Gheddafi, ultimo atto

(Fonte: altrenotizie.org)

di Fabrizio Casari

E’ finita a Sirte, in una buca di una condotta, l’avventura di Moammar El Ghadafi, beduino e leader della Libia dal 1969. E’ finita in un’anonima ambulanza, avevano detto in un primo momento quelli del CNT, i supposti liberatori della Libia; ma non appena hanno compreso che nessuno avrebbe creduto alla storiella dell’ambulanza, ritenendo molto piu’ verosimile che l’ex leader della Rivoluzione libica fosse stato giustiziato, hanno deciso di raccontare la verita’. “Il colonnello Muammar Gheddafi e’ stato ucciso, la sua era e’ finita”. Cosi ha annunciato Abdel Hakim Belhaj, capo militare del Cnt a Tripoli, alla tv araba al-Jazeera. Il capo militare, noto per essere della corrente islamica, ha aggiunto: “Gheddafi era stato catturato dai nostri uomini e il suo cadavere e’ nelle nostre mani”.

Quindi nessun processo per lui, come avevano annunciato quando la sua cattura sembrava imminente. Per paura che la Nato potesse chiederne la consegna e per evitare che potesse, da vivo ancorche’ prigioniero, rappresentare ancora un catalizzatore per la popolazione libica che non si riconosce nei nuovi feudatari, i nuovi padroni della Libia, hanno deciso di eliminarlo senza troppe cerimonie. Una vendetta tribale, un’affermazione di autorita’ e, insieme, una spavalda rivendicazione della nuova impostazione coranica della giustizia che regnera’ nel nuovo protettorato occidentale a guida islamica.

Scompare cosi, circondato dai suoi ultimi fedelissimi e nascosto nella sua roccaforte, l’uomo che aveva annunciato dall’inizio della guerra la sua intenzione di morire resistendo, ma di non arrendersi o espatriare. E cosi e’ finita la vicenda del leader politico che il 1° Settembre del 1969, militare con il grado di tenente, diresse il colpo di stato con il quale un gruppo di ufficiali deposero il vecchio re Idriss, avanzo della monarchia dominante verso l’interno e dominata dall’esterno. Deposto Idriss, venne deposto anche il dominio delle compagnie petrolifere che della monarchia e del paese erano proprietarie.

Inizio’ quindi l’epoca delle nazionalizzazioni, delle espulsioni di inglesi e italiani cui segui l’adesione entusiastica al panarabismo nasseriano da parte del tenente che, ben presto, si promosse, modestamente, ‘Guida della Rivoluzione’. E siccome non c’e’ guida senza manuale che lo testimoni, nel 1976 decise di ammantare ideologicamente il suo regime, pubblicando il ‘Libro verde della Rivoluzione’, nel quale si fondevano con una discreta miscela di confusione elementi di nazionalismo e panarabismo, eletti ad avversari del marxismo e del capitalismo. Nel 1977 Gheddafi decise di cambiare il nome alla Libia, che da quel momento si chiamo’ Jamahirya (lo Stato delle masse ndr) Araba Libica Popolare e Socialista’.

Il successo di un regime durato 42 anni si e’ fondato probabilmente nella capacita’ che Gheddafi ebbe di costruire un comune denominatore nel mosaico delle tribu’ e di clan che da sempre hanno determinato gli equilibri interni alla Libia, anche internamente alle due etnie (Arabi e Berberi). Le tribu’ dei Warfalla (i piu’ numerosi), gli Zintan, i Qadhadfa (alla quale apparteneva Gheddafi) e gli al-Magarha, gli az-Zawiya, i Banu Salim, i Meshrata e gli al-Awagir hanno infatti usufruito di un ruolo tutt’altro che secondario nell’amministrazione del governo sul piano territoriale. L’abilita’ principale del Rais libico e’ stata proprio quella di ridurre alla fisiologica compatibilita’ i contrasti interni attraverso una politica fatta di inclusione (di alcuni) e di elargizioni piu’ diffuse.

Pur tenendo con mano durissima le redini del potere politico, infatti, ebbe l’arguzia di dispensare sufficiente potere economico e riconoscimenti formali e sostanziali alle diverse tribu’, concretizzatosi anche tramite un relativo mantenimento di alcune prerogative nella gestione degli affari interni a livello locale. Le risorse straordinarie derivate dalla vendita del petrolio hanno permesso, a suggello, una struttura di welfare-state generalizzata che ha reso i libici la popolazione con il maggior reddito pro-capite del nord Africa.

Quale che sia il giudizio sul regime di Gheddafi, non si puo’ non riconoscere che ha trasformato la Libia da oscura entita’ territoriale nordafricana in paese con un suo ruolo specifico nell’ambito internazionale. Di volta in volta indossando i panni dell’anticolonialista, del profeta dell’unita’ africana (scelta dopo aver constatato che quella araba rimaneva una chimera) ha avuto pero’ molto piu’ seguito all’interno del Paese che nella regione, dove i regimi arabi e nordafricani non hanno mai voluto degnarlo di attenzione, negandogli con qualche torto e con molte ragioni una leadership che il Rais aveva tentato di ottenere con parole e dollari.

Troppe le ingerenze della vecchia Europa coloniale e degli Stati Uniti (e della stessa Unione Sovietica, all’epoca) sui regimi nordafricani e mediorientali e sugli stessi regni del Golfo perche’ il leader beduino potesse assumere un ruolo unificatore. Nei confronti dei regimi vicini, del resto, l’antipatia era ricambiata: non si contano i gesti di disprezzo, quando non di aperta sfida, che l’ex Colonnello ha dispensato in lungo e largo durante gli ultimi trent’anni. E se negli Usa veniva chiamato ‘il pazzo di Tripoli’, nelle altre capitali arabe veniva considerato piu’ o meno un visionario inaffidabile e inattendibile. Della sua passione per stupire e provocare diede dimostrazione plastica nelle visite in Italia, omaggiato e riverito da chi, oggi, senza pudore, definisce la sua morte ‘una bella notizia per il popolo libico’.

Proprio gli Usa, che dal 1979 (quando in una manifestazione venne incendiata l’ambasciata Usa a Tripoli) al 2006 (quando Gheddafi annuncio’ la fine del programma nucleare libico) inserirono la Libia nella lista dei ‘Paesi che sostengono il terrorismo’, cioe’ i paesi che non ricevono ordini dagli Usa, furono decisivi nella messa alle corde del regno del Colonnello. E quando l’Onu (dal 1992 al 2005) gli decreto’ contro un embargo aereo e militare, oltre a sanzioni economiche, Gheddafi tento’ di tessere una tela di relazioni internazionali a 360 gradi con partiti, movimenti e gruppi che all’interno dei rispettivi paesi mediorientali promuovevano l’opposizione piu’ dura. L’illusione del Rais era quella di divenire il leader di ogni rivolta, ma la verita’ e’ che era sopportato solo in virtu’ del denaro che elargiva ai rivoltosi, i primi a considerarlo inaffidabile tanto quanto i regimi contro i quali combattevano.

Finita l’epoca bipolare, fini anche il ruolo (anche qui, non particolarmente influente) che il Rais si era disegnato nel composita’ eterogeneo che si ritrovava nei Paesi Non Allineati, strutturazione d’altra parte superata da un mondo ormai privo della contrapposizione tra Est e Ovest. Proprio in quell’ambito, in effetti, avrebbero potuto trovare maggiore eco le teorie di Gheddafi: indisponibili a divenire cinghia di trasmissione del modello sovietico, ma fortemente contrassegnati da posizioni anti-imperialiste e nazionaliste, il blocco che vedeva il maresciallo Tito e Indira Ghandi come leader piu’ influenti, aveva potenzialmente un’apertura concettuale alle suggestioni gheddafiane. Ma, anche in quel contesto, il personaggio di Gheddafi diventava il primo killer delle tesi e del ruolo di Gheddafi stesso.

La sua repentina riconversione all’obbedienza verso l’Occidente non gli e’ pero’ bastata a salvargli ne’ il dominio ne’ la sua stessa vita. Furbo, certo; equilibrista, forse. Ma non abbastanza scaltro da non comprendere come finanziare alcuni governi europei in cambio della sua rivalutazione non sarebbe comunque stato sufficiente a paragone di quanto le ricchezze energetiche del suo Paese promettono. Il sipario calato a Sirte e’ stata cosi solo l’ultimo atto di un beduino che volle farsi re, senza capire che il trono su cui sedeva era infinitamente piu’ interessante del sovrano stesso.

(Tratto da: http://www.altrenotizie.org)

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