La notizia e’ nota ormai da diverse settimane: Robert Zoellick, statunitense, attuale presidente della Banca Mondiale, ha annunciato che si dimettera’ dalla carica alla fine di giugno ed a breve, quindi, dovra’ essere nominato il suo successore.
Questa puo’ essere una buona occasione per cercare di analizzare criticamente la situazione attuale e le prospettive di lungo termine dell’organizzazione, nata a suo tempo dagli accordi di Bretton Woods, oltre che per fare qualche considerazione sui possibili e potenzialmente molto numerosi candidati alla importante carica, ricordando che il totonomine e’ subito cominciato appena dopo l’annuncio di Zoellick.
situazione e prospettive della banca Dopo la disastrosa gestione del guerrafondaio Wolfowitz, costretto peraltro e per fortuna a dimettersi dalla carica dopo uno scandalo, la gestione di Zoellick e’ stata caratterizzata da un certo moderato desiderio di cambiamento.Il nuovo presidente ha portato avanti un certo cambiamento nella politica di reclutamento dei funzionari, aumentando di molto la quota di quelli provenienti dai paesi emergenti; e’ riuscito comunque ad accrescere il volume dei finanziamenti ai paesi deboli; e’ inoltre diventato un convinto sostenitore delle politiche di lotta al cambiamento climatico; ha infine seguito delle politiche di maggiore trasparenza informativa.
Nonostante questi lodevoli sforzi, la Banca Mondiale rimane un’istituzione strettamente legata a Washington, orientata a favore del grande capitale privato, mentre continua a spingere i vari paesi verso linee di sviluppo largamente controproducenti e persiste nell’ opporsi a politiche alternative di crescita, che invece diversi paesi emergenti stanno cercando di perseguire. Bisognerebbe per la banca cambiare radicalmente politica, cosa che con un presidente statunitense, chiunque esso sia, e’ molto improbabile che accada.Per altro verso, la situazione del mercato dei capitali per lo sviluppo e’ molto cambiata dall’epoca di Bretton Woods ed anche, piu’ semplicemente, soltanto da 20-30 anni fa, cio’ che contribuisce a porre l’istituzione in rilevanti difficolta’ strategiche. Oggi un paese come la Cina non ha certo bisogno dei soldi della Banca Mondiale, semmai e’ quest’ultima che desidererebbe ottenere risorse finanziarie dalla prima; i grandi paesi emergenti, peraltro, possono accedere in alternativa e da tempo ai mercati dei capitali ed alle grandi banche internazionali e sono semmai i paesi piu’ poveri ad aver bisogno dei prestiti della banca. Per altro verso, oggi esistono dei grandi fondi nazionali varati da diversi paesi come di nuovo la Cina o i paesi arabi e che fanno concorrenza a quelli della banca. Cosi, i fondi cinesi per gli aiuti allo sviluppo superano ormai di molto, come dimensione, quelli della Banca Mondiale.
Molti dei clienti della banca hanno semmai piu’ bisogno oggi di orientamenti operativi e di consulenze puntuali per sviluppare le loro attivita’ nei campi di opera la banca.
la nomina del nuovo presidente E’ noto che, secondo un ‘gentlemen’s agreement’ messo a punto nel dopoguerra, la presidenza della Banca Mondiale spetterebbe ad uno statunitense, mentre quella del Fondo Monetario Internazionale andrebbe ad un europeo (mentre comunque anche in questo secondo caso alla fine chi comanda e’ sempre l’America); e tale regola e’ stata sempre rispettata, almeno sino a questo momento. Ma, naturalmente, tali accordi rispecchiavano un equilibrio delle forze politiche ed economiche quale si presentava parecchi decenni fa, mentre oggi il quadro appare assai mutato. Basti ricordare soltanto, ad esempio, che nel 2011 i paesi emergenti hanno ormai prodotto un po’ piu’ del 50% del pil mondiale, almeno se esso viene misurato con il criterio della parita’ dei poteri di acquisto. Non esiste piu’ nessuna accettabile ragione di qualunque tipo perche’ le cose continuino a svolgersi allo stesso modo di prima.
Nonostante questo, facendo ancora riferimento agli accordi di Bretton Woods, il segretario al tesoro Usa, T. Geithner, ha, dopo l’annuncio di Zoellick, subito dichiarato che gli Stati Uniti presenteranno un candidato ufficiale nelle prossime settimane. Sono cosi venuti alla luce i nomi di B. Gates, che ha pero’ gia’ rifiutato la candidatura, quelli di H. Clinton, di L. Summers, di J. Sachs, infine dello stesso T. Geithner. Gli ultimi tre candidati citati sono degli esperti di finanza, mentre la Clinton certamente non lo e’, ma porterebbe la sua vasta esperienza internazionale e la sua certamente ricca rete di relazioni in patria e all’estero.
Per altro verso, non si puo’ non sottolineare come Summers sia stato, quando svolgeva le funzioni di consigliere economico del presidente Clinton, tra i piu’ convinti assertori della deregulation finanziaria, che ha poi portato i magnifici frutti che sappiamo; H. Clinton e’ troppo identificabile con gli interessi di politica estera degli Stati Uniti; Sachs, forse l’economista oggi piu’ noto nel mondo, si presenta come il difensore dei paesi poveri, ma negli anni 80 e 90 e’ stato il piu’ convinto sostenitore delle privatizzazioni selvagge per i paesi dell’Est Europa e le sue ricette hanno prodotto grandi devastazioni economiche e sociali.Non sono mancate delle discussioni sulle possibili candidature che rispecchino invece i nuovi equilibri mondiali, scartando la posizione statunitense.
Da una parte, in particolare un gruppo di organizzazioni non governative, nonche’ lo stesso governo di Pechino, hanno avanzato la richiesta che sia eletto all’incarico, attraverso una procedura trasparente, il candidato piu’ qualificato, senza alcun riferimento alla sua possibile nazionalita’, mentre c’e’ chi insiste sulla necessita’ di arrivare questa volta a nominare comunque un autorevole esponente dei paesi emergenti. I paesi del Bric, e in particolare India e Brasile, minacciano di creare un’organizzazione alternativa ”’i mezzi non mancherebbero loro- se il processo di selezione avvenisse secondo le tecniche spartitorie tradizionali.
Non c’e’ dubbio, quindi, a questo punto, che il candidato ideale per il posto sarebbe Luiz Inacio Lula da Silva, presidente del Brasile dal 2003 al 2010. Durante la sua presidenza, il paese ha fatto rapidi passi verso lo sviluppo e contemporaneamente verso una maggiore coinvolgimento degli strati piu’ poveri della popolazione nel processo. Egli e’ stato, piu’ in generale, uno dei leader piu’ carismatici dell’ultimo decennio. Ha sempre domandato un maggior peso dei paesi del Sud nelle decisioni mondiali, mentre e’ altamente rispettato anche nei paesi del Nord e mentre ha anche dato contributi finanziari rilevanti alle organizzazioni internazionali. Nella sostanza egli ha combattuto per la democrazia e la giustizia sociale all’interno come all’esterno.
Se per qualche ragione la candidatura di Lula non potesse andare avanti, tra i possibili candidati alternativi citerei subito l’economista indiano Amartya Sen, che gode anch’egli di un prestigio internazionale pressoche’ unanime, ma che forse e’ troppo avanti con l’eta’; altrimenti si potrebbe pensare ad un altro economista dello stesso paese, Montek Singh Ahluwalia o all’ex ministro delle finanze della Turchia, Kemal Dervis.
Comunque, i candidati validi non mancherebbero. Sulla nomina del nuovo presidente, in ogni caso, si misurera’ la volonta’ dei potenti della terra di cambiare registro. Nel caso della scelta ancora una volta di un cittadino statunitense la Banca probabilmente affondera’ nella sua irrilevanza. (Tratto da: http://www.finansol.it)
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