Non dimentichiamo come essere liberi

Tratto da libro: Lettere dalla Kirghisia di Silvano Agosti

Caro Abuniag Trinzek (cittadino della Kirghisia),
hai sollevato un bel vespaio con la tua lettera nella quale mi descrivevi le novita’ sociali del tuo Paese.

Tra l’altro, giustamente, ha colpito i lettori il fatto che da voi, in Kirghisia, si lavora finalmente, con lo stesso stipendio, solo un giorno la settimana e gli altri sei giorni ognuno puo’ dedicarli alla vita, alla scoperta del mondo, all’incontro vero con i propri simili. Devi sapere che qui da noi nessuno si e’ accorto che le nuove tecnologie hanno centuplicato la produzione della ricchezza che si puo’ effettuare in una giornata lavorativa e lasciato misteriosamente intatti gli orari di lavoro, ne tanto meno si sono accorti che da oltre mezzo secolo i loro figli vengono obbligati a starsene seduti, tra scuola e compiti, circa otto ore al giorno, e che, alla fine dei loro corsi di studi, a qualsiasi domanda culturale spesso rispondono “boh!” O che la sanita’ sembra produrre piu’ morti che guarigioni o che le carceri sono ricolme di poveri disgraziati e che le loro televisioni parlano solo di futilita’, pestaggi, ammazzamenti (come i film che affollano le sale cosiddette “cinematografiche”).

Qui ormai e’ impossibile immaginare un modo diverso di organizzare la vita, perche’ tutti i grandi intellettuali ufficiali non propongono riflessioni nuove sull’organizzazione del lavoro, della cultura, della vita in generale, perche’ ognuno ci tiene a far bella figura con l’apparto, che li paga bene affinche’ rimangano allineati con le tematiche in vigore.

In questi giorni tutti sono diventati espertissimi sull’Islam e sui Paesi d’Oriente, ma nessuno accenna al tuo, la Kirghisia, dove finalmente e’ l’essere umano a trionfare e la struttura sociale non ha piu’ la forma di una piramide, come qui da noi, con ai vertici i poteri e un po’ piu’ sotto i privilegiati, e poi piu’ sotto i lavoratori, i disoccupati, gli emarginati, i senzatetto alla base. Credo di aver capito che da voi finalmente la struttura sociale e’ a forma di sfera con al centro la vita e tutti gli esseri umani sono equidistanti dal centro, perche’ avete scoperto che “vivere” e “lasciar vivere” e’ la vera beatitudine, mentre qui da noi ci si accontenta di “produrre e consumare sempre di piu'” (a costo di ridursi in miseria, ammazzarsi di lavoro, e distruggere la Terra per trasformarla in una uniforme discarica). Alcuni hanno addirittura confuso la Kirghisia con il Kirghistan, forse non potendo neppure concepire che esista un Paese nel mondo che si ponga come unico e prioritario obbiettivo il rispetto per la vita, il benessere e la liberta. Altri hanno affermato “l’irrilevanza” di tue rilevazioni come: “Ognuno qui da noi, essendo obbligato a lavorare solo un giorno la settimana, puo’ vivere accanto ai suoi figli, agli amici, agli amori e rendere le proprie giornate piu’ simili a una festa che non, com’era prima da noi e come credo sia anche da voi, a una vera e propria condanna”.

O anche che: “Gli stadi qui da noi sono ormai semivuoti perche’ gli spettatori, invece di andarsene a vedere gli altri a giocare, si sono messi a giocare loro stessi”. O perfino che: “Ogni anziano e’ nominato ad honorem ‘insegnante di vita’ e viene invitato nelle scuole a raccontare la propria esperienza e la propria visione del mondo, e ha diritto dai settant’anni in su a mangiare gratuitamente in tutte le mense statali e a circolare sempre gratuitamente su autobus, metropolitane, treni e aeri, nonche’ a frequentare cinema e teatri senza alcuna spesa”. Insomma un lettore ha scritto sdegnato che tutte queste non sono che delle misere banalita’, luoghi comuni e che significano soltanto che tu non hai nulla da dire, tra l’altro attribuendo a me il tuo scritto. Avevi ragione quando nel finale della tua lettera affermavi: “Certo per ora non conviene divulgare troppo queste notizie, potrebbero gettare la maggioranza di voi in uno stato di disperazione”. L’incredulita’ sull’esistenza stessa di uno Stato sociale che metta in primo piano il benessere dei propri cittadini e’, come temevi tu, un sintomo di nascosta disperazione. Del resto i nostri padri ci hanno tramandato che “schiavo non e’ tanto colui che vive oppresso dalle catene, ma piuttosto chi non riesce neppure ad immaginare la liberta’”

(Tratto da: http://www.stampalibera.com)

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