C’è un rapporto stretto tra produzione e degrado dell’energia attraverso il concetto di entropia. Il capitale fisso sotto la manipolazione del capitale variabile prende e trasforma delle risorse utilizzando l’energia per la trasfomazione. Da un punto di vista termodinamico il concetto di entropia è un concetto che misura l’ordine e il disordine negli aggregati di materie. Se abbiamo materie prime, carbone, acciaio, e così via, abbiamo un sistema in qualche modo disordinato. Se prendiamo queste cose e diamo loro una posizione nello spazio e nel tempo, diamo loro un ruolo, creiamo un sistema più ordinato. L’entropia misura l’ordine e il disordine: è più alta più è alto il disordine, é più bassa più è basso è il disordine; quindi nei processi naturali l’entropia tende a crescere: se noi prendiamo un pezzo di legno, che è un materiale ordinato dove le molecole sono concatenate in un certo modo, e lo bruciamo, noi produciamo delle molecole disordinate che si disperdono nel fumo; abbiamo così consumato l’ordine e aumentato il disordine, ed abbiamo aumentato l’entropia.
Il processo di produzione delle merci invece è inverso: noi passiamo da materie prime disordinate, e le riaggreghiamo in maniera ordinata: si procede quindi ad un’inversione nell’entropia, ad una sua diminuzione.
Il secondo principio della termodinamica afferma che l’inversione dell’entropia può avvenire solo a spese dell’energia: essa è il vettore fondamentale, consumando il quale si può diminuire l’entropia e riorganizzare l’ordine.
Il processo di produzione capitalistico quindi produce merci e riduce l’entropia; é cioè un processo inverso ai processi naturali, di passaggio dal disordine all’ordine.
Implicitamente è dunque energy-consuming: ha bisogno dell’energia, tanto quanto ha bisogno del capitale variabile; sono parametri della produzione capitalistica, intrinseci alla sua natura e quindi necessari in quanto tali.
Inoltre, non è vero che il processo capitalistico ha semplicemente bisogno di energia: il processo capitalistico è strettamente permeato dai flussi di energia: esiste tutta una struttura gerarchica nella produzione e nel consumo dell’energia: ad esempio, per produrre energia nelle centrali elettriche si ha bisogno di materie prime combustibili, che attualmente sono in prevalenza il petrolio o il carbone, che hanno a loro volta bisogno di essere trasformate e trasportate: quindi, al di sotto l’energia che viene consumata dal processo produttivo, c’è bisogno dell’energia per la trasformazione ed il trasporto dei combustibili alle centrali.
Ancora, al di sotto del processo di trasformazione e trasporto, c’é il bisogno di estrarre le materie prime combustibili dai giacimenti naturali, e questo implica un ulteriore consumo energia.
Il processo di produzione e consumo dell’ energia è quindi una struttura che permea come un frattale, dal passo dal più piccolo al più grande, l’intero sistema di produzione delle merci.
In ogni angolo remoto dell’intero sistema in cui si articola la produzione si ha sempre il parametro dell’energia che si confronta con gli altri parametri del ciclo di valorizzazione.
La resa energetica si definisce come il rapporto fra l’energia prodotta e l’energia investita in un certo impianto o tecnologia durante tutta la sua vita operativa.
Occorre energia per costruire l’impianto, manutenzionarlo, e fornire combustibile.
Se ci vuole più energia per queste cose di quanta l’impianto non possa produrre, (ovvero EROI minore di 1), allora non serve a niente.
Crisi dello sviluppo e dell’ energia
Questa digressione sull’energia e l’entropia è per affermare che l’aspetto energetico è talmente intrinseco in ogni singola fase del processo di accumulazione capitalistica, dall’estrazione delle risorse prime dal sistema terra, al loro trasporto ai luoghi di produzione, fino alla loro trasformazione, e alla produzione ed al consumo delle merci, che non può essere considerato in sottordine rispetto ai parametri classici.
Questo punto di vista è essenziale per capire il rapporto fra la crisi dello sviluppo e della produzione capitalistica , e la crisi energetica.
Come dire, l’energia è il sangue che fluisce all’interno del sistema di riproduzione capitalistica, anche se non si vede dall’esterno, ma è su questo sangue che si basa il processo di accumulazione.
E’ chiaro che quando l’energia diventa una risorsa rara, difficile da reperire, e non controllabile politicamente, il sistema della produzione capitalistica entra in crisi.
Crisi energetica e della produzione sono talmente mescolate nell’intimo del loro accadere che non sono separabili.
Possiamo dire che il sistema di produzione capitalistica fino a qualche anno fa, pur senza riconoscere in maniera formale l’aspetto dell’energia come sangue vitale del sistema, aveva coscienza che l’intero sistema di approvvigionamento energetico doveva essere sotto il suo controllo politico: se non fosse stato sotto controllo la produzione avrebbe potuto andare in crisi.
Siccome la produzione energetica è stata finora fondamentalmente basata sui processi di combustione e sulle riserve fossili (carbone, petrolio, gas) il problema del controllo dell’energia è stato considerato un problema di controllo dei luoghi di produzione delle risorse fossili.
Non si è trattato di una politica di tipo coloniale, per dire come quella degli inglesi in India, ma di una politica estremamente moderna, in cui il sistema dei Produttori Occidentali (le Sette Sorelle) stabilisce accordi di divisione dei profitti con i governi dei Paesi Proprietari delle risorse (Stati OPEC), mentre gli stati capitalistici occidentali assicurano il controllo politico e militare delle risorse energetiche, con una visione geopolitica complessiva molto moderna.
Questo è stato vero fino alla caduta dell’amministrazione Bush: le guerre in Kuwait, Iraq, Iran, e tutto quello che ci sta dietro, sono la dimostrazione che fino a pochi anni fa il controllo dei flussi di energia avveniva in termini politico-militari.
Ora che cosa è andato in crisi?
Un po’ tutto.
In primo luogo, le risorse si sono dimostrate limitate, e questo ha posto un problema di strategie relative agli sviluppi futuri ed ai loro costi.
In secondo luogo, le risorse si sono dimostrate provenire da luoghi politicamente instabili.
Il problema non è stato solo quello della disponibilità delle risorse, ma del rapporto tra disponibilità e costi: si possono probabilmente aumentare le risorse di petrolio, ma si deve andarle ad estrarle in Antartide con un costo di produzione che raddoppia; oppure, se si vogliono controllare le risorse di petrolio in Iraq in realtà si deve fare una guerra, ed affrontarne i costi (economici, politici, ed umani).
Il problema della scarsità o meno delle risorse diviene in questa fase (in cui le risorse non sono ancora completamente esaurite) un problema di costo delle risorse stesse: non importa tanto la consistenza dei giacimenti, ma quanto costa estrarle ed utilizzarle, in termini di costi di estrazione, di trasposto alla produzione, di controllo militare e del sistema organizzato degli eserciti necessari.
Le risorse sono diventate scarse, ma soprattutto care.
Questo processo ha messo anche in crisi i rapporti di valorizzazione dei processi di produzione: più sono aumentati i costi delle risorse, e più è diventato complesso il loro controllo militare, più è diventato difficile gestire l’intero processo di produzione capitalistica.
La crisi economica, la limitatezza delle risorse, i limiti ed i costi dell’energia prodotta attraverso cicli di combustione, hanno investito una serie di problemi sociali e politici, per cui il modello di sviluppo basato sul vecchio concetto di produzione manifatturiera con disponibilità illimitata di materie prime, risorse e energia è andato completamente in crisi.
Crisi Ambientale
Ma non solo questo.
Esiste anche una crisi ambientale, basata principalmente sull’accumulo di CO2 nell’atmosfera, e sulle modificazioni climatiche che ne conseguono: non servono ulteriori dati e parole per dimostrare la consistenza di questo problema, ed il suo rapporto con i consumi energetici del ciclo produttivo capitalistico.
Esiste comunque un problema ambientale parallelo, un po’ trascurato negli ultimi tempi, dovuto all’accumulo di gas tossici (ossidi di carbonio, zolfo, azoto, gas organici) che vanno nell’atmosfera.
Oggi si parla poco di piogge acide ma c’è stato un momento in cui era un argomento di grande rilievo.
Tutti i problemi sono legati: la combustione dei combustibili fossili, compresi i suoi derivati come la benzina ed il gasolio per le automobili, produce CO2 e di conseguenza effetto serra, più una quantità di sostanze inquinanti, nocive, tossiche, velenose che producono altri effetti paralleli che vanno presi in considerazione.
Tutti questi effetti giocano in maniera negativa sulla nostra salute, e producono una riduzione della qualità della vita.
E questa variazione della qualità della vita è ormai entrata nella sensibilità e nella mentalità dei singoli soggetti: questo oggi mette in crisi la capacità di controllo capitalistica: la gente vuole respirare bene, mangiare cibi sani, senza diossina, non essere obbligati a prestiti costosi che avvelenano la vita, ecc. ecc.
E’ nata quindi negli ultimi tempi un’opposizione nella coscienza collettiva: dato che la produzione capitalistica, nel ciclo della sua riproduzione, ha bisogno anche di consenso per assicurare la circolazione delle merci, la stessa produzione capitalistica si è avviata verso la crisi, perché il consenso è andato scemando.
Sarebbe necessario ridurre l’importanza del valore di scambio e aumentare il peso del valore d’uso.
Questo processo è già in atto nella coscienza collettiva, di fronte alla riduzione della qualità della vita.
Diventa sempre più importante il valore d’uso delle merci, piuttosto che il loro valore di scambio.
Il sistema di pensiero liberale e capitalistico ha puntato tutto sul valore di scambio, che regola e definisce il mercato su cui circolano le merci: offerta e domanda sono i soli parametri che governano lo scambio; il valore d’uso è una variabile totalmente estranea.
Per tutto quanto sopra affermato è chiaro che il modello di sviluppo capitalistico, in queste condizioni, è andato in crisi; e che il concetto del valore d’uso è la novità emergente della coscienza (anche non cosciente) della crisi dei valori: mentre una volta il valore delle persone e della vita si misurava sulla quantità di soldi nel portafoglio, oggi nella coscienza collettiva si comincia a misurare dalla qualità della vita che si può ottenere (su tutti i giornali appare la statistica delle città in cui la qualità della vita è migliore o peggiore, che non si misura solo dal reddito pro capite).
Sviluppo sostenibile ?
Per tornare all’energia, i nuovi concetti che si sono affermati gradualmente nella coscienza collettiva affermano che le risorse sono limitate, che bisogna risparmiarle, che non bisogna consumare in maniera eccessiva, che vanno trovati nuovi equilibri tra risorse e consumi.
Da questi concetti nasce la cosiddetta idea dello Sviluppo Sostenibile: lo sviluppo politico-economico può cioè andare avanti solo grazie ad un’oculata gestione delle risorse, con il consenso generale ed una adeguata politica di controllo.
L’ecologia classica constata che le risorse sono limitate e si propone solamente di trovare un modo equilibrato e non scellerato per gestirle e usarle.
Questo approccio in Cina l’hanno chiamato sviluppo armonico, in Europasviluppo sostenibile, in America green economy; in realtà si tratta una nuova forma mascherata come “sostenibile” del processo di accumulazione capitalistica: un “dimagrimento” generale di bisogni, consumi, redditi, salari e profitti, che si accoppia però con la speculazione del Capitale Finanziario capace di trasferire ingenti masse di ricchezza nelle tasche dei più ricchi, di chi non “dimagrisce” mai!
In questa fase del Movimento e della Crisi dello Sviluppo, se vogliamo essere partecipi alloSviluppo della Crisi, per rovesciarne gli effetti, bisogna avere coscienza che serve un’ Ecologia Rivoluzionaria, che si basi su alcuni di principi fondamentali sulla proprietà delle risorse, sulla loro valorizzazione, sul loro valore d’uso collettivo.
Risorse energetiche
Oggigiorno le risorse fossili disponibili per i processi di combustione sono petrolio, carbone, e gas naturale: rappresentano le risorse con cui si produce il 95 per cento dell’ energia al mondo; tutte contribuiscono al problema di produzione dell’ anidride carbonica (e di conseguenza dell’effetto serra), di gas tossici come gli ossidi di azoto e di zolfo (all’origine delle piogge acide), di particelle fini e gas volatili organici (alla base della maggior parte delle malattie polmonari); la combustione delle risorse fossili dà origine a di tutti quegli effetti, ben conosciuti, che interagiscono in modo negativo con l’ecosfera terrestre.
La risorsa sicuramente più ricca in questo momento, per quantità e qualità di produzione, é il carbone.
Petrolio e gas combustibile sono risorse più care, più limitate, e sottoposte a un controllo geopolitico più complicato.
Il petrolio in prevalenza viene da regioni turbolente, Medio Oriente, Estremo oriente, Venezuela.
Non consente quindi un facile controllo.
Quello di provenienza da zone politicamente meno turbolente, ha costi di estrazione molto elevati (piattaforme oceaniche, Antartide, ..) e rischi industriali ed ambientali non più accettabili (vedi la tragedia ambientale del golfo del Messico).
Anche il gas naturale proviene da zone politicamente insicure, dalla Russia con cui c’è un rapporto di equilibri difficili, oppure da certe zone sahariane passando per la Libia.
Queste risorse diventano costose in termini di denaro e di controllo.
Se dobbiamo fare una previsione sull’uso delle riserve fossili nei prossimi trent’anni (perché prima di trent’anni non è pensabile di convertire l’intero sistema di produzione di energia alle cosiddette energie alternative), dobbiamo riconoscere che la prevalenza sarà affidata al carbone.
Non a caso il Department of Energy degli Stati Uniti ha lanciato quindici anni fa un programma che si chiama “Coal Clean Technology”: non un programmino per laboratori universitari per studiare piccoli filtri che catturino le “porcherie “ dei fumi industriali, ma un vero progetto su scala industriale per trasformare interi impianti di produzione dell’energia con una tecnologia di combustione del carbone ad emissioni zero.
Le tecnologie sono state studiate e sperimentate, ed esistono sul mercato industriale: ovviamente aumentano i costi di produzione, e questa è una variabile di cui il Capitale terrà conto nella definizione di uno sviluppo sostenibile.
Prospettive energetiche
Qual’ è oggi la via delle tecnologie alternative alla combustione fossile?
La prima via è quella delle fonti rinnovabili: ossia vento, fiumi, maree, ed energia solare che sono a disposizione nella biosfera senza dover modificare l’ambiente.
L’energia eolica (è davanti agli occhi di tutti) ha una capacità limitata ed un fortissimo impatto ambientale: riempire la terra di quegli enormi mulini a vento non è proprio immaginabile. Chi vorrebbe avere sopra casa un mulino a vento alto 40 metri? O chi vorrebbe mettere a Portofino in mezzo al porto un mulino per sopperire il bisogno di energia dei ristoranti locali?
L’energia idraulica dei fiumi o delle maree è quantitativamente limitata rispetto ai fabbisogni, e quindi non può essere considerata come determinante in un progetto strategico.
L’energia solare, convertita mediante pannelli solari fotovoltaici, fino a oggi è stata una tecnologia totalmente soffocata.
Essa é basata sull’uso di semiconduttori a base di silicio, ed è assolutamente analoga a quella dei microprocessori prodotti dall’Intel o dalle società concorrenti: se noi pensiamo agli anni ‘70, ai primi calcolatori portatili prodotti da IBM con sistema operativo MS-DOS, oggi vediamo che la potenza di calcolo in qualunque computer portatile è aumentata in un rapporto da 1 a un milione.
Questo perché sono stati fatti enormi investimenti nello sviluppo della tecnologia dei semiconduttori al silicio per microprocessori (che ha fatto cinque, sei salti generazionali nel giro di pochi anni); la ragione è sostanzialmente di interessi economici per una tecnologia perfettamente controllabile, per cui gli interessi della ricerca scientifica e quelli del profitto capitalistico convergevano.
La tecnologia del silicio per i pannelli solari fotovoltaici è stata invece soffocata perché andava in conflitto con l’industria petrolifera (le sette sorelle) e con l’industria energetica che ha dominato la politica economica negli ultimi trent’anni.
Gli investimenti per lo sviluppo di questa tecnologia sono stati minimi, specie se comparati a quelli relativi all’ industria dei microprocessori.
E’ chiaro oggi che massicci investimenti in questo settore consentiranno in dieci, quindici, vent’anni di fare altrettanti salti generazionali, di aumentare l’efficienza riducendo i costi, e di andare quindi avanti con questo tipo di produzione energetica.
Tuttavia una produzione energetica quantitativamente rilevante da energia solare non è attualmente un progetto praticabile.
Non si può pensare di chiudere le centrali a carbone e di sostituirle con centrali solari; l’energia solare è una tecnologia che attualmente non è matura e che ha un’enorme necessità di processi di sviluppo.
La crisi ecologica non può più essere considerata lo “sfondo” o addirittura una “contraddizione seconda” rispetto al conflitto capitale/lavoro, ma richiede strumenti concettuali e analitici nuovi che permettano di coglierne appieno portata ed effetti.
Il pensiero di Georgescu-Roegen può essere assunto un punto di partenza utile all’attraversamento critico delle culture politiche che si sono confrontate con le tematiche ambientali e, in particolare, al superamento delle dicotomie che le hanno caratterizzate: la distinzione secca tra “natura” e “artificio” e le coppie “scarsità/ricchezza” e”crescita/conservazione”.
Lo stesso schema ciclico lotte-crisi-ristrutturazione-sviluppo, attraverso il quale il marxismo critico ha letto la dialettica sociale tra lavoro vivo e capitale, appare oggi in questione.
La differenza, invece, tra risorse materiali esauribili e beni immateriali potenzialmente infiniti, prodotti dalla cooperazione e condivisione sociale, offre la possibilità di pensare e praticare un “comune ecologico”, che si presenti come reale alternativa, nella de-crescita dalla dipendenza dai rapporti proprietari capitalistici e nella crescita dell’indipendenza da essi.
C’è una convergenza di tempi e di pratiche nella crisi, che richiede una nuova dimensione dell’ecologia politica, in grado simultaneamente, di “evitare le catastrofi, salvare l’agibilità democratica e sviluppare pratiche alternative.
E a tali pratiche devono essere integrati anche i comportamenti individuali.
Si tratta di accumulare potenza per spazi di sperimentazione alternativa, utilizzando anche strumenti nuovi, distinguendo il concetto di “crescita” da quello di “sviluppo” e misurandosi con dispositivi scientifici critici quali quello di “analisi emergetica” e “impronta ecologica”.
Il testo pubblicato è una recensione dell’articolo :
http://www.globalproject.info/it/in_movimento/Crisi-della-finanza-e-crisi-ambientale/2850
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