Non piace all'Azione cattolica il progetto di riforma della Costituzione messo a punto dal governo Berlusconi e già approvato in prima lettura sia al Senato (il 25 marzo 2004) che alla Camera (lo scorso 15 ottobre): è un “sistema barocco” che costruisce un “quadro contraddittorio” e rafforza eccessivamente la posizione del premier [Adista 5/2005].
Lo scrive Marco Olivetti nel n. 20 (del 31 dicembre 2004) di “Segno nel mondo”, il quindicinale dell'Azione cattolica italiana, in un articolo pacato nei toni ma risoluto nella critica ad un disegno di legge le cui soluzioni “non rispondono alle esigenze del buon costituzionalismo” e che pare essere stato scritto più per “esigenze di equlibri interni all'attuale maggioranza” che per risolvere i “problemi reali del Paese” (sulla riforma della Costituzione, v. anche Adista nn. 68 e 69/04).
In uno Stato decentrato come quello italiano, “la riforma del bicameralismo è senza dubbio una necessità oggettiva”, scrive Olivetti, concordando peraltro sulla necessità di “dare una voce alle Regioni” anche in sede legislativa nazionale, con la creazione della cosiddetta “Camera delle Regioni” da affiancare al Senato. Il disegno di legge però, pur prevedendo questo tipo di bicameralismo, “costruisce un sistema barocco, che in talune materie stabilisce addirittura la prevalenza del Senato sulla Camera (cosa unica al mondo), ma che può essere messo da parte se il governo – previa autorizzazione del presidente della Repubblica – dichiara che il disegno di legge è essenziale per la realizzazione del suo programma: in tal caso sarà la Camera a decidere definitivamente. Un sistema, dunque, che oscilla tra un'eccessiva debolezza ed un'eccessiva forza della maggioranza della Camera legata al premier”.
La Riforma costituzionale targata Casa delle Libertà , poi, si muove verso la prospettiva di un “governo del primo ministro”, con l'obiettivo di consentire ai governi di durare per tutta la legislatura. Ma anche in questo caso, argomenta Olivetti, il risultato è “un sistema barocco che 'ingessa' la maggioranza parlamentare iniziale e rende di fatto blindata la posizione del presidente del Consiglio per tutta la legislatura, indipendentemente dall'effettivo sostegno della sua maggioranza”. Inoltre si avrebbe “un draconiano rafforzamento” del capo del governo “mediante una serie di strumenti (potere di scioglimento, questione di fiducia, voto bloccato, corsia preferenziale per i disegni di legge governativi, oltre alla blindatura delle maggioranze e al sistema maggioritario già in vigore) che sono di solito previsti singolarmente nelle altre Costituzioni europee”. Sarebbe un “premierato assoluto” (secondo la definizione del costituzionalista Leopoldo Elia) che trascurerebbe “le esigenze di equilibrio proprie delle democrazie costituzionali”.
Altrettanto controversa è la parte relativa ai rapporti centro-periferia: la riforma “include quasi letteralmente la devolution bossiana” (cioè la competenza delle Regioni in materia di sanità , scuola e polizia locale, ndr), “ma la accompagna a misure di accentramento nei medesimi settori” e ad “una procedura che consentirebbe al Parlamento di annullare una legge regionale per contrasto con l'interesse nazionale”. Il risultato, spiega Olivetti, è un “quadro contradditorio, animato da logiche fra loro opposte, che anch'esso sembra fatto apposta per non funzionare o per funzionare male”.
Ancora meno chiaro, poi, è il complesso delle cosiddette istituzioni di garanzia: “oltre ad un indebolimento del presidente della Repubblica (a vantaggio del presidente del Consiglio) e alla mancata previsione di garanzie per le minoranze e contro la concentrazione del potere mediatico, si ritoccherebbe la composizione della Corte costituzionale, accrescendo il numero dei giudici di derivazione politica”.
Il giudizio complessivo, quindi, conclude Olivetti, “non può essere positivo”. Il governo farebbe bene, “visto che si è ancora in tempo”, ad “abbandonare un progetto di riforma costituzionale che ha visto la luce essenzialmente per esigenze di equilibri interni alla attuale maggioranza, ma che pare ogni giorno più lontano dai problemi reali del Paese”.
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