Diario da Haiti (1): da Santo Domingo a Port au Prince

Centro106.jpgA quasi un mese dal disastroso terremoto di 7,3 gradi della scala Richter che ha colpito la capitale di Haiti, Port au Prince (o all’occorrenza Porto Principe), causando oltre 200mila morti e un milione di sfollati, il paese si trova in un costante stato d’emergenza ed e’ praticamente isolato dal resto del mondo dato che gli scali aerei e navali internazionali sono controllati dall’esercito americano, dalla Minustah (United Nations Stabilization Mission in Haiti) e dai contingenti militari inviati da tutto il mondo. Quindi per raggiungere Port au Prince, si deve passare dalla vicina Repubblica Dominicana. Partiamo in due da Citta’ del Messico a Santo Domingo in aereo e poi da li via terra si dovra’ attraversare tutta l’isola da est a ovest lungo una strada precaria e trafficata, l’unica. Al nostro arrivo a Santo Domingo ci accoglie Narciso, un anziano giornalista e uomo politico dominicano, militante del Partito Comunista, combattente durante la rivoluzione dominicana del 1965 e nella resistenza contro l’invasione statunitense fu piu’ volte esiliato a partire dall’inizio degli anni sessanta da quando lottava contro la tirannia del dittatore Rafael Leonidas Trujillo.

A Santo Domingo
Narciso e’ un idealista generoso e combattivo che non esita a offrirci la sua ospitalita’ e i suoi scritti praticamente senza nemmeno conoscerci e decide di pagar lui un hotel nella zona coloniale della capitale dominicana solo per il fatto che stiamo andando ad Haiti per provare a dare una mano. Al check in della Copa Air in Messico constatiamo il raggiungimento del limite massimo di peso consentito, 46 kg a testa in totale: siamo strapieni di medicinali, tende, filtri per l’acqua, vitamine, bottiglie d’alcol, apparecchi vari come cellulari, macchine digitali e batterie, guanti da lavoro e perfino cancelleria, tutti beni che non si trovano ad Haiti oppure sono carissimi.
Verso sera io e Diego, il mio compagno d’avventure, restiamo soli con l’albergatore e questi, cercando di creare una maldestra complicita’, ci spiega ridacchiando che Narciso e’ una ‘specie di comunista’ e che sta sempre contro tutti i governi e che purtroppo, insomma, e’ stato sempre osteggiato perche’ non scende mai a patti e aderisce ai circoli di attivisti bolivariani promossi dal presidente venezuelano Hugo Chavez. Il nostro non ha cattive intenzioni ma si accorge subito che forse e’ stato un po’ troppo spontaneo con due sconosciuti e quindi sente il dovere di una rettifica ‘beh, pero’ e’ una gran persona oltre ad essere un cliente fisso!’. Notte, zanzare, pensieri. Sappiamo che dobbiamo prepararci a guardare in faccia persone che hanno perso tutto, che non hanno piu’ una casa, una famiglia, un lavoro ne’ uno Stato di riferimento dato che quasi tutti i ministeri e gli uffici pubblici sono crollati e il presidente Rene Preval prova a ‘gestire la cosa pubblica’ tramite dei messaggi televisivi serali trasmessi da una tendopoli che e’ protetta dai mezzi blindati USA, dalla polizia locale e dai caschi blu dell’ONU. Gli autobus per Porto Principe partono uno dietro l’altro non appena si riempiono di persone da una stazione relativamente moderna dove bisogna fare la fila dal mattino presto per sperare d’ottenere l’agognato biglietto.Centro129.jpg La calca dentro e fuori dall’ufficio vendite e’ impressionante e i piu’ agguerriti sono i gruppi di haitiani che confondono gli agenti della sicurezza usando un mix linguistico franco-creolo-spagnolo davvero ammirevole mentre io cerco di inserirmi in una curiosa fila circolare che degenera in bolgia ogni quattro minuti. Il Caribe Bus e’ per i ricchi: quaranta dollari USA di viaggio piu’ altri trenta per tasse alla frontiera, varie ed eventuali. Verso le 9 salutiamo Narciso che ci ha pazientemente accompagnato anche in questa occasione e montiamo sull’autobus coi posti da conquistare e la fame gia’ sedata da alcune tortine burrose consumate in caffetteria.
Storia e razzismo
Da oltre duecento anni due stati decidono le sorti dell’isola in cui sbarco’ Colombo il 14 ottobre 1492 e che poi si chiamo’ La Hispaniola. La Repubblica Dominicana e’ un paese ispanofono piu’ ricco e sviluppato del suo vicino francofono, anche grazie al turismo e a una certa stabilita’ politica. Nel secolo XIX il paese piu’ potente e fiero era invece Haiti mentre oggi, forzando un po’ una comparazione valida per molte terre di confine dell’America Latina, la Repubblica Dominicana arriva a rappresentare quello che sono la Costa Rica per il Nicaragua, l’Argentina per la Bolivia o gli Stati Uniti per il Messico, cioe’ dei paesi confinanti e prosperi verso cui emigrare, con piu’ lavoro e migliori stipendi ma anche tanto risentimento, discriminazione ed esclusione nei confronti di una popolazione percepita come ‘etnicamente differente’ (nera in questo caso) rispetto all’identita’ nazionale predominante (per esempio meticcia, europea o WASP). Per le strade di Santo Domingo e persino nelle colonne dei principali quotidiani nazionali non e’ difficile sentire commenti razzisti sui vicini haitiani cui vengono attribuite spesso le colpe degli incidenti, dei furti e in generale dei problemi del paese che ‘sarebbe piu’ ricco se avesse altri vicini, se potesse avere un’immigrazione migliore’. Frasi spesso ripetute anche in casa nostra, mi pare. Alcuni tassisti ci hanno detto di avere paura dei contagi e le malattie provenienti da Haiti senza pero’ specificare di che si tratta. Una nuova epidemia di suina o la fobia del terromoto? Attenzione, dico io, noi veniamo dal Messico, culla della vendetta di Montezuma e del virus A H1N1, non avete paura?
Risentimenti
Per opera della stampa, del discorso politico, dell’ideologia nazionale e dei libri di storia di stampo revanscista e’ ancora vivissimo il ricordo della ‘vergognosa’ conquista di Santo Domingo da parte delle truppe insorte dal presidente haitiano Jean-Pierre Boyer nel 1822. Infatti la Repubblica Dominicana divenne indipendente solo nel 1844, quarant’anni dopo Haiti, la quale seppe invece lottare e vincere contro la Francia di Napoleone gia’ nel 1804, diventando la prima Repubblica indipendente in America dopo gli USA e la primissima che aboli la schiavitu’ e volle sposare i principi della Rivoluzione francese. Dal canto loro gli haitiani hanno di che lamentarsi dei vicini dominicani che nel 1937, durante la lunghissima dittatura (1930 – 1961) del generale Trujillo e per ordine di quest’ultimo, si sono resi protagonisti di un vero e proprio olocausto, una persecuzione di haitiani che fece oltre 20mila vittime con il tragico pretesto di ‘ripulire la frontiera e la razza’.
Frontiera e polvere
La frontiera di Jimani e’ un caos totale che ci fa perdere ore e ore in mezzo alla polvere delle strade sterrate e agli autobus parcheggiati col motore acceso in transito verso Porto Principe. Alcuni chilometri prima abbiamo superato i convogli e le ruspe dell’esercito italiano che stazionavano in alcune spianate ai bordi della strada principale, probabilmente in attesa di ripartire di notte per non creare ingorghi apocalittici ed evitare il caldo, e che pare abbiano dovuto fare un giro assurdo per i mari dei pirati prima di poter approdare nelle acque dominicane e proseguire via terra. Un po’ come noi insomma, ma forse meno motivati. Verso sera il traffico nei pressi della congestionata capitale haitiana completa l’opera e un viaggio di 6 ore teoriche si allunga fino a quasi 12 ore totali. Gli ultimi 30 chilometri prima dell’arrivo sono solo un’anteprima rispetto a quanto vedremo in citta’: un brulicare di gente per strada comprando, vendendo, cercando, trasportando e parlando; file di tende, materassi, coperte e dimore improvvisate sul ciglio della strada e sui marciapiedi distrutti, case crollate con oggetti, elettrodomestici e utensili che emergono dalla polvere come testimonianza di una vita che non c’e’ piu’, sparita nel nulla sotto le macerie o dispersa in una strada qualunque della metropoli senza legge. O meglio, senza Stato, che forse a volte e’ meglio se si riattivano le forme di vita comunitaria e autonoma ma non mi spingerei oltre. Qui la situazione e’ un’altra.
Port au Prince
Quando Evel e il suo amico poliglotta Paulo ci vengono a prendere in jeep alla stazione degli autobus e’ ormai notte ma la citta’ continua a restare sveglia e a muoversi in cerca di cibo, acqua, giacigli, aiuti. L’odore acre e intenso che entra dai finestrini e’ la morte, ci dicono. E’ la puzza dei cadaveri che ancora sono sotto le macerie e non si possono portare via perche’ non ci sono le ruspe e nessuno osa piu’ addentrarsi nel cemento in frantumi. O forse e’ l’umore dei vivi che richiama i soccorritori sempre piu’ scoraggiati ma con un filo di speranza, com’e’ successo oggi con il ritrovamento di un uomo ancora vivo dopo tre settimane di vita negli inferi. Centro005.jpgI nostri anfitrioni ci raccontano i primi momenti drammatici in cui sono riusciti a scampare il pericolo per pura fortuna e la fase seguente di normalizzazione che in realta’ continua tuttora e andra’ avanti per mesi, dato che la cultura della sopravvivenza a Porto Principe coincide con quella dell’emergenza permanente, basti pensare che meno di due anni fa furono gli uragani a sconvolgere la nazione piu’ povera dell’emisfero occidentale. Le strade asfaltate sono solo quelle grandi e transitate, le arterie principali dell’ingarbugliato tessuto urbano. Invece le altre vie languiscono ai margini della tanto sognata e discussa modernita’, prive di luce e servizi, incomplete e bucate a causa della corruzione politica che colloca il paese agli ultimi posti di tutte le classifiche stilate in materia e che da sempre ha mangiato le sue risorse e defraudato la sua gente come quando, per esempio, il figlio del dittatore François Duvalier, Jean-Claude, detto Baby Doc, che governo’ tirannicamente Haiti, la rovino’ economicamente e poi fu accolto a Parigi in un esilio dorato nel 1986.
L’Aumohd
Arrivati. Evel Fanfan, l’amico haitiano che ci ha permesso di venire qui e che ci ospitera’ nelle strutture della sua associazione, e’ il presidente dell’Aumohd, un gruppo locale di avvocati per la difesa dei diritti umani che spesso hanno dovuto conciliare le loro attivita’ in campo giuridico con i compiti umanitari e di protezione della popolazione del quartiere in seguito a terremoti e uragani. Sfruttando la loro esperienza nel lavoro in favore delle persone condannate ingiustamente e gli abitanti dei quartieri disagiati, gli avvocati e i collaboratori dell’Aumohd stanno cercando sia di riprendere in parte le loro attivita’ ‘ordinarie’ sia di aiutare la gente del quartiere Delmas, la zona della periferia cittadina in cui ci troviamo, con dei progetti di cucina comunitaria, con la distribuzione di medicine, la fornitura di servizi di base come Internet ed elettricita’ per ricaricare i telefonini oltre alla ricerca dei famosi aiuti internazionali che ancora non hanno lambito ne’ questo gruppo ne’ la maggior parte della popolazione di Delmas che dorme per la strada e negli accampamenti. In questo senso stiamo promuovendo una raccolta fondi mirata a supplire la mancanza attuale di altre fonti di reddito per i membri dell’associazione e della comunita’ del quartiere che possono avere un impatto molto piu’ diretto: vi invito a sottoscrivere QUI.
Il Diario continua’

Foto da Haiti: [picasaweb.google.com]

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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