Filiera legno energia per una sovranita energetica

Legno-energia, boschi da biomassa l’Italia insegue. In Europa, la filiera legno-energia rappresenta il 54% dell’energia primaria derivante da fonti rinnovabili, mentre in Italia e’ ferma al 30%.

L’Europa e’ ricchissima di foreste, ma solo una piccola parte del legno utilizzabile puo’ essere impiegato come materiale da costruzione; il resto e’ destinato alla produzione di energia. Di qui di capisce il ruolo fondamentale che la filiera del legno ricopre a livello comunitario in questo settore: il 54% dell’energia primaria da fonti rinnovabili deriva infatti dalle foreste.

Anche in Italia questa filiera gioca un ruolo da protagonista ricoprendo il 30% della produzione di energia verde, seconda solo all’idroelettrico. Entrando nel particolare, il legno utilizzato per la combustione si trova sotto forma di cippato (legno ridotto in scaglie), bricchette (ottenute dalla pressatura dei residui legnosi), e pellets (piccoli cilindri prodotti attraverso pressature molto elevate).

In Italia, i combustibili legnosi vengono indirizzati per la maggior parte ad uso domestico (73%), ma e’ sempre crescente l’interesse verso il business della produzione di energia, principalmente perche’ il cippato (la forma piu’ diffusa sotto cui vengono commercializzati) ha un costo relativamente basso (circa 50 euro la tonnellata).

Per questo tra i maggiori utenti e promotori di impianti di termoriscaldamento collegati al cippato con un range di potenza che va da 100 KW ai 5 MW ci sono le aziende agricole, che possono utilizzare con molto profitto gli scarti legnosi di bassa qualita’ producendo energia e immettendola nella rete. Cio’ significa ovviamente una forte integrazione del reddito aziendale, senza contare un grande risparmio dal punto di vista dello smaltimento dei residui legnosi.

Se si pensa inoltre che il patrimonio forestale italiano e’ di circa 8 milioni di ettari (da cui attualmente provengono i 24 milioni di tonnellate di legno utilizzato per la produzione di energia), ci si rende facilmente conto che sia nelle zone di montagna, sia in pianura la produzione della filiera legno-energia non puo’ che continuare a crescere, tanto piu’ che il legno e’ un combustibile a cosiddetta CO2 neutrale, vale a dire che dalla sua combustione viene liberata nell’ambiente solo la quantita’ di anidride carbonica che le piante hanno assorbito durante la loro crescita.

AGROENERGIA: INACCETTABILI I ‘NO’ PER PARTITO PRESO
di Antonio da Porto*
‘Le iniziative in campo agroenergetico promosse dalle aziende agricole incontrano spesso un vero e proprio ostracismo da parte di alcune amministrazioni comunali e di certi settori della Provincia di Padova, nonostante gli auspici favorevoli espressi dalla Regione Veneto e dalle istituzioni internazionali. Il motivo ‘ufficiale’ di tale atteggiamento e’ che si temono nuovi inquinamenti dell’atmosfera dannosi per la salute dei cittadini. A nostro avviso si tratta invece di posizioni ideologiche, a volte anche populiste, assunte ”’ per puro interesse elettorale  da politici e amministratori locali che trovano piu’ facile e conveniente seguire la scia dei ‘comitati del no’ che approfondire seriamente il valore per l’ambiente e per l’economia degli investimenti proposti dagli agricoltori.
Ridurre le emissioni di anidride carbonica mediante la produzione di energia da fonti rinnovabili e’ un obiettivo per il quale anche il nostro Paese si e’ impegnato, sottoscrivendo il protocollo di Kyoto. Ma nonostante gli impianti di combustione-pirolisi e biogas proposti dalle aziende
agricole siano di dimensioni limitate (di potenza elettrica inferiore a un megawatt) e per legge debbano utilizzare esclusivamente prodotti e sottoprodotti ben definiti (derivati dall’attivita’ aziendale come il mais, il cippato di legno, le deiezioni zootecniche), c’e’ chi li paragona in tutto
e per tutto agli inceneritori di rifiuti o alle centrali elettriche.
A differenza di altre realta’, gli impianti agroenergetici sono caratterizzati da cicli definiti, da tecnologie affidabili e sono facilmente controllabili. Inoltre, le tecnologie adottate nel processo di combustione dei prodotti agricoli garantiscono l’abbattimento delle emissioni inquinanti a
livelli nettamente inferiori alle soglie stabilite dalla legge. Non si capisce quindi cosa ispiri l’atteggiamento negativo di alcune amministrazioni locali, se non la demagogia e l’interesse elettorale.
Perche’ tali amministrazioni locali non esprimono la medesima preoccupazione per altri impianti di combustione esistenti nel territorio? Sono certe di conoscere cosa esce dalle varie combustioni industriali? Dalla miriade di mezzi di trasporto che percorrono le loro strade?
Dall’impiego sempre piu’ diffuso nelle abitazioni dei loro cittadini di stufe e caminetti? C’e’ chi arriva a porsi il problema del possibile traffico di trattori che puo’ generare un impianto di biogas. Ma hanno mai valutato, questi signori, l’inquinamento prodotto dal traffico di un centro commerciale, di una zona industriale, di una discarica di rifiuti? Perche’ molte attivita’ inquinanti sono tollerate da tutti in nome del benessere economico e invece alcune altre, seppure comprese fra le iniziative considerate utili alla salvaguardia del pianeta, sono osteggiate sul nascere?
La verita’ e’ che non si attribuisce all’agricoltura la dignita’ di vero settore economico, in grado di generare beni e servizi di qualita’ essenziali per la popolazione. Si continua a considerarla riserva di terreni da destinare ad altre attivita’. u il caso di ricordare che gli agricoltori stanno pagando a caro prezzo l’urbanizzazione delle campagne provocata dal disordinato modello di sviluppo del nostro territorio. Ora, con questa opposizione agli investimenti in campo agroenergetico, si mette a carico dell’agricoltura anche il costo dell’inquinamento dell’aria causato da altri!
Impedire gli investimenti agroenergetici basandosi soltanto su pregiudiziali e conoscenze infondate significa colpire l’unico settore che al miglioramento della qualita’ dell’aria e del territorio ha sempre dato un contributo positivo, sia con le normali coltivazioni che con la realizzazione di boschi e siepi (nella provincia di Padova oltre 4000 ettari negli ultimi dieci anni); ma vuol dire anche frenare lo sviluppo delle energie rinnovabili, su cui il nostro Paese ha assunto precisi impegni a livello internazionale, e impedire importanti investimenti che coinvolgono altri settori produttivi, contrastando cosi la ripresa economica e la salvaguardia dell’occupazione’.
* Antonio da Porto e’ presidente di Confagricoltura Padova

(Tratto da: http://www.stampalibera.com)

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