Il sindaco di Genova: “Uno tsunami mai visto qui”….

Alluvione a Genova: caso fortuito o prevedibile..?

Cerchiamo di spiegare al Sindaco di Genova l’effetto ” tsunami artificiale” che ha colpito la città, il video dimostra che l’approccio “classico”, ispirato all’idea di contenere le piene entro stretti argini e allontanare l’acqua il più in fretta possibile, ha dimostrato di non essere sostenibile. Al contrario, le “soluzioni” da esso suggerite hanno aggravato la situazione. Il corso d’acqua è così divenuto ancor di più fattore di rischio.

Per portar via l’acqua il più velocemente possibile, nell’illusione di risolvere il problema delle esondazioni, i corsi d’acqua sono stati pesantemente artificializzati: il loro alveo è stato spesso rettificato e reso più liscio attraverso l’eliminazione di potenziali ostacoli (ad esempio la vegetazione o la diversità morfologica del fondo e delle sponde).

 

Allo stesso tempo, per guadagnar spazio per le attività antropiche, la larghezza dei corsi d’acqua è stata via via ridotta mediante la realizzazione di arginature, che si trovano ora a far defluire gli stessi volumi d’acqua del passato (se non maggiori) attraverso sezioni più strette che si sviluppano verso l’alto (alte arginature) e verso il basso (forte incisione del fondo), e che richiedono ancor più una continua eliminazione degli elementi che rallentano i deflussi.

Un alveo più liscio e più dritto, però, pur facendo fluire l’acqua più velocemente fornisce generalmente benefici solo a livello locale.

Infatti, il rischio idraulico non viene “eliminato”, ma solamente “spostato”, aggravando notevolmente la condizione dei centri abitati posti a valle, in un processo di “scaricabarile” progressivo.

Inoltre, a causa della presenza degli argini, si sono venute a creare, in prossimità del corso d’acqua, delle zone definite “sicure”, perché percepite come a basso “rischio idraulico” in quanto “protette” dagli argini.

Questi lembi di terreno sono quindi stati utilizzati non più solo per l’agricoltura ma anche per la costruzione di fabbricati sia produttivi che abitativi, con la conseguenza che, in caso di rottura arginale o più semplicemente di una piena superiore a quella di progetto (per definizione sempre possibile) i danni risulterebbero notevolmente maggiori rispetto all’esondazione nella stessa zona in una situazione antecedente la costruzione degli argini.

In Liguria l’80% dei comuni ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei maggiori dei fiumi e il 27% ha costruito interi quartieri in queste zone.

Nel 53% dei comuni sono presenti strutture e fabbricati industriali in aree a rischio, che comportano in caso di alluvione, oltre al rischio per le vite dei dipendenti, anche il pericolo di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni.

Nel 21% dei comuni sono presenti in zone esposte a pericolo di frana o alluvione anche strutture sensibili o strutture ricettive turistiche.

Occorre capire che per risolvere il problema delle alluvioni, bisogna  innanzitutto  comprendere che, per intervenire sui fiumi per affrontare il rischio idraulico, è fondamentale considerare e rispettare il loro funzionamento naturale, identificare le vere cause del rischio, come detto sopra spesso legate proprio all’antropizzazione dei terreni di esondazione e all’artificializzazione degli alvei, e tenere infine ben presenti gli effetti negativi (a scala di bacino) innescati dai nostri interventi.

E’ inoltre necessario comprendere come il rischio non sia mai totalmente eliminabile (non esiste la sicurezza assoluta) ma può solo essere gestito e limitato, anche imparando a conviverci.

Inutile continuare a inseguire l’illusione del “mettere in sicurezza” e l’idea di “fissare il fiume”: come dimostrato ormai da numerose esperienze internazionali, è molto più utile tentare di assecondare il più possibile le naturali dinamiche del fiume, perlomeno al di fuori dai centri abitati, limitandole solo dove non sono possibili altre soluzioni.

Gli eventi piovosi che hanno causato i disastri dal sud al nord dell’Italia sono tipici per la breve durata e la grande quantità d’acqua riversata sulla superficie del suolo investendo aree di limitata estensione, variabile da qualche decina a un centinaio di chilometri quadrati.
Si tratta di celle temporalesche autorigeneranti che si attivano rapidamente nei periodi di transizione delle stagioni e colpiscono prevalentemente le aree costiere caratterizzate da barriere morfologiche che si elevano ripidamente dal livello marino fino ad oltre 1000 metri di altezza.
Si tratta dei micidiali sistemi temporaleschi a mesoscala che negli ultimi 60 anni, in Italia, hanno provocato circa 500 vittime e danni immensi al patrimonio abitativo e alle infrastrutture.
Le ricerche eseguite negli ultimi anni nelle zone devastate dalle numerose alluvioni lampo, dimostrano che dall’inizio della pioggia fino all’innesco di frane, piene e dissesti vari passano dai 15 ai 120 minuti: un lasso di tempo fondamentale per salvaguardare le vite umane.
Va detto chiaramente che eventi piovosi talmente tanto violenti causano ripercussioni sul territorio, in tutto il mondo, ovunque essi si verifichino.
In queste occasioni la natura manifesta la propria potenza e si riappropria degli spazi necessari per smaltire i flussi eccezionali secondo le leggi che governano i fenomeni naturali a cui appartengono anche gli eventi eccezionali.
È evidente quindi che il principale sistema di prevenzione sta nell’intelligenza dell’uomo, nella sapienza di chi decide i piani di urbanizzazione e dei costruttori, che dovrebbero sempre tener conto degli spazi che sono periodicamente “reclamati” dai fenomeni naturali.
Ma purtroppo le leggi fatte dall’uomo hanno sempre la presunzione che la natura debba sottostare ed esse.
E il risultato è che le aree sono state urbanizzate molto spesso fino al contatto con gli alvei fluviali e torrentizi; addirittura molto spesso quest’ultimi sono stati ricoperti e trasformati in strade.

 

In tale percorso risulta fondamentale, pertanto, acquisire la “rivoluzionaria” consapevolezza che dobbiamo “imparare a convivere con il rischio”, trovando un nuovo equilibrio tra uomo e territorio.

Per ottenere tale risultato è necessario innanzitutto restituire spazio ai fiumi e recuperarne la naturalità come mezzo primario: in una frase, riqualificare i corsi d’acqua, per affrontare il problema delle alluvioni e del rischio idraulico, lavorando con la natura piuttosto che contro di essa.

Una riqualificazione fluviale così intesa persegue lo scopo di ottenere un fiume che pur mantenendo una buona qualità dell’ecosistema, si concili con le aspettative e gli interessi umani di fruizione e uso delle risorse, senza più essere un’imprevedibile minaccia per insediamenti, infrastrutture e vite umane.

Tale strada, se pur oggi necessita di un cospicuo dispendio di energie per essere intrapresa, rappresenta senza dubbio il miglior investimento possibile per il futuro dei fiumi italiani .

Parte del testo è tratto dal  CIRF (Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale) associazione culturale tecnico-scientifica senza fini di lucro fondata nel 1999 da un gruppo di tecnici di diversa estrazione disciplinare e professionale per favorire la diffusione della cultura della riqualificazione fluviale ed avviare concreti progetti di recupero e salvaguardia dei corsi d’acqua.

Liguria e cinque terre:

Migliaia di chilometri di muretti a secco coltivati a vite e ulivo; paesi di origine medioevale e beni culturali di grande pregio; scarsa espansione edilizia e pochi tracciati viari: sono le peculiarità delle Cinque Terre, che sono riuscite a mantenere nel tempo valori naturali e ambientali incomparabili e di straordinaria bellezza“.

E’ stato proprio l’uomo, attraverso mille anni di lavoro, a creare questo paesaggio unico, fatto di terrazzamenti sui fianchi scoscesi dei monti, che a volte arrivano a picco a quasi toccare il mare. Oggi, le Cinque Terre sono un Parco Nazionale, nonché Area Marina Protetta.

Si dice che la sicurezza ambientale delle Cinque Terre sia stata garantita nei decenni passati dall’isolamento, dalla conoscenza naturalistica del territorio e dal duro lavoro basato sul genio ingegneristico contadino.

Fino a che non si fecero gli alvei-strada!

Escluso l’abitato di Corniglia, ubicato su un promontorio, le altre cittadine costiere si sono sviluppate nella parte terminale di strette valli torrentizie fin sulla spiaggia.

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Fino al secolo scorso, finchè ha prevalso il genio ingegneristico contadino, gli abitati erano separati dagli alvei dei torrenti sviluppandosi in destra e sinistra orografica.

Poi…è arrivata la “modernità”, l’epoca delle comodità, dello sviluppo economico, purtroppo non ecocompatibile!

Ingegneri non contadini hanno pensato bene di coprire gli alvei torrentizi per ricavare, al di sopra, una comoda strada di penetrazione.

Spesso l’unica strada dell’abitato.

Grazie a questi interventi pubblici realizzati da ingegneri non contadini e approvati da funzionari, sempre non contadini, sono state create le premesse per il disastro del 25 ottobre scorso.

Certamente la pioggia caduta è stata tanta, troppa per poter essere assorbita dal terreno e smaltita dagli alvei coperti.

I contadini sanno bene che quando si verificano eventi piovosi eccezionali si innescano fenomeni che, probabilmente, non erano stati valutati dai progettisti e da coloro che a suo tempo hanno approvato il ricoprimento degli alvei.

Si innescano fenomeni erosivi diffusi e conseguenti frane che coinvolgono enormi volumi di terreno e di substrato alterato sradicando anche gli alberi d’alto fusto che insieme con detriti vari e massi si trasformano in pochi minuti in colate detritiche e flussi fangoso-detritici velocissimi (da 30 a 60 km/h in relazione alla morfologia della valle e degli alvei strada) che percorrono gli alvei con portate di piena impressionanti che possono raggiungere alcune centinaia di metri cubi al secondo in bacini imbriferi di limitata estensione.

Già dallo scorso anno lanciammo l’allarme “Alvei Strada” evidenziando che essi sono stati realizzati in tutta la nostra nazione e che non si ha un loro censimento né si conosce quanti cittadini si trovino in situazioni di rischio reale.

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E’ noto che la manutenzione dei corsi d’acqua si esegue raramente e quasi sempre dopo le catastrofi.

Si ricorda che alcuni eventi alluvionali capaci di innescare delle colate detritiche di potenza non distruttiva e contenute negli alvei possono causare l’accumulo di ingenti volumi di detriti e tronchi di albero e il conseguente progressivo e/o rapido colmamento delle sezioni fluviali.

Ovunque vi sia un alveo-strada vi è una spada di Damocle sospesa sull’incolumità dei cittadini!

Gli eventi del 25 ottobre scorso e di questi giorni hanno evidenziato che i corsi d’acqua (alvei-strada e fiumi) necessitano di sezioni fluviali di gran lunga superiori a quelle che l’ingegnere non contadino gli ha forzatamente imposto per creare i presupposti di una antropizzazione e urbanizzazione rispettosa solo delle leggi fatte dall’uomo ma non di quelle della natura!

Nei prossimi giorni si affronterà il problema di cosa fare, per tutti i cittadini, nelle aree abitate attraversate da alvei-strada.

Per ora si può solo migliorare il sistema di controllo degli eventi piovosi con una previsione e conseguente sistemi di allertamento e messa in sicurezza dei cittadini.

La diramazione di bollettini è inutile se il potenziale pericolo non viene fatto assimilare dai cittadini che devono essere informati e devono sapere cosa fare perché lo hanno già sperimentato in ripetute esercitazioni, quando le competenti autorità locali lanciano gli avvisi in maniera capillare ed efficace.

Fonte :

http://www.meteoweb.eu/2011/10/alluvione-nelle-cinque-terre-tanta-pioggia-alvei-diventati-strada-disastro-inevitabile/94251/

Non sembra che ci siano dubbi sulle concause che hanno provocato le alluvioni di questi giorni in Liguria.

Sono morti dei bambini e degli adulti che non potevano immaginare di quale bomba d’acqua artificiale stava per abbattersi su di loro.

L’indifferenza di molti e la cementificazione del territorio sono la causa documentata del disastro.

 

Quindi non si venga a dire ” era imprevedibile” ….

 

DISSESTO IDROGEOLOGICO DI GENOVA SESTRI PONENTE: STATO DELL'ARTE E SOLUZIONI
Il Pdf da scaricare rappresenta un esempio di segnalazioni disattese.

Dal dopoguerra ad oggi, frane, alluvioni e terremoti sono costati la bellezza di 213 miliardidi euro in prezzi del 2009, hanno calcolato i geologi: il grosso per i terremoti, e 52 miliardi per le frane.

In media sono 800 milioni all’anno, ma la cifra ultimamente è venuta assestandosi attorno al miliardo e 200 milioni all’anno.

Dato che tutti i calcoli sono fatti in base ai prezzi del 2009, la situazione sta nettamente peggiorando.

Secondo il ministero dell’Ambiente Pianificazione territoriale e rischio idrogeologico” (l’ultimo rapporto risale al 2003) servirebbero 33 miliardi per mettere in sicurezza l’intero territorio nazionale dal punto di vista idrogeologico, scrivono i geologi.

Tuttavia all’Anbi (Associazione nazionale bonifiche, Irrigazioni e miglioramenti fondiari) risulta una cifra 10 volte inferiore: basterebbero 4,1 miliardi da spendere in piccole e piccolissime opere di manutenzione.

Sempre in base ai dati forniti dal ministero dell’Ambiente, i geologi riferiscono che nel 1991-2008 lo Stato ha finanziato interventi per la riduzione del rischio idrogeologico pari a 7,3 miliardi di euro.

Poco più di 400 milioni all’anno.

Soltanto.

Ad oggi al ministero dell’Ambiente non e’ stata assegnata alcuna risorsa. Inoltre, con il decreto legge di agosto, tutte le risorse Fas statali, incluse quelle per il dissesto, sono state cancellate.

 

Non dimentichiamoci del Rischio Sismico

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L’unica via invece per minimizzare gli effetti dei terremoti è l’edilizia antisismica, introdotta per legge solo dal 1974.

Lo Stato potrebbe mettere in moto un ottimo esempio di investimento economico virtuoso guidando la ristrutturazione antisismica dei vecchi edifici: e possibilmente anche di quelli più recenti, il caso de L’Aquila insegna.

Meglio delle centrali nucleari e del ponte di Messina.

Meglio ancora se gli interventi venissero abbinati a quelli per il risparmio energetico: soldi pubblici spesi per creare lavoro (la stessa cosa che si promette attraverso i megacantieri) e contemporaneamente per consentire alla gente di risparmiare (sia sul prossimo disastro sia sulla bolletta del riscaldamento) e per aiutare l’ambiente.

Articolo scritto da Augusto Anselmo
tratto da SARGO IT – Soc. Coop. di Consulenza

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