Alain de Benoist: reddito di cittadinanza per tutti

«Voi volete soccorrere i poveri, io, invece,
voglio sopprimere la miseria»
(Victor Hugo, Novantatre’)

La societa’ globale non e’ mai stata tanto ricca quanto oggi. Non sarebbe quindi ragionevole che le societa’ ricche distribuissero una parte della loro ricchezza ai loro  cittadini, anche solo in una prospettiva di «investimento sociale», per assicurare una coesione sociale piu’ che mai minacciata? Dopo la creazione dello Smic (salario minimo garantito) nel 1950, quella del RMI (reddito minimo di inserimento) nel 1988, quella del RSA (reddito di solidarieta’ attiva) nel 2009, e’ forse tempo, in un momento in cui le disuguaglianze continuano a crescere, di passare dal semplice aiuto sociale a una concezione radicalmente nuova della solidarieta’ economica? A queste domande rispondono in senso affermativo i sostenitori di un reddito sociale garantito, cui si attribuiscono numerosi nomi: «reddito di cittadinanza», «reddito sociale», «reddito universale», «reddito di esistenza», «reddito garantito», «reddito d’autonomia», «sussidio universale», «credito sociale», «reddito di dignita’», «dividendo universale», «dotazione incondizionata di autonomia», ecc. Il termine di «reddito di cittadinanza» ci sembra quello migliore, perche’ ha il merito di inscrivere il progetto nel quadro di una politia, cioe’ di una comunita’ politica data. Come il diritto di voto, il diritto al reddito di cittadinanza deriverebbe dal solo fatto di essere cittadino.

Il principio e’ semplicissimo: si tratta di versare a ogni cittadino, dalla sua nascita alla sua morte, un reddito minimo che sia incondizionato, inalienabile, uguale per ciascuno, e cumulabile con qualunque altro reddito o attivita’ senza altra degressivita’ che quella del sistema fiscale in vigore. Contrariamente alle forme classiche del reddito minimo (come il RMI, poi il RSA), e’ un reddito versato a tutti, poveri e ricchi, su una base strettamente individuale e senza alcuna esigenza di contropartita (diversa dall’appartenenza alla comunita’ nazionale). Il reddito di cittadinanza manifesta cosi il riconoscimento politico di un diritto incondizionato alla sopravvivenza materiale di ogni cittadino. Rappresenta un atto di solidarieta’ che si esercita in permanenza, a priori, e non piu’ su richiesta e a posteriori. «Questo reddito e’ accordato perche’ si esiste e non per esistere», dice Yoland Bresson; e’ «una sorta di ‘buono di partecipazione’, che ratifica un’appartenenza e impegna il cittadino nella comunita’»[1]. Jean-Marc Ferry lo definisce anche come un «reddito sociale primario distribuito egualitariamente in modo incondizionato ai cittadini maggiorenni della comunita’ politica di riferimento». Non si tratta dunque affatto di «monetizzare» la cittadinanza ”’ per definizione, la cittadinanza non ha prezzo ”’ ma di aggiungere un attributo supplementare a quelli di cui i cittadini hanno gia’ la prerogativa (alcuni di questi attributi avendo gia’ un contenuto economico o finanziario). Non essendo soggetto ad alcuna condizione, il reddito di cittadinanza si distingue dai sussidi sociali che esigono come contropartita la ricerca di un’occupazione. Non puo’ essere pignorato ai piu’ poveri, ma rientra nel reddito imponibile dei piu’ facoltosi. u un reddito di base che ciascuno integra o no in funzione dei suoi bisogni.

[tratto da Diorama letterario n. 302]

(Tratto da: http://www.stampalibera.com)

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