Sanremo: il festival dei pessimi

(Fonte: Inviatospeciale.com/)

Com’e’ lontana l’Italia che una volta sapeva sognare.

Dopo tre puntate finalmente si puo’ azzardare un giudizio sull’evento televisivo del momento. Ha detto  Mauro Mazza, il direttore di RaiUno: “Il Festival di Sanremo di quest’anno tende a somigliare all’Italia di oggi”, ed ancora, Sanremo “e’ sempre stato, storicamente, lo specchio della societa’ italiana”.

La storia professionale del capo della principale rete televisiva italiana e’ utile per capire com’e’ fatto un Paese senza qualita’. Giornalista di partito, nel senso che ha cominciato a lavorare nel giornale del Msi, ‘Il Secolo d’Italia’, ha fatto il radiocronista delle partite della Lazio per un paio di radio private e per qualche tempo ha calpestato i corridoi della AdnKronos, prima che l’agenzia di stampa raggiungesse i livelli di qualita’ di oggi ed anche perche’ il proprietario, Pippo Marra, era stato anche lui un cronista del quotidiano del Msi.

Com’e’ stato assunto Mazza in Rai? Lo ha raccontato lui stesso: “Avevo conosciuto Claudio Martelli. Gli davo una mano per l’ufficio stampa. Paolo Gigante, capo del politico del Gr1 di Livio Zanetti, si mise in testa di portarmi in Rai ma serviva una spinta. Chiesi a Martelli di telefonare al presidente Manca. La telefonata di Martelli a Manca funziono’. Mi chiamo’ il capo del personale per la visita medica”. A proposito di meritocrazia.

Il direttore raccomandato si e’ mai occupato di programmazione televisiva e varieta’? Assolutamente no, ovviamente, ma poco importa perche’ le nomine in Rai non si fanno sulla base dei curricula.

Lo “specchio della societa’” che vede Mazza e’ quello deformante di un ex fascista, cresciuto nelle polverose stanze nostalgiche di chi, in una adolescenza attraversata dai grandi cambiamenti della fine degli anni Sessanta, pensava all’orbace del Duce o alle follie di Salo’.

Sul palcoscenico dell’Ariston e’ stata sistemata quest’anno Antonella Clerici, che senza volere in nessun modo offendere la categoria, sembra la moglie un po’ distratta di un salumiere, alla quale se si chiede un etto di prosciutto di Parma ti affetta due etti di mortadella in offerta.

La scenografia, magnificata da qualcuno, incombe scura e minacciosa, nasconde l’orchestra ed ha persino trasformato la storica scala in tre scalini da niente, forse per una inconscia percezione del declino nazionale. Testi e regia sono l’estensione del nulla della ‘nuova televisione’, quella delle banalita’, dove dialoghi ed immagini sono la definitiva affermazione della scuola ‘Mediaset’, arraffazzonata, dilettantesca e spesso volgare.

Un disastro che i piu’ giovani non possono capire fino in fondo, perche’ non hanno mai visto i fondali essenziali di Cesarini da Senigallia, la cura con la quale era scelta ogni inquadratura televisiva da Falqui, Bolchi, Majano, Macchi, Procacci, Vaccari, Landi, Wertmuller, Trapani, D’Anza, Siena e tanti altri. Neppure hanno ascoltato i testi scritti per Mina, Carra’, Corrado, Chiari, Lionello, Masiero, Tieri, Scala, Panelli o Manfredi da Verde, Metz, Marchesi, Castellano, Pipolo, Mattoli, Cederna, Bettetini.

Un vero e proprio esercito di professionisti straordinari, quello della ‘prima Rai’, che fecero pero’ scrivere gia’ nel 1963 a Marcello Marchesi una battuta feroce: “Io mi sono fatto raccomandare perche’ oggi si dice: impara l’arte e mettila da parte. E’ un nuovo proverbio”.

Il Festival della canzone italiana di Mazza e della impossibile Clerici e’ un discount di banalita’, nel quale si ospitano spogliarelli anni ’60 un po’ patetici e grossolani e dove saltellano sulle tavole di un palcoscenico troppo piccolo le cosce e i sederi della meta parigina preferita dai turisti infoiati, il Moulin Rouge. Neppure si sfiora l’incomparabile capacita’ seduttiva delle gemelle Kessler impegnate a danzare nelle coreografie da Broadway di Don Lurio, la bravura di Cuccarini o Parisi.

A Sanremo hanno quasi sempre vinto le canzoni della provincia, quelle dalle rime imbecilli pensate per una immaginaria casalinga di Voghera. Musica per tranquillizzare, voluta da politici da sagrestia per imbeccare un Paese saldamente timorato per tutto. Salvo trasgressioni di massa, ma in segreto. Tuttavia, su quello stesso palco sono saliti geni della musica, da Vanoni a Tenco, Paoli, Martini, Pravo, Dalla, Lauzi e cento altri.

Nostalgia del passato? Niente affatto, perche’ quell’Italia della ‘prima Rai’ era anche la patria del conformismo, una terra nella quale il divorzio era considerato un crimine, chi non si sposava in chiesa un fornicatore e dove mostrare l’ombelico poteva portare in galera.

Pero’, in quel luogo cosi bigotto c’erano anche i sogni. Raccontati nel cinema da Visconti, Rossellini, Fellini, De Sica, De Santis, Germi, Lattuada, Castellani, Monicelli, Zampa o nelle storie inventate da Sonego, Zavattini, Flaiano, Cecchi d’Amico, Pasolini.

Un’Italia che inventava la 500 ed il moplen, capace di costruire le autostrade piu’ belle del mondo, nelle quali persino i distributori di benzina dell’Agip erano dei capolavori di architettura moderna. E nella quale la Rai faceva nonostante tutto la sua parte, spesso con immensa competenza.

2010 di Berluscolandia: anche la pessima musica e’ stata bandita da questo festival, amputata da canzoni trasformate in spazzatura utile per uno spettacolo televisivo deleterio ed avvilente. Agli italiani Sanremo sta sbattendo in faccia per davvero l’immagine del Paese, quella disegnata da un Palazzo onnivoro e lottizzato, nel quale corrotti, statisti improvvisati e puttanieri si sono trasformati prima in casta e subito dopo in regime.

Ed infatti gli ascolti sono alti e si gioisce per questo. Milioni di cittadini guardano, ma si divertono? Hanno qualcos’altro da vedere? Viene loro offerto uno straccio di alternativa?

Forse mai come in questi giorni Sanremo e’ un ‘problema politico’, perche’ con la sua anima ‘nazional popolare’ mostra senza piu’ nessun velo la disfatta di in popolo. E sabato, a controfirmare questa tragedia, arrivera’ il capo dell’opposizione, il segretario del Pd Bersani.

Per quelli che si ostinano a resistere ed a difendere la propria intelligenza non c’e’ lieta novella. Davvero la situazione e’ grave. E francamente risulta difficile capire come ritrovare la strada.

Roberto Barbera

(Tratto da: http://www.inviatospeciale.com/)

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