Dialogo sull’azienda etica

scritto con “Nei moderni stati democratici, il neonato acquisisce automaticamente lo status di cittadino. Cio’ garantisce al singolo diritti e doveri fondamentali per la formazione di variegate forme di pensiero e di controllo, al fine di evitare il cosiddetto “stato etico”.

Nel mondo del lavoro le cose sono profondamente diverse. Per evidenti ragioni pratiche, l’assunzione del personale dipendente e la gestione dello stesso avviene attraverso determinate strutture che sono sottoposte ad un unico controllo: quello sindacale (peraltro poco efficace di questi tempi). Il rischio e’ quello di sconfinare nella “azienda etica”. Se da un lato l’assunzione di soggetti allineati ai convincimenti espressi da coloro che selezionano il personale dipendente garantisce omogeneita’ dello stesso e minore conflittualita’, dall’altro si corre il rischio di castrare professionalita’ che potrebbero offrire un grande contributo. Il danno maggiore rimane a carico dei proprietari di queste aziende, i quali potrebbero vedere sfumare i loro investimenti, a causa della scarsa competitivita’ che le aziende in parola verrebbero ad assumere sul mercato. Quali soluzioni?”

Caro Paolo,
con la stima che nutro nei tuoi confronti accetto sempre di buon grado le tue sollecitazioni alla riflessione, nonostante la ‘risorsa tempo’ sia sempre assai scarsa.

Ma veniamo al tema che proponi, almeno per alcune prime veloci riflessioni. In linea di massima, ed in base alla mia personale esperienza, il problema mi sembra riconducibile al seguente punto: bisogna partire dalla distinzione tra finalita’ (scopo sociale) dell’azienda e finalita’ dei dirigenti della medesima. In un certo senso va richiamata la distinzione traa ‘potere’ e ‘servizio’.

In teoria chi presiede una struttura aziendale (o anche un’altra struttura sociale, ma limitiamoci al tuo esempio) dovrebbe badare a fare di tutto affinche’ sia raggiunto al meglio il suo scopo sociale (che sia profita’ o nonprofit), in qualunque condizione della vita della struttura o meglio nella costante evoluzione della vita della struttura. E’ ben chiaro a molti ”’ anche se forse non a tutti ”’ che un atteggiamento mentale ‘critico’, ovvero la capacita’ costante di ‘problematizzare’, di mettere in discussione le certezze (che nella vita e nelle costruzioni umane durano, se va bene, l’espace d’un matin) e quindi di adattarsi, cambiando in continuazione, alle sempre mutevoli condizioni economiche, sociali, politiche, di evoluzione tecnologica, ecc., e’ l’atteggiamento mentale che maggiormente mette in condizione di prosperare, o almeno di sopravvivere. Questo atteggiamento dovrebbe guidare sia il comportamento di chi lavora in un’azienda (specie se la guida) sia la scelta dei collaboratori: le persone che ragionano in questo modo sono quelle che piu’ sono in grado ”’ almeno a lungo termine – di portare benefici all’azienda stessa.

Se invece, come spesso accade (e anche qui sia nel profita’ che nel nonprofit), l’atteggiamento di chi conduce un’azienda e’ piu’ incentrato sulla ricerca e sul mantenimento del – proprio – ‘potere’, le conseguenze non tarderanno a farsi notare: chi pensa piu’ al potere che al ‘servizio’ verso la sua struttura si ‘irrigidisce’ nelle proprie posizioni e non ‘cresce’ (ovvero non si evolve) e presto o tardi sara’ ‘superato’ (insieme alla sua azienda) dall’ambiente, dalla concorrenza, ecc.

Logicamente, chi ragiona in questo modo tende a scegliere il personale da reclutare sulla base di logiche ‘conservative’, ovvero si mette alla ricerca piu’ di ‘yes-men’ che di potenziali ‘rompico.’. La critica inizia logicamente sempre dalla struttura interna, quindi chi ha un atteggiamento ‘critico’ comincera’ subito a mettere in discussione i suoi ‘superiori’, compreso chi l’ha assunto. Purtroppo, pero’, criticare e’ la cosa migliore da fare per far cambiare le cose ed evolversi. E’ vero che alcuni criticano solo per gusto di farlo e questo non porta a nulla di interessante e forse e’ proprio questa la maggiore difficolta’ del ‘selezionatore’ di personale: distinguere tra chi critica per far evolvere da chi critica per malanimo ed astio personale.

Ne ho avuto una diretta esperienza anni fa quando mi sono impegnato molto per lavorare con una persona, molto creativa e innovatrice, con cui alla fine ho rotto i rapporti perche’ non lo reggevo piu’ dal punto di vista personale (e spesso anche professionale). Ho fatto bene? Ho fatto male?
Difficile dirlo: io certo non avevo tutte le ragioni, ma anche il soggetto in questione era ed e’ lontano dall’avere la verita’ in tasca, come sembrava invece convinto. Avremmo dovuto lavorare di piu’ sulla sintesi dei punti di vista, ma non c’e’ stato tempo. Inoltre la persona in questione ha preso un numero sufficiente di ‘schiaffoni’ da altri soggetti connessi alla struttura e forse un po’ di ‘quadratura’ se l’e’ data (o almeno cosi spero per lui; restera’ forse antipatico, ma magari sara’ un po’ piu’ furbo).

(Tratto da: http://www.finansol.it)

Be the first to comment on "Dialogo sull’azienda etica"

Leave a comment