
E’ la ghigliottina del mondo post-moderno italico.
Criminalizzare gli intellettuali, gli artisti e le menti pensanti al fine dichiarato di isolarli. Operare in modo tale da far incorporare in loro il concetto di essere dei banditi, dei reietti. Sperando che in tal modo, spingendoli all’angolo, prima o poi diano in escandescenze provando, quindi, di essere inaffidabili per via della loro caratterialità: un ignobile trucco da baraccone.
Allo stesso tempo (astuzia diabolica dei professionisti della comunicazione) facendo scattare un meccanismo di auto-censura preventiva che spinge le menti della truppa asservita a optare per un silenzio costante e continuo. Vale per scrittori, artisti, cineasti, economisti, psicologi,ecc. Vale anche per i giornalisti. La silente caccia alle streghe.
E’ la consacrazione della censura di stampo gesuitico: c’è ma non si vede.
Si attacca a colpo sicuro: il silenzio è un ottima arma di distrazione delle masse.
L’uomo è ostico, coriaceo, non facile a trattare.
I suoi nemici e detrattori sostengono che ha perso completamente la testa.
Hanno ragione.
Paolo Barnard, infatti, ha perso la testa, ma in compenso ha trovato il cuore.
E quindi ha scelto di andare al cuore dei problemi per snocciolarli.
I suoi detrattori sostengono che non è un più un professionista della comunicazione.
Hanno ragione. Non lo è più.
E’ diventato un artista della comunicazione. E’ un’altra cosa.
Come sosteneva il premio nobel per la letteratura Saul Bellow: “Gli artisti e i professionisti appartengono a due categorie diverse esistenziali che non si incontrano mai, viaggiano in parallelo perché occupano lo stesso terreno: i professionisti hanno carriere da difendere, gli artisti, invece, hanno delle vite da esibire come curriculum vitae: due universi distinti”.
Quindi, Barnard è ormai un artista della comunicazione mediatica.
E ha creato (per chi non lo sapesse) una sua opera artistica: è riuscito a portare in un teatro italiano a Rimini, quattro economisti di riconosciuta competenza per spiegare al pubblico italiano le possibili, realistiche, pragmatiche e auspicabili alternative alla linea lanciata dal triumvirato Merkozymont, riuscendo a far affluire (soltanto il passaparola) migliaia di persone che da diverse parti d’Italia sono andate lì e per tre giorni hanno ascoltato, dibattuto le argomentazioni di coloro che stanno teorizzando la necessità di applicare i concetti della Modern Money Theory, una interpretazione efficace della concezione classica di John Maynard Keynes riadattata e rimpolpata per il mondo post-moderno della globalizzazione planetaria.
In un paese in cui i luoghi si riempiono soltanto per osannare divi del calcio, pornostar, cantanti rock e dementi vari, un evento impossibile da sottovalutare.
Soprattutto impossibile da non riferire come notizia. In Italia, invece, silenzio assoluto.
Il summit da lui voluto, pianificato e organizzato a Rimini sulle alternative economiche al piano del ragionier Mario Monti & co. è stato un enorme successo soprattutto perché avvenuto in una nazione malata di narcolessia e di stupidità congenita, convinta che l’opposizione e l’intellettualità pensante siano quelle offerte da Sabina Guzzanti & co.
E’ stato quindi, il suo, un atto artistico. Come tale va rubricato.
Che l’uomo poi sia simpatico o antipatico, è irrilevante.
Appartiene a una categoria di operatori dostoevskiani, come i personaggi dei romanzi del sommo scrittore russo: furiosi, furibondi, deliranti, con un linguaggio che non consente mediazioni né bizantinismi né tantomeno danze da minuetto, perché ciò che conta è andare al cuore del problema lancia in resta cercando di scuotere la gente dal torpore, dall’accettazione della propria sopravvivenza al posto della vita alla quale stanno rinunciando perché non vogliono vedere la realtà che stanno pianificando per noi e per i nostri figli..
Sono in forte disaccordo con lui su molti aspetti, non ultimo il suo appello a Silvio Berlusconi lo scorso ottobre perchè fermasse Mario Monti. Ma è stato proprio quell’errore a rendere ancora più chiaro e convincente il personaggio, laddove la furia iconoclasta, e condivisibile nel lanciare l’allarme rosso, è andata a mescolarsi a una ingenuità candida sotterranea che rivela, per l’appunto, la rinuncia alla propria veste professionale per aderire a un principio di interpretazione artistica dell’esistenza.
Proprio in virtù della ignobile censura di cui è vittima, ritengo non sia corretto parlare di lui e della sua creatura (il summit di Rimini) lasciandone invece a lui la responsabilità, per presentare ai lettori di questo blog il suo autentico pensiero.
E chiarire, quindi, chi è Paolo Barnard e che cosa vuole da noi.
Ecco un’intervista che molto gentilmente mi ha rilasciato:
D.: Sorpreso del fatto che i media italiani non hanno neppure comunicato la notizia?
R.: Sì. Solo perché pur sapendo del controllo totale che il Vero Potere ha sui media, non mi aspettavo fino a questo punto.
D.: Com’è possibile, secondo te, che un teatro pieno di migliaia di persone provenienti da tutta Italia, alla presenza di esimi economisti di rilevanza internazionale che discutono sullo stato dell’economia europea, possa non essere neppure preso in considerazione dai media italiani?
R.: Testimonia un fatto più importante: se noti, i Grillo o Travaglio, cioè quelli che hanno sempre piagnucolato di essere vittime di censura da Regime, sono poi sempre comparsi da qualche parte, compresa la tv. Noi siamo stati oscurati fin nei giornaletti da supermercato, nonostante 5 economisti di fama mondiale e oltre 2000 persone presenti. Cosa ci dice? Che chi veramente è pericoloso per il Regime siamo noi, non loro. Perché noi stiamo facendo una cosa che il Vero Potere non può ammettere: noi aiutiamo la gente a capire e a comandare l’economia, cosa che nessuno sta facendo. Tutti denunciano, protestano, sbraitano.. noi insegniamo l’economia e di questo il Potere ha paura.
D.: Secondo te, la totale censura dei media italiani è dovuto a uno preciso e specifico ordine generale e collettivo, oppure -ancora peggio- a una diffusa forma di auto-censura ormai generalizzata?
R.: Nel caso del nostro summit c’è stato ordine dall’alto, abbiamo testimonianze. Ma nei casi comuni, sì, ormai i giornalisti hanno imparato a censurare se stessi, sanno come preservare la loro posizione ormai d’istinto.
D.: Che cos’è esattamente la Modern Money Theory?
R.: E’ il nome dato dall’economista australiano Bill Mitchell a una riformulazione moderna, cioè scientificamente costruita sulle odierne strutture finanziarie e macro economiche, di idee partorite da alcuni dei giganti dell’economia del XX secolo, a partire da Georg Friedrich Knapp, Alfred-Mitchell Innes, John Maynard Keynes, Abba Lerner, Joan Robinson, Hyman Minsky e Wynne Godley. I moderni esponenti di questa scuola di economia si raggruppano all’Università del Missouri Kansas City e al Levy Economics Institute di New York. Essa ha studiato e dimostrato in centinaia pubblicazioni accademiche che la democrazia è meglio tutelata da uno Stato a moneta sovrana che spende a deficit per i suoi cittadini. E proprio per questo la MMT è adattabile ad una applicazione immediata come politica economica nazionale per la tutela di cittadini e aziende. La tutela del 99%, a scapito dell’1% dei nuovi “rentiers”, che oggi ci succhiano vita e risorse.
D.: Pensi che possa essere applicata in Italia? E se sì……
R.: Assolutamente sì.
D.: Perchè secondo te non esiste nessuna forza politica che la sostiene, la diffonde e spiega ai propri militanti in che cosa consista?
R.: Per due motivi: perché non la capiscono e perché qualsiasi politico che la capisse davvero e che la dovesse proporre oggi finirebbe crocifisso, isolato, finito. Questo perché ancora non esiste una opinione pubblica che lo sosterrebbe.
D.: In Usa, le teorie degli economisti intervenuti al seminario sono molto più diffuse e dibattute. Tant’è vero che pochi giorni fa il Washington Post gli ha dedicato un ampio e articolato pezzo. Questo vuol dire che l’Europa e soprattutto l’Italia si è distanziata dall’America in maniera profonda e che da noi il dibattito si è chiuso in un localismo gretto e miope? Come mai da noi non se ne parla?
R.: Per questo motivo, che traggo da un mio recente scritto: Vi sono forze al lavoro in Europa che mirano, non esagero, alla distruzione delle dinamiche del Capitalismo stesso. E non sono affatto forze marxiste, per carità. Al contrario, e peggio. Va compresa, qui, la differenza fra Europa e Stati Uniti. Nel secondo caso, il Capitalismo si è sviluppato su una terra nuda, tragicamente ripulita della sua popolazione autoctona, ma nuda di ogni presenza delle forze dell’Ancien Régime europeo. Il Capitalismo americano è nato dinamico, pragmatico, e con un’istintiva connotazione verso la ‘Funzione del Consumo’, che oltre un secolo e mezzo più tardi verrà descritta dall’economista inglese John Maynard Keynes. Riassumo: negli Stati Uniti, il Capitalismo, pur nelle sue immense ingiustizie, ha però sempre tenuto in vita una dinamica dove alla maggioranza dei cittadini andava garantito reddito sufficiente a generare una spesa interna che mantenesse in vita la produzione aziendale, spesso aiutata da grandi infusioni di spesa a deficit dello Stato. Ecco il Capitalismo all’Americana, almeno prima della recente mutazione nella folle sfera finanziaria speculativa.
Questo Capitalismo sbarcò in Europa dopo la seconda guerra mondiale, con un buon successo. Intendo dire un successo di pubblico, e con la partecipazione confusa e ignorante della classe politica. In Europa, tuttavia, i gangli del Potere tradizionale – quello che ereditò gli ideali dell’Ancien Régime, del Neomercantilismo tedesco e francese, che transitò trasversalmente nel nazismo, e che fu pregno di appoggi nelle sfere vaticane – ha sempre visto il Capitalismo americano come un’aberrazione. Non certo per le sue derive eccessivamente consumistiche, ma, al contrario, solo perché persino quel minimo di contenuto democratico che esso mantiene – cioè la necessità della presenza di una popolazione tutelata abbastanza affinché consumi – era visto come un’insidia inaccettabile nelle mire fondamentali di questo Potere tradizionale europeo. Queste mire erano, e sono tuttora, la distruzione di qualsiasi potere popolare e democratico, e l’imposizione, anzi, il ritorno in Europa di un nuovo ordine sociale di tipo para-feudale, con a capo quelli che già Adam Smith e David Ricardo definivano nel ‘7-800 i “rentiers”. Ecco perché in USA è ancora possibile dibattere di economia pro-democrazia, e qui no.
D.: Qual’è il modo più giusto, pragmatico ed efficace per bypassare la censura mediatica?
R.: Internet e impegnarsi a diffondere le cose porta a porta, fra colleghi, in famiglia.
D.: “Che fare?” è la domanda più diffusa da parte dei cittadini. Che cosa consigli? Quali sono le formule più ingegnose da adottare per costruire nuove forme e formule vincenti di aggregazione?
R.: Come scrissi tempo fa “Odiate chi ogni giorno sputa sulla vostra dignità perché vi pensa dei nulla. Chi ha fatto della sua vita una missione per disprezzarvi come animali da spremere. Odiate la loro crudeltà che viola il vostro tempio, che è il vostro diritto a dire io sono qui, rispettatemi! IO NON SONO NATO PER LAVORARE, STREMARMI E MORIRE! Odiate la vostra rinuncia ad amarvi, la vostra rinuncia a sentirvi oggi talmente importanti da prentendere il bene per voi, PRETENDERLO. Odiate la paura, odiate l’incapacità, odiate chi vi ha convinti fin da bambini che avete paura e siete incapaci. Non è vero, dovete solo piantarvi in mezzo alla vita e dire NO. E mai più muovervi da lì, da quel posto. Quel posto è il centro del mondo, dove voi siete nati e dove abitate. Ciascuno di voi, senza eccezione. Non ve l’hanno mai detto, e odiateli per questo.” Una volta che l’individuo recupera la propria autostima e dunque si ama a sufficienza, allora può veramente cambiare le cose.
D.: Ti aspettavi un così vasto successo?
R.: No, è stato uno shock, e ancora non so spiegarmelo.
Articolo scritto da Sergio Di Cori Modigliani
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