Partito Nazionale Fiscale

La lettera di Berlusconi al Foglio – o del direttore del Foglio a se stesso con lo pseudonimo Silvio Berlusconi – segna la linea rossa tra il regime personale dell”ordinaria prevaricazione e il regime politico vero e proprio.
Berlusconi non è il prodotto di un blocco sociale omogeneo, le partite Iva; ma di un più vasto blocco d”ordine, che unisce in un sol fascio gli imboscati dei paradisi fiscali e i sottoproletari delle periferie. Il blocco d”ordine del fascismo fu esattamente questo: i latifondisti pagavano e i ceti medio/bassi e proletari fornivano manovalanza.


I paragoni sono antipatici e impropri. Ma accadde così anche al tempo di Mussolini. Dopo quasi tre anni di regime personale, cedette all”alzamiento dei consoli della Milizia, che gli imposero di uscire dai dubbi e dalle perplessità del dopo Matteotti. Allo stesso modo Berlusconi, che nei giorni delle due Simone pareva optare per le soluzioni morbide alla Letta o alla Frattini, riprecipita nella vocazione estremista della scesa in campo, di fronte all”insorgere del partito fiscale e dei suoi organi di stampa: Il Giornale, il Foglio, Libero, Il Tempo, che a titoli di scatola gli in- giungono Sveglia. Il suo problema è parlare, prima che altri provino a farlo, a quel potenziale Pnf (Partito nazionale fiscale) di elettori che alle europee hanno abbandonato Forza Italia, rifugiandosi nel non voto. Quando Kennedy promise a ogni americano la nuova frontiera, disse; «Non chiederti cosa l”America può fare per te, ma cosa puoi fare tu per l”America». Berlusconi non parla del paese Italia, ma di Stato, per ribaltare la filosofia kennediana e poter dire che saremo liberi solo riducendo la nostra dipendenza dallo Stato: «Che è fatto per servire il cittadino e non per esserne servito». Tesi ovvia in assoluto, ma opinabile quando si distingue: agli scandinavi non viene il desiderio di ridurre la propria “dipendenza dallo Stato sociale, Quaranta milioni di americani diseredati vorrebbero poter godere di un po” di dipendenza dallo Stato. L” indipendenza berlusconiana dallo Stato non è la libertà dei cittadini, ma dei privilegiati. Lo era anche nell”Urss di Stalin frequentata da Ferrara. Se per pagarla si mette a rischio il paese, poco importa: di fronte allo spettro della sconfitta elettorale e della perdita del comando, Berlusconi è disposto a morire come Sansone con tutti i filistei. E col paese. Ma la prospettiva di recuperare i quattro milioni di voti che l”hanno abbandonato resta egualmente fallace: non tutto l”elettorato in fuga da Forza Italia appartiene al Pnf. Molti sono i poveri, i giovani, i lavoratori delle attività produttive e dei pubblici impieghi, che rischiano addirittura di vedersi elevata l”aliquota contributiva. Perché Berlusconi non è il prodotto di un blocco sociale omogeneo, le partite Iva; ma di un più vasto blocco d”ordine, che unisce in un sol fascio gli imboscati dei paradisi fiscali e i sottoproletari delle periferie. Il blocco d”ordine del fascismo fu esattamente questo: i latifondisti pagavano e i ceti medio.bassi e proletari fornivano manovalanza. Questa complessità sociale non sfugge agli strateghi di Berlusconi (“purché non diventi una filosofia della miseria”), ma essi giocano l”ultima carta convinti che il privilegio dei ricchi possa ricomporre il nocciolo duro che calamita il tritume. Con la benedizione di qualche monsignore: perché se nel blocco d”ordine s”imbarcano anche i valori e gli offìcianti teocon, atei o credenti che siano, la piattaforma del rilancio berlusconiano si amplia. Tutto già visto, tutto risaputo. Ciò che non s”è visto ancora e non è ben risaputo è la risposta che l”alleanza ulivista vorrà dare al disegno reazionario.

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