Entrambe queste novita’ dipendono dalla gravissima crisi finanziaria mondiale che abbiamo affrontato. Per capire, relativamente al primo punto, come essa abbia trasformato il panorama bancario e finanziario basti ricordare che prima del cataclisma tutto veniva visto attraverso la lente del debito pubblico (trascurando il problema dei debiti delle famiglie e delle imprese) e della capacita’ del sistema bancario di creare valore per gli azionisti. Sulla base di questi criteri di giudizio eravamo gli ultimi della classe con un debito oltre il 100 percento del PIL (solo Grecia e Giappone peggio di noi) e con l’anomalia della presenza rilevante delle banche popolari, cooperative ed etiche che con la regola ‘una persona un voto’ violavano il dogma capitalista che le persone contano in proporzione ai soldi che hannoe non per se stesse. Se prima della crisi la principale preoccupazione a livello europeo sembrava quella di sanare quest’anomalia, la crisi ha messo a nudo gli elementi perversi e ben piu’ pericolosi del cortocircuito di avidita’ del modello anglosassone capovolgendo classifiche e giudizi di valore.Nel Regno Unito e negli StatiUniti la cattura dei regolatori, gli incentivi mal costruiti, l’eccesso di prestiti senza attenzione alle capacita’ di restituzione dei clienti e l’allontanamento del prestatario dal rischio di fallimento del debitore hanno portato al tracollo centinaia di banche e fatto schizzare i debiti pubblici (gonfiati dagli interventi di salvataggio dei governi) ben oltre il livello italiano, con tendenza ad ulteriore peggioramento per via di deficita’ molto superiori ai nostri (come avevamo gia’ previsto in un articolo di quasi un anno fa su Bene Comune). Al contrario il nostro sistema ha retto, nessuna banca e’ fallita grazie alla qualita’ dei regolatori, agli anticorpi solidali e all’approccio non unicamente orientato alla creazione di valore per gli azionisti delle banche.
Se questa e’ la buona notizia dobbiamo purtroppo constatare che la crisi, con le sue conseguenze reali sull’export , sul sistema delle piccole e medie imprese e sul mercato del lavoro, ha acuito alcuni difetti tipici della nostra economia. Da sempre il nostro sistema ha premiato gli insiders (chi gia’ lavora) rispetto agli outsider (chi e’ disoccupato o e’ un giovane in cerca di prima occupazione), ha fatto affidamento per quanto riguarda il welfare sui trasferimenti interni alla famiglia e ha spostato una quota eccessiva delle risorse disponibili sulle pensioni, aumentando il divario tra nuove e vecchie generazioni.Con la crisi finanziaria e le difficolta’ dell’economia reale, le condizioni degli outsiders o dei quasi-outsiders (i lavoratori precari) si sono aggravate. Chi ha avuto la peggio sono coloro che, trovandosi in condizioni di difficolta’, non hanno potuto godere ne’ degli ammortizzatori tipici delle grandi imprese, ne’ della solidarieta’ interna alla famiglia con la sua capacita’ di assicurare i singoli membri dagli shock subiti. Non e’ un caso che una quota elevata di nuovi poveri e’ rappresentata da coniugi separati che hanno perso il lavoro o hanno un’occupazione temporanea o precaria che non consente di far fronte a tutte le necessita’ economiche per una vita dignitosa.
Quali sono le vie d’uscita e come utilizzare i nostri punti di forza per combattere le debolezze? La prima ricetta e’ quella di incentivare e promuovere la capacita’ delle banche di erogare credito alle piccole e medie imprese e la costruzione di regole discriminanti che favoriscano la creazione di una serie di istituzioni finanziarie solidali (la cui offerta potenziale e’ gia’ presente ed articolata sul territorio) in grado di soddisfare le esigenze di chi e’ a rischio poverta’ evitando la caduta nei circuiti dell’usura o delle ‘finanziarie facili’. Nel campo del lavoro e’ necessario creare un sistema di ammortizzatori equo che non privilegi soltanto chi perde il lavoro nellegrandi imprese. Ci vogliono poi misure in grado di correggere lo squilibrio tra nuove e vecchie generazioni creando opportunita’ affinche’ i giovani possano costruire gradualmente percorsi di stabilita’ professionale fondamentali anche per le scelte di vita affettive.
Il discorso complessivo sul welfare e sul rapporto con la famiglia e la societa’ civile e’ piu’ complesso. La riflessione piu’ recente dimostra che il modo migliore di utilizzare risorse finanziarie e’ quello di favorire la costruzione di relazioni e di reti di solidarieta’ all’interno delle quali circolino doni, gratuita’, fiducia e responsabilita’. Usare risorse senza tener conto di questo, o addirittura peggiorando il quadro delle relazioni e reti di solidarieta’, e’ sia inefficiente dal punto di vista economico che dannoso per la soddisfazione di vita personale e il bene comune. La famiglia, le comunita’, la vitalita’ delle associazioni della societa’ civile non sono ferri vecchi ma esattamente quello che ci vuole per rendere vivo il principio di sussidiarieta’ e costruire una societa’ solidale nella quale la vivacita’ e la partecipazione di tutti riducono il fabbisogno di risorse monetarie pubbliche necessarie per erogare un certo servizio sociale.
E’ dall’approfondimento di questa intuizione fondamentale che dipendera’ il successo nel perseguimento nel bene comune in societa’ nelle quali le risorse pubbliche saranno sempre piu’ scarse e preziose, perche’ necessariamente orientate a servire il debito e a curare gli errori finanziari del passato.
(Tratto da: http://www.benecomune.net)
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