
Un vero sussulto, un’indignazione tangibile, ma è pur sempre una canzone di Battiato, e infatti si intitola Inneres auge (“l’occhio interiore” in tedesco) ed è una canzone ben strana, piena di disagio e di evocazioni profonde, divisa in due parti. Dopo la sparata iniziale, che continua con altri vituperi (“… di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente”), scarta verso temi altissimi, verso quell’occhio interiore che ci fa intravedere ben altra bellezza.
Insomma siamo lontani dal tono caricaturale di Edoardo Bennato che faceva il verso al presidente Leone quando cantava Uno buono, dall’anarchismo dissacrante di Rino Gaetano in Nun te reggae più e perfino dal più garbato De Gregori che nel 1992 dedicò a Bettino Craxi una corrosiva La ballata dell’uomo ragno (“si atteggia a Mitterand ma è peggio di Nerone”) salvo poi pentirsi anni dopo e riabilitarne la figura.
Qui mancano nomi e cognomi ma il quadretto evocato da Battiato è desolante. Sembra la voce di un artista esiliato che si consola con Corelli (“mi basta una sonata di Corelli perché mi meravigli del Creato!”) ma poi si affaccia alla finestra e vede un paese preso a sberle dalla politica.
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