I lavori del Premier e i segreti di Villa Certosa

«Segretissimo». Come i documenti segreti del Politburo, i codici segreti dei missili atomici americani o il segreto di Fatima. Il decreto di Beppe Pisanu che blocca ogni inchiesta dei giudici sul porticciolo, le piscine e i lavori fatti alla Certosa, la villa sarda di Berlusconi, non può esser visto neppure dal Comitato per i servizi di sicurezza. Il quale, denuncia la sinistra, è stato in questi anni informato di tutto: tutto, meno i segreti di Porto Rotondo.
Segreti che a questo punto rischiano di paralizzare l'organismo parlamentare, quattro contro quattro, per la prima volta nella storia. Prossimo appuntamento, la settimana a venire. Ma il braccio di ferro rischia di farsi ancora più duro.


Eppure, a vedere la legge del 7 novembre 1977 sui servizi segreti, tutto pare chiaro. Articolo 16: nel caso decida d'opporre il segreto di Stato, «il Presidente del Consiglio dei Ministri è tenuto a dare comunicazione, indicandone con sintetica motivazione le ragioni essenziali, al Comitato parlamentare». Il quale, se ritiene «a maggioranza assoluta dei suoi componenti infondata la opposizione del segreto, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni politiche». E così, infatti, era sempre andata. Prima. Al punto che più volte erano stati gli stessi capi di governo, ad esempio Francesco Cossiga, a riferire personalmente al Comitato le ragioni che li avevano spinti a prendere la decisione sotto esame.
Una decisione rara. Molto rara. Presa, in tanti anni, soltanto una decina di volte e in casi spinosissimi quali l'affare Eni-Petromin, le intercettazioni telefoniche che riguardavano i terroristi baschi dell'Eta o i contatti nei giorni del sequestro Moro tra il colonnello Stefano Giovannone, l'Olp e le Brigate Rosse. Tutte vicende molto complesse su cui il governo, dato anche il coinvolgimento quasi sempre di altri stati o leader stranieri, era riuscito comunque a trovare sempre una intesa col Comitato che tenesse innanzitutto conto degli interessi del Paese.
Così rara è, storicamente, la scelta di opporre un segreto di Stato, che neppure una volta il governo, in questi quattro anni, s'era posto il problema. Nonostante siano stati anni difficili: l'attacco dell'11 settembre con tracce lasciate da Al Qaeda anche qua e là per la penisola, la guerra in Afghanistan, l'intervento in Iraq, il rapimento prima di Maurizio Quattrocchi e dei suoi compagni, poi di Enzo Baldoni e delle due Simone, la strage di Beslan, le inchieste rognosissime sui legami tra gli integralisti islamici presenti in Italia e il terrorismo internazionale… Eppure mai, neppure una volta, Berlusconi aveva messo il timbro «top secret». Lo ha fatto sulla sua villa in Sardegna. Nel momento in cui la magistratura, dopo una serie di denunce delle opposizioni, aveva cominciato a mettere il naso sui lavori compiuti in questi anni, a partire dallo sbancamento di un tratto roccioso per costruire un pontile nascosto, ribattezzato dai cronisti «pontile alla 007».
Ma non basta. Il segreto di stato, deciso nella scia del decreto Pisanu del 6 maggio 2004, un decreto che fissava alcuni criteri di massima sulla sicurezza e che era stato varato lo stesso giorno (coincidenza!) in cui La Nuova Sardegna pubblicava le fotografie dei lavori per il pontile e l'anfiteatro, non era neppure «firmato» dal presidente del Consiglio, come dice la legge. Ma, anche qui per la prima volta, dal sottosegretario Gianni Letta. Una questione di «eleganza», hanno detto ieri i quattro membri di destra del Comitato, cioè Fabrizio Cicchitto, Pasquale Giuliano, Pierfrancesco Gamba e Domenico Sudano che in quattro anni aveva fatto sentire la sua voce assai di rado (16 volte su 95 riunioni) ma ieri mattina è stato diligentemente puntuale.
Parole d'oro: che il presidente Berlusconi mettesse la firma del titolare del segreto di stato Berlusconi per secretare i lavori voluti dal miliardario Berlusconi in una delle sue ville, elegantissimo non era.
Accusano tuttavia i quattro componenti dell'opposizione, in testa Enzo Bianco che del Comitato è il presidente, che le cose poco «eleganti» sono diverse. Dicono che non è elegante che il decreto sia nascosto all'organo parlamentare delegato per legge a vigilare sugli eventuali abusi del governo e non al deputato forzista Niccolà Ghedini e al capogruppo di An Gianfranco Anedda, che qualche mese fa si presentarono al Pm sardo addetto all'inchiesta, gli comunicarono di essere stati scelti come difensori dal premier e gli mostrarono il decreto che bloccava le indagini dicendo: «Guardare e non toccare: può vederlo ma non farne neanche una fotocopia». Non è elegante che siano stati secretati non solo i lavori al pontile dove «ogni tanto arrivano Putin o Blair» ma tutta l'area della residenza, compresi i lavori smaccatamente abusivi come le cinque piscine della talassoterapia autorizzate dal comune di Olbia il 17 dicembre 2003 ma descritte da Renato Farina su «Libero» nell'agosto precedente. Così come non fu elegante che i lavori per la costruzione del «piccolo anfiteatro» da 400 posti (come il teatro Olimpico di Vicenza) avessero avuto il parere favorevole dell'Ufficio Tutela del paesaggio della Regione, allora in mano al forzista Mauro Pili, 56 giorni prima (non dopo: prima!) che fosse presentata la domanda.
Insomma, che l'opposizione abbia qualche ragione per sospettare che il decreto vada a coprire col «top secret» qualche marachella edilizia, è difficile negarlo. Diciamolo: mostrare il documento ai membri del Comitato sui servizi, ritenuti da questo stesso governo così affidabili da esser stati informati via via di cose assai delicate (quali le indagini riservatissime sulla preparazione dell'attentato alla nostra ambasciata a Beirut o le operazioni delicatissime predisposte per liberare i nostri ostaggi in Iraq) avrebbe spazzato via un po' delle tossine che avvelenano i rapporti tra destra e sinistra.
Letta ha spiegato invece che in situazioni di rischio Villa Certosa è stata «individuata come sede alternativa del governo» per assicurare «l'incolumità » del premier e la «continuità dell'azione di governo».
Quanto bastava perché i membri della Casa delle Libertà dicessero: bene così, allora non è necessario vedere il decreto. Anzi: hanno diffidato Bianco dal tornare a chiederlo. Il bello è che la pianta della tenuta, altimetrie comprese, è pubblicata nel libro dell'architetto Gianni Gamondi.
Curioso, come modo di proteggere una «sede alternativa di governo».

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