostenibilità.
La sostenibilità e l’ossimoro derivato- dello sviluppo sostenibile- sono considerati comunemente una risposta sufficiente alla scala delle sfide del clima che affrontiamo: ridurre gli input nel modello della crescita economica globalizzata (energia, risorse e così via) riducendo contemporaneamente gli output (inquinamento, emissioni di carbonio etc).
Comunque, le risposte al cambiamento climatico che non tengano conto dell’imminente (o forse già superato) picco nella produzione mondiale del petrolio, non si confrontano in modo adeguato con la natura della sfida che dobbiamo affrontare.
Il pensiero che si basa sulla resilienza può ispirare un livello del pensiero creativo realmente capace di avvicinarci alle soluzioni che avranno successo nel lungo termine.
Le ‘soluzioni resilienti’ al cambiamento del clima potrebbero comprendere:
– la creazione di aziende produttrici di energia rinnovabile, di proprietà della comunità, tali da generare reddito e alimentare così un processo di rilocalizzazione più ampio;
– la costruzione di abitazioni ad alta efficienza energetica che usino prevalentemente materiali locali (argilla, paglia, canapa) stimolando così una gamma di attività commerciali e di industrie locali;
– la realizzazione di una gamma di modelli urbani di produzione alimentare;
– la riconnessione degli allevatori ai loro mercati locali.
– l’analisi del territorio: il rischio idrogeologico e sismico necessitano di interventi prioritari da realizzare insieme a quelli precedentemente elencati.
Considerare la resilienza come un ingrediente cruciale delle strategie economiche che metteranno le comunità in grado di crescere superando la tempesta economica attuale che sta colpendo il mondo, darà origine a una enorme creatività, alla riqualificazione e all’imprenditoria.
Una risposta al cambiamento climatico e al picco del petrolio richiederà l’azione a livello globale, nazionale, e locale, ma ha anche bisogno di comunità vibranti che spingano il processo, creando l’ondata del cambiamento alla scala locale.
Catalizza le comunità a domandarsi: ‘Come faremo a ricostruire in modo significativo la resilienza in risposta al picco del petrolio e a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio in risposta al cambiamento climatico?
Collocando la resilienza accanto alla necessità di ridurre le emissioni di carbonio si catalizza un’ampia gamma di iniziative, dall’Agricoltura Sostenuta dalla Comunità e dai programmi di condivisione dei giardini, alla lista dei produttori alimentari locali e ai nuovi Mercati degli Allevatori.
Alcune località, hanno fondato le proprie aziende elettriche per alimentare la produzione di energie rinnovabili.
I buoni locali assumono un aspetto significativo di resilenza economica.
Ci sono sempre meno soldi rispetto alle necessità, e allo stesso tempo c’è sempre più bisogno di denaro anche per le cose più semplici e necessarie.
Aggiungo e integro a questo articolo questa notizia del 1 Novembre 2011 , a significare come gli avvenimenti si succedono ormai a ritmo incalzante….
Il premier greco George Papandreou ha deciso di indire un referendum sul salvataggio della Grecia che rischia di aggravare la crisi dei debiti sovrani in Europa.
In pratica Papandreou ha deciso di sottoporre a referendum il piano di aiuti concordato con la Ue, e secondo i sondaggi i greci si preparano a votare no al piano di Austerity, con il conseguente default dello stato ellenico.
Senza entrare nel merito, aggiungo che una civiltà un tempo contadina, è stata spazzata via in pochi decenni, se pensiamo che solo agli albori del novecento oltre l’ottanta per cento della popolazione era dedita alle attività rurali, mentre ora gli addetti all’agricoltura (che, peraltro, in genere non sono nemmeno più contadini!) sono all’incirca il 6% della popolazione attiva.
Se pensiamo che la società odierna si è potuta sviluppare grazie al petrolio a basso costo, pensate a che cosa può succedere in caso di scarsità o di prezzi inaccessibili per mantenere la filiera agroalimentare nel caso particolare.
Il default della Grecia e poi dell’ Italia… e quindi della successiva super inflazione renderà tutto più semplice , l’accesso all’energia diventerà molto più complicato e sarà colpa della moneta piuttosto che colpa di un sistema che ha reso tutto scarso per poter controllare e manipolare il mondo intero.
In caso di crisi, purtroppo l’individuo si auto-svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione.
E senza azione non c’è ribaltamento né rivoluzione, non c’è nessuna possibilità di cambiamento in senso democratico»
In questo contesto, apparentemente senza via d’uscita, l’unica possibilità per i cittadini di ritornare ad un livello di vita sostenibile, è di riappropriarsi dei beni comuni, ovvero di quelli che consentono a tutti di vivere.
Si tratta, quindi, di immaginare un modello che possa essere realizzato a livello locale per ricostruire quel tessuto sociale, di relazioni, affetti, solidarietà, condivisione di interessi e di abitudini, che sono patrimonio concreto dei cinquantamila campanili italiani.
Poco si discute purtroppo sulla natura dei beni , termine il cui significato é andato cambiando negli ultimi venti-trenta anni, né si dice molto sulla loro gestione, pubblica o privata che sia.
Questo rende quasi inesistente il dibattito sui modi concreti con cui affrontare la rapida distruzione di alcuni beni essenziali e sugli eventuali interventi per aumentarne la quantità e la qualità roproducendoli o abbassandone il degrado.
E’ importante discutere e identificare i beni patrimoniali comuni del territorio:
– le risorse essenziali del territorio: aria, acqua, terra, energia
– il patrimonio storico, artistico e culturale
– l’ambiente naturale
– il paesaggio
– le forme di conoscenza collettiva
– i saperi e le culture locali
Che la ricchezza sia strettamente connessa alla conoscenza inserita in un contesto sociale è fuori di dubbio, applicare l’intelligenza alle cose comporta che queste cessano, come d’incanto, di essere scarse.
La scarsità, infatti, è un rapporto sociale al pari della ricchezza.
Bisogna concepire la resilienza come una funzione psichica che si modifica nel tempo in rapporto all’esperienza, ai vissuti e, soprattutto, al modificarsi dei meccanismi mentali che la sottendono.
Secondo Susanna Kobasa, una psicologa dell’università di Chicago, le persone che meglio riescono a fronteggiare le contrarietà della vita, quelle più resilienti appunto, mostrano contemporaneamente tre tratti di personalità:
- l’impegno;
- il controllo;
- il gusto per le sfide.
Per impegno s’intende la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività.
La persona con questo tratto si dà da fare, è attiva, non è spaventata dalla fatica; non abbandona facilmente il campo; è attenta e vigile, ma non ansiosa; valuta le difficoltà realisticamente.
Perché ci sia impegno è necessario avere degli obiettivi, qualcosa da raggiungere, per cui lottare e in cui credere.
Per controllo s’intende la convinzione di poter dominare in qualche modo ciò che si fa o le iniziative che si prendono, ovvero la convinzione di non essere in balia degli eventi.
La persona con questo tratto per riuscire a dominare le diverse situazioni della vita è pronta a modificare anche radicalmente la strategia da adottare, per esempio, in alcuni casi intervenendo con grande tempestività, in altri casi indietreggiando, prendendo tempo, aspettando.
L’espressione gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione ad accettare i cambiamenti.
La persona con questo tratto vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi.
Il cambiamento viene vissuto più come incentivo a crescere che come difficoltà da evitare a tutti i costi, e le sfide vengono considerate stimolanti piuttosto che minacciose.
La persona generalmente è aperta e flessibile.
Impegno, controllo e gusto per le sfide sono tratti di personalità di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivati e incoraggiati.
La resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo; essa presuppone invece comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque
Avere un alto livello di resilienza non significa non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vita
Avere un alto livello di resilienza non significa essere infallibili ma disposti al cambiamento quando necessario; disposti a pensare di poter sbagliare, ma anche di poter correggere la rotta
Parti dell’articolo tratti da: Transition Towns and Resilience Thinking, novembre 2009
Da una intervista di Luca Mercalli:
Il mondo ha raggiunto attualmente la massima complessità storica dall’inizio della nostra civiltà.
Informarsi correttamente costa tempo e fatica, e presuppone un minimo di alfabetizzazione scientifica, non sempre scontata.
Per questo si preferisce vivere alla giornata, sperando che i problemi saranno risolti da altri, oppure ci si accontenta di slogan rassicuranti o semplificazioni eccessive, luoghi comuni da bar sport.
Una sottovalutazione pericolosa.
La resilenza è’ la proprietà che ha un sistema di sopportare un trauma senza collassare, ma attutendo il colpo e riprendendosi in fretta.
La nostra società è esattamente il contrario della resilienza, è fragile: basta che qualcuno chiuda le valvole di gas e petrolio e nel giro di pochi giorni si torna al medioevo!
Per questo ritengo che un programma politico saggio dovrebbe investire le poche risorse economiche ancora disponibili in una capillare opera di aumento della resilienza individuale, che cominci dalle nostre singole abitazioni, evitando che vada sprecata tanta energia, introducendo pannelli solari, cisterne per la raccolta d’acqua piovana, coltivazioni orticole di prossimità.
Iniziamo abbattendo lo spreco, che ammonta mediamente attorno al trenta per cento di quanto utilizziamo sotto forma di energia e materie prime.
Lo spreco è relativamente facile da combattere, non serve a nessuno, e si può pure risparmiare del denaro, riducendo le bollette, oltre che l’inquinamento.
Non si capisce però perchè sia così difficile convincere le persone a diventare più efficienti, a cominciare dalla propria casa, spesso definibile oggi come colabrodo energetico.
Se le premesse sono queste, figuriamoci quando si dovranno fare vere e proprie rinunce… comunque un gesto anche piccolo, è un inizio e un atto di assunzione di responsabilità.
Bisogna convincersene prima che i fatti ci convincano con la loro drammatica evidenza.
Autore dell’articolo: Augusto Anselmo
Fonte: Sargo.it
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